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Dalle proteste all’opportunità di cambiare il cuore degli Stati Uniti

CHARLOTTESVILLE
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Jaime Septién - pubblicato il 10/07/20
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Proteste razziali, speranze e un inno che unisce il PaeseI mezzi di comunicazione statunitensi hanno coperto ampiamente le proteste contro il razzismo e la violenza della polizia dopo l’assassinio dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis (Minnesota).

Il tutto si inserisce nella battaglia elettorale che vede affrontarsi democratici e repubblicani, gli uni per recuperare, gli altri per mantenere la Presidenza alle elezioni di novembre.

In pochissime occasioni si sono sentite voci che vedono in questo movimento un’opportunità per dare una direzione a una Nazione costituita da immigrati e da un crogiuolo di razze.

In questo universo, per alcuni tanto oscuro per via della pandemia del coronavirus, spicca la figura dell’afroamericano di maggior rango nella Chiesa cattolica degli Stati Uniti, l’arcivescovo di Washington D.C., Wilton Gregory.

ARCHBISHOP GREGORY

Washarchdiocese | Twitter

In alcune dichiarazioni del presule durante una teleconferenza della AJC, un’organizzazione senza scopo di lucro di difesa ebraica mondiale, raccolte dal sito di notizie WTOP, Gregory ha confessato che “le emozioni” che gli lasciano nel cuore gli attuali tumulti razziali nel suo Paese sono di “dolore e speranza”.

“Questo periodo mi riempie il cuore di una profonda pena per la sofferenza delle persone alla luce della pandemia, delle ripercussioni economiche e anche dell’assassinio ovviamente crudele e ingiusto di persone innocenti”, ha spiegato l’arcivescovo Gregory nel suo intervento.

“Ma riempie anche il mio cuore di speranza, perché come abbiamo visto molte delle proteste sono state una meravigliosa assemblea di Statunitensi con varie affiliazioni culturali, razziali, di età, regionali e religiose”.

L’arcivescovo di Washington ha anche confessato di sperare che gli Stati Uniti abbiano raggiunto le condizioni necessarie per “lavorare insieme” e affrontare alcuni degli aspetti più critici che hanno suscitato tanta ansia e angoscia nel Paese.

“Credo che questo momento ci offra anche la possibilità di cambiare i cuori”. A differenza del passato, l’appello al cambiamento “non sta ancora calando”, e i mezzi di comunicazione “stanno coprendo il movimento con un livello di intensità che non si ricorda in passato”.



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Un inno che inizia a cantarsi ovunque

La visione di speranza dell’arcivescovo Gregory è basata sul crescente desiderio di cantare nelle manifestazioni e nelle concentrazioni derivanti dal movimento contro il razzismo l’inno nazionale degli afroamericani, Lift Every Voice and Sing (Eleva ogni voce e canta).

L’inno, che ha più di un secolo di esistenza, si è ascoltato di nuovo nelle ultime settimane in vari punti degli Stati Uniti, unendo manifestanti di razze diverse, che alzavano le braccia con i pugni chiusi e marciavano contro la brutalità della polizia nei confronti degli afroamericani disarmati.

L’inno è riuscito a pacificare i manifestanti – non tutti, ovviamente, perché non sono purtroppo mancati atti di vandalismo e furto – con il suo messaggio condiviso di fedeltà, libertà e uguaglianza tra gli uomini e le razze, come riconosce la Costituzione degli Stati Uniti d’America.

“Ho visto bianchi cantare questo brano dicendo ‘Non c’è giustizia, non c’è pace’ e ‘Black Lives Matter’. È una cosa che non ho visto all’inizio della mia carriera o anche quindici anni fa”, ha detto ad AP il reverendo Al Sharpton, riferendosi ai manifestanti a Minneapolis dopo la morte di Floyd. “Vedere altre persone oltre a noi che apprezzano il nostro brano, il nostro inno… Non è solo la questione di un momento. È un vero movimento”, ha sottolineato Sharpton.

L’inno è stato scritto come poesia da James Weldon Johnson prima che suo fratello, J. Rosamond, lo mettesse in musica. Il brano è stato interpretato per la prima volta nel 1900, poco dopo essere stato scritto. Dal 1919 è diventato l’inno nazionale degli afroamericani, dieci anni prima che venisse adottato in tutto il Paese l’attuale inno nazionale statunitense.

A Dallas, centinaia di persone sono accorse nella piazza in cui nel 1963 spararono a John F. Kennedy per marciare prima di cantare l’inno. I manifestanti hanno intonato il canto il mese scorso presso lo storico Lincoln Memorial di Washington, D.C.. Lo stesso è accaduto a Los Angeles, Chicago, Baltimora e Minneapolis.

Per molti questo inno è più “applicabile” di quello attuale degli Stati Uniti, The Star-Spangled Banner. Il reverendo Sharpton ha detto ad AP che il brano dovrebbe essere interpretato in grandi luoghi, eventi sportivi e altre occasioni.

“Dovrebbe essere così, perché riconosce l’eredità e la vera e autentica lotta degli Stati Uniti. C’è sempre stata una controversia circa la razza coinvolta nell’inno nazionale. Qui c’è un autentico inno che sorge dall’esperienza statunitense che non denigra il Paese, ma eleva la lotta e l’affermazione delle persone che hanno fatto parte di questa Nazione”, ha concluso Sharpton.

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