La federazione ciclistica indiana vuole dare un’occasione a questa ragazza che, quasi come Enea, si è caricata il padre non sulle spalle ma sulla bici. Un’impresa eroica e una buona notizia per una famiglia a cui il coronavirus ha tolto lavoro e speranza.Ammetto che mi sono soffermata sulla notizia che sto per raccontare con l’umore infastidito della madre che ha appena ripetuto per l’ennesima volta al figlio: «Schiodati da quel computer!». E poi mi sono accorta che la prima seduta davanti a uno schermo ero io. Ci diamo molto da fare, da fermi e gongoliamo perché finalmente le palestre sono state riaperte. E va benissimo, perché l’allenamento del corpo non è qualcosa di esclusiavamente estetico.
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Odissea su due ruote
Il corpo ringrazia se gli fai fare una fatica buona, mi diceva mia madre che ha insegnato ginnastica per una vita. E io la parola «fatica» non riuscivo proprio a concepirla vicino all’aggettivo «buona». Eppure ci sono momenti di spossatezza estrema, alla fine di uno sforzo fatto con uno scopo preciso, che traboccano di una pace gioiosa. Spendersi fino all’ultima goccia di sudore è qualcosa di assolutamente gratificante per l’anima. Questo flusso libero di coscienza è emerso mentre leggevo dell’impresa di una giovanissima ragazza indiana che ha ripetuto un gesto eroico che risveglia una virgiliana memoria. Come Enea si è fatta carico della salvezza del padre:
Jyoti Kumari ha raggiunto il Gurugram – una zona suburbana della capitale indiana Delhi – per prendersi cura si suo padre che era stato vittima di un incidente. Si stava riprendendo dalle ferite quando è cominciato il lockdown, il 25 marzo. La famiglia era rimasta senza soldi per comprare cibo e medicine. Non c’era nessn mezzo di trasporto per ritornare al paese natale. Allora la ragazza ha deciso di riportare a casa il padre in bicicletta, intraprendendo un viaggio durissimo. Ha pedalato e preso qualche passaggio dai camion per 1200 chilometri. (da BBC)
Un’odissea su due ruote compiuta in una settimana, dal 10 al 16 maggio scorsi. Sembra tutto simbolico e mitico in questa storia: 7 giorni come per la Creazione, il viaggio di ritorno a casa come per Ulisse, il padre salvato dalla figlia come il già citato Enea. Non si tratta di trovare riferimenti eruditi, quanto di riscoprire che quei testi che noi consideriamo fondativi di civilità, lo sono davvero perché parlano di una concretezza umana tangibile – che ritroviamo nell’esperienza anche a secoli di distanza – e di valori umani che sono pietre angolari.
Ma ritorniamo ai fatti. Il papà di Jyoti, il signor Mohan Paswan, faceva un lavoro umile ma sufficiente a garantire la sussistenza della famiglia, guidava un risciò (ma la vettura non era di sua proprietà). Un incidente stradale lo ha bloccato anche lavorativamente, perché le ferite più serie erano alle gambe. Non potendo svolgere la sua attività, chi gli concedeva a noleggio il risciò lo ha rivoluto indietro. Perdere il lavoro in tempo di coronavirus è una tragedia che anche alle nostre latitudini provoca disperazione e paura. Rimasti con pochi soldi, insufficienti per accudire il signor Paswan e sfamarsi, l’unica alternativa era ritornare al luogo di origine della famiglia, la zona di Bihar.
Il lockdown non ha concesso alternative se non l’impresa faticosissima di Jyoti; a bordo della bici e con padre caricato dietro, ha cominciato a pedalare ed è diventata parte di un intero popolo di migranti – vittime della povertà – che, a causa del contagio, ha lasciato le grandi città indiane per ritornare ai villaggi natii. In merito alla gravissima situazione nella penisola indiana ha sintetizzato bene e drammaticamente Carlo Buldrini:
La pandemia, in India, è causata da molti virus. C’è il Covid-19 che, per ora, ha avuto un impatto limitato sulla popolazione, ma è in lenta ascesa. C’è il virus di una spaventosa crisi economica provocata da un lockdown che dura ormai da otto settimane. C’è il virus di una millenaria divisione in caste che, in questo periodo, mostra il suo volto più disumano. E c’è il virus dell’odio religioso fomentato dall’estrema destra hindu oggi al potere nel paese. L’epidemia in corso ha evidenziato e ampliato tutte le contraddizioni che caratterizzano la società indiana. (da Il Foglio)
Però Calvino ci suggeriva l’azione umana giusta a cui aggrapparsi dentro il deflgrare esorbitante della disperazione: «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». L’inferno è sconfitto anche da una scheggia di bene dentro la devastazione, perché quella esalta, ridesta e guida chi si è dato per sconfitto ma non lo è. Lo sforzo di Jyoti è la vera fatica buona che intraprendendo un’azione rischiosa e buona, dà forza anche ad altri. Eccola qui che pedala:
Potenziale umano
L’impresa della giovane Kumari non è passata inosservata anche agli occhi degli esperti sportivi. Infatti, il suo potrebbe essere un vero talento da coltivare anche in ambito agonistico:
Onkar Singh, il Presidente della federazione ciclistica indiana, ha proposto alla Kumari un test di prova per essere ammessa all’Accademia Nazionale di ciclismo: «Abbiamo parlato con la ragazza per proporle di venire a Delhi il prossimo mese, finito il lockdown, per fare un test. Le pagheremo tutte le spese di vitto e alloggio» (da India Today)
Sì, ho ricevuto questa telefonata in cui mi chiedevano di partecipare a una gara di prova e che avrebbero pagato tutto, cibo e viaggio. Ho detto loro che il mio corpo adesso è terribilemente dolente, visto il viaggio da Gurugram a Bihar. Ora ho proprio bisogno di riposo. Ma certo che andrò il prossimo mese. (da Aninews)