Amarsi in piena coscienza. Mantra dell’ultima moda o pratica sessuale millenaria? Se i beneficî dello slow sex risiedono in una maggiore attenzione portata all’altro, è pure vero che la sorgente di ogni amore è in Dio, non nella lenta ricerca di una perfetta armonia sessuale.
Sono parecchie, oggi, le terapie che promettono di insegnare a vivere “in piena coscienza”. Per godersi pienamente il momento presente e diminuire le fonti di stress, siamo invitati a meditare in piena coscienza, mangiare in piena coscienza, fare turismo in piena coscienza, partorire in piena coscienza… e pure ad amarsi in piena coscienza. Tale è l’idea sviluppata da una ventina d’anni a questa parte da Diana e Michael Richardson, battezzata col nome di “slow sex” e diffusa in Francia da Anne e Jean-François Descombes (in Italia da sessuologi come Marco Rossi e Alberto Caputo). Un modo alternativo di vivere la propria sessualità, che permette all’uomo e alla donna di incontrarsi, di attendersi, ma che comporta pure un certo numero di derive che, ove non vi si ponga attenzione, ci separano da Dio.
Essere presenti all’esperienza del momento
Lo slow sex invita a prendersi il proprio tempo, a connettersi al corpo proprio e a quello altrui, ad essere attenti alle sensazioni corporee interiori, con lo scopo di amarsi meglio. Questa forma di sessualità – spiega Cécile de Williencourt, ostetrica autrice del libro Trésors de femme (Mame) –
parte dal principio che il desiderio, il fantasma, l’eccitazione in vista dell’orgasmo sono proiezioni in un futuro o in un passato che non permettono di essere interamente presenti all’esperienza del momento. La pratica dello slow sex permette a entrambi i membri della coppia di connettersi col proprio corpo, ma anche di essere in ascolto dei desiderî propri e altrui per arrivare insieme al piacere. Si tratta di rivolgere la propria attenzione a quel che vive il corpo, lasciando da parte la dimensione psichica dell’immaginazione, del ricordo o dell’attesa.
Ad esempio la dimensione psichica rivolta all’orgasmo, che talvolta si considera lo scopo da raggiungere. L’amore in piena coscienza, però, non arriva ad alcun punto se non si è pienamente presenti alla relazione. «Il perseguimento dell’orgasmo a tutti i costi – precisa Cécile de Williencourt – ci allontana da quello che viviamo nel momento presente». Presenza, lentezza, delicatezza, sono le parole-chiave per imparare questa forma di sessualità condivisa, vissuta in due, con lo stesso ritmo. Quel che conta è creare un legame, non arrivare all’estasi. Donde l’importanza dei preliminari, delle parole, dello sguardo, per fare esperienza di una vera intimità coniugale.
Lo slow sex una risposta al modo in cui Dio ha creato l’uomo e la donna?
Non sempre il ritmo della sessualità mascolina sposa quello della sessualità femminile. Uno scarto che ha fornito materia di riflessione ai coniugi e terapeuti cristiani John e Stasi Eldredge:
Notate che Dio ha creato la sessualità della donna in modo che il suo crescendo sessuale chiede spesso – non sempre, ma spesso – più tempo di quello dell’uomo. […] Perché Dio ha disposto le cose così? […] Il forte contrasto tra i nostri due modi di desiderare e di raggiungere l’orgasmo deve avere un motivo. […] Dio chiede all’uomo di prendersi del tempo – in cui corteggiare, amare, essere delicato – perché la donna possa conoscere il suo medesimo rapimento. Ciò esige da parte sua una rinuncia all’egoismo.
Così si legge nella loro opera di riferimento, Love and War. Corteggiare, amare, essere delicati… Tutte cose tornate di moda con lo slow sex. E tuttavia l’armonia dei corpi può bastare al pieno appagamento coniugale?
I limiti dello slow sex
La prima trappola dello slow sex rischia di essere l’assolutizzazione. Lottare contro ogni forma di pressione diventa alla fine una pressione in sé. La deriva sarebbe quella di erigere le sensazioni corporee – la lentezza, la piena coscienza… – come degli obiettivi da raggiungere, laddove lo slow sex rivendica proprio di essere una pratica distante dalla corsa alla performance.
Altra deriva, lo slow sex rivendica il fatto che grazie all’intimità dei corpi la coppia consegua una certa intimità spirituale. La prospettiva cristiana, invece, promette il contrario: è l’intimità dei cuori che permette anzitutto di accedere in maniera libera, consenziente e gioiosa all’intimità dei corpi. L’intuisiozne di Giovanni Paolo II, riportata nelle sue catechesi sulla Teologia del Corpo, precisa appunto che l’unione sessuale dei corpi presuppone quella dei cuori. E anzi, più l’intimità spirituale tra i coniugi sarà grande, più l’armonia dei corpi sarà favorita. Quindi se si vuole tendere a una sessualità coniugale più intensa, meglio cominciare a curare meglio la relazione con l’altro nella sua globalità (cuore, corpo e spirito), invece di iscriversi a “corsi di slow sex”.
Leggi anche:
Al via gli ultimi dieci anni (decisivi) della “guerra dei sessi”: il nuovo libro di Thérèse Hargot
Sempre secondo una visione cristiana, la sessualità è anzitutto una questione di dono reciproco attraverso i corpi. L’uomo, poiché è a immagine di Dio – il quale è puro Dono, pura relazione – «non può trovarsi in pienezza se non per il dono disinteressato di sé stesso», si legge in Gaudium et Spes. Quel che conta, nell’unione sessuale degli sposi, non è fare il possibile per avvertire sensazioni corporee gradevoli, ma piuttosto far sbocciare in pienezza, totalmente, il desiderio di donazione reciproca.
In ultimo, lo slow sex ha delle radici tantriche e induiste che tendono ad allontanare dal Dio-personale della Rivelazione. Secondo gli adepti di quelle dottrine, l’amore si genera dalla perfetta armonia tra due corpi. Per i cristiani, la fonte dell’amore non è una performance fisica e sessuale, ma Dio solo. Ed è Dio che ha fatto all’uomo il dono del sesso. «Dio stesso ha creato la sessualità, che è un meraviglioso dono alle sue creature», sottolinea Papa Francesco in Amoris Lætitia. «Bevete, amici: inebriatevi!» (Ct 5,1), si ode dal corale del Cantico dei Cantici. Dunque pratichiamo la piena coscienza, certo, ma anzitutto quella che riconosce nella sessualità un dono e un progetto di Dio per gli uomini.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]