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Con la nuova legge sull’omofobia, rischio penalmente se mi espongo contro matrimonio o adozione gay?

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 12/06/20
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Le preoccupazioni dei vescovi sono più che fondate. Il ddl Zan crea confusione e amplia esponenzialmente la tutela del pensiero Lgbt. Ecco perchè

Nel 2014 l’allora arcivescovo emerito di Malaga (Spagna) monsignor Fernando Sebastiàn Aguila, nominato poi cardinale da Papa Francesco, è stato indagato penalmente per aver affermato che la sessualità è destinata alla procreazione, evidentemente impossibile all’interno di una coppia omosessuale.

Cosa aveva detto l’arcivescovo di Malaga

Che cosa aveva detto monsignor Sebastián? In un’intervista al «Diario Sur», il quotidiano di Malaga del 20 gennaio 2014, il presule, a cui è stato chiesto di commentare le dichiarazioni del Papa, che invitavano a non giudicare gli omosessuali, aveva spiegato:

«Il Papa accentua i gesti di rispetto e di stima a tutte le persone, ma non tradisce né modifica il Magistero tradizionale della Chiesa. Una cosa è manifestare accoglienza e affetto a una persona omosessuale, un’altra è giustificare moralmente l’esercizio dell’omosessualità. A una persona posso dire che ha una deficienza, ma ciò non giustifica che io rinunci a stimarla e aiutarla. Credo che sia questa la posizione del Papa».

“Deficienza” e “malattia”

A questo punto l’intervistatore chiede se ha usato la parola «deficienza» «dal punto di vista morale».

Il cardinale neo-eletto risponde: «Sì. Molti si lamentano e non lo tollerano, ma con tutto il rispetto dico che l’omosessualità è una maniera deficiente di manifestare la sessualità, perché questa ha una struttura e un fine, che è quello della procreazione. L’omosessualità, in quanto non può raggiungere questo fine, sbaglia. Questo non è per niente un oltraggio. Nel nostro corpo abbiamo molte deficienze. Io ho l’ipertensione. Mi devo arrabbiare perché me lo dicono? È una deficienza che cerco di correggere come posso. Il segnalare a un omosessuale una deficienza non è un’offesa, è un aiuto perché molti casi di omosessualità si possono ricuperare e normalizzare con un trattamento adeguato. Non è offesa, è stima. Quando una persona ha un difetto, il vero amico è colui che glielo dice».

Il diritto di pensiero

Casi simili potrebbero ripetersi costantemente qualora in Italia fosse approvata la legge contro l’omofobia firmata da Zan e Scalfarotto.

Scrive Avvenire (11 giugno), che si porrebbe in evidente contrasto il diritto alla libertà di pensiero sancita dalla nostra Costituzione.

Affermare questo, tuttavia, non significa voler negare una doverosa tutela a quelle persone che, per via delle loro tendenze omo, si trovassero oggetto di qualsiasi tipo di violenza.

Sono ben precise e tassative – come d’altronde impone il diritto penale – le fattispecie punite,in quanto i concetti di discriminazione o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi risultano pacificamente chiari alla stragrande maggioranza dei cittadini.

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EZEQUIEL BECERRA / AFP
LGBTI activists demonstrate in front of the Supreme Court of Justice in San Jose, on August 04, 2018 to demand the legalisation of same-sex marriage.Protesters demand Costa Rica to enforce its commitment to international treaties, based on the response given by the Inter-American Court of Human Rights (ICHR) on last January 9 saying the country must guarantee marriage between same-sex couples. / AFP PHOTO / EZEQUIEL BECERRA

La Legge Mancino

Basti pensare alla Legge Mancino, recepita negli articoli 604 bis e 604 ter del codice penale (e che la legge Zan vuole modificare), punisce «con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

“Concetti tutt’altro che definiti”

Lo stesso, afferma il quotidiano dei vescovi, non può dirsi per le fattispecie che vorrebbero essere incluse in questa legge: locuzioni come “identità di genere” e “orientamento sessuale” – contenuti nei testi in discussione presso la commissione Giustizia della Camera – rimandano a concetti tutt’altro che definiti, sui quali anche la comunità scientifica non si è ancora pronunciata in modo univoco.

E il rischio, qualora queste proposte diventassero legge, sarebbe quello di introdurre nel nostro ordinamento il cosiddetto “reato di opinione”, per la cui commissione basterebbe riferire un pensiero personale.

Per L’Espresso non ci sarebbero “rischi”

Secondo L’Espresso (11 giugno), che invece giustifica l’impianto della legge:

Il colpo d’occhio farebbe pensare a una legge che difende, come per tutte le categorie già citate dalla legge Mancino, anche le persone lgbt dal reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, come dichiarato ieri dalla Conferenza Episcopale Italiana (“finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, più che sanzionare la discriminazione”).

Ma non è così. Il ddl grazie a un espediente giuridico esclude tale reato nei confronti delle persone Lgbt. Si legge nella legge Zan: del primo comma sono aggiunte, in fine, «oppure fondati sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere».

Il termine comma, nel diritto italiano, indica una parte dell’articolo di una legge. Insomma una frase.

Inserire “in fine”, vuol dire sostanzialmente saltarlo. Quindi resta per la legge Mancino la questione razziale ed etnica che viene sì tutelata dal reato di propaganda. Cioè restano le pene per coloro che diffondono idee fondate sulla superiorità o l’odio razziale o etnico. Ma si esclude da questa tutela la comunità Lgbt che viene difesa solo in caso di “istigazione a commettere” o in caso commissione di atti di discriminazione.

Per esempio: viene punita un’associazione che pubblicando la foto di un attivista gay invita i suoi seguaci a linciarlo. Non viene punita una persona che potrà ancora liberamente dire: l’utero in affitto è un abominio, il matrimonio omosessuale è sbagliato.

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Il concetto di “vulnerabilità” amplia le possibilità di punire il pensiero

Un cavillo poco convincente perché la legge introduce il concetto di «vulnerabilità» rispetto alle persone di orientamento LGBT.

Evidenzia sempre L’Espresso:

Proprio la “vulnerabilità” delle persone lgbt viene certificata giuridicamente. Lo status di vittima vulnerabile non viene accertato di volta in volta ma desunto da elementi oggettivi: le caratteristiche personali della vittima e la natura e le circostanze del reato.

Ma la vulnerabilità è un concetto molto ampio e che può abbracciare giudizi molto vasti, espressi contro il mondo Lgbt. Dove termina il principio di vulnerabilità e inizia quello di libera manifestazione del pensiero? Una frase del tipo “l’adozione omosessuale va contro la natura dell’uomo, è impensabile sostenere un principio del genere, io non sopporto chi sostiene questa tesi“, minerebbe la vulnerabilità della comunità Lgbt o è libera manifestazione del pensiero?

La nuova legge creerebbe confusione, puntando l’indice contro giudizi non in linea con il pensiero Lgbt.

E Zan smentisce

Il promotore del ddl Zan, in un intervista ad Avvenire (12 giugno), continua a smentire derive liberticide:

«Direi che il rischio prospettato è inesistente. Nella formulazione del testo unico che presenteremo mercoledì prossimo, estendiamo i crimini omotransfobici solo per l’istigazione all’odio e alla violenza. Nessuno riferimento ai commi dell’articolo 604 che fanno riferimento alla libertà d’espressione. D’altra parte già la legge Mancino, che nel ’93 aveva modificato la precedente legge Reale, li aveva inseriti solo per impedire la propaganda dell’odio razziale e per frenare il negazionismo. Eppure quella parte della legge, considerata di dubbia costituzionalità, non è mai stata concretamente applicata».

Secondo Zan «nella libertà d’espressione non si può includere l’incitamento all’odio. Ecco perché la libertà d’espressione, garantita dalla Costituzione, dev’essere bilanciata dal rispetto della dignità umana».

«Il reato d’odio non è un qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto, ma, come dice la Cassazione, dev’essere motivato ‘da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori’».



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