Per lo compravendita del palazzo in Sloane Avenue, finisce in manette Gianluigi Torzi. Contestati vari episodi di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio
Il 5 giugno l’Ufficio del Promotore di Giustizia del Tribunale Vaticano, al termine dell’interrogatorio del broker Gianluigi Torzi, che era assistito dai propri legali di fiducia, ha spiccato nei suoi confronti mandato di cattura.
Coinvolta una rete di funzionari
Il provvedimento, a firma del Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, e del suo Aggiunto, Alessandro Diddi, è stato emesso in relazione alle note vicende collegate alla compravendita dell’immobile londinese di Sloane Avenue, che hanno coinvolto una rete di società in cui erano presenti alcuni Funzionari della Segreteria di Stato.
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Rischia fino a 12 anni di reclusione
All’imputato vengono contestati vari episodi di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio, reati per quali la Legge vaticana prevede pene fino a dodici anni di reclusione.
Allo stato il Gianluigi Torzi è detenuto in appositi locali presso la Caserma del Corpo della Gendarmeria.
La storia “oscura” della compravendita
L’immobile londinese è salito agli onori delle cronache, poichè sarebbe stato acquistato con una parte dei soldi dell’Obolo di San Pietro, il “salvadanaio” delle donazioni ricevute dal Papa per le opere di carità e il sostentamento della Curia romana.
«E’ la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro non da fuori», aveva detto Papa Francesco, sul volo di ritorno dal viaggio in Giappone, lo scorso 27 novembre (Aleteia, 27 novembre 2019).
Circa 454 milioni gestiti dalla Segreteria di Stato e provenienti dall’Obolo, sarebbero stati utilizzati per operazioni speculative spericolate, di dubbia eticità. Dalla “cassa” della Segreteria, è partito nel 2012 l’investimento di 200 milioni nel fondo lussemburghese Athena Capital Global Opportunities, del finanziere Raffaele Mincione: in questo investimento sarebbe rientrata la compravendita del famigerato immobile di pregio a Londra, di cui il Vaticano ha acquisito l’intera proprietà a fine 2018. Incaricato dell’operazione: il finanziere italiano nella City, Gianluigi Torzi, patron del fondo Jci, ora finito in manette.
La sospensione del direttore dell’Aif
La vicenda giudiziaria, inizialmente, era culminata con la sospensione di 5 dipendenti della Santa Sede, tra cui un’altra figura importante: il direttore dell’Aif, l’autorità antiriciclaggio, Tommaso Di Ruzza, che avrebbe, secondo la magistratura, «confezionato e sottoscritto su carta intestata una lettera di “delega ad operare” a favore di Torzi in qualità di intermediario finanziario» (La Stampa, 10 ottobre 2019).
Nuovi indagati
Intanto arrivano nuove rivelazioni, in queste ore, sull’inchiesta. Monsignor Alberto Perlasca e Fabrizio Tirabassi, responsabili dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato Vaticana, sono indagati per peculato in concorso con Gianluigi Torzi e Raffaele Mincione in relazione all’investimento di 454 milioni di euro derivanti – secondo gli investigatori vaticani – dalle donazioni dell’Obolo di San Pietro, nella disponibilità della Segreteria di Stato e da questa possedute con vincolo di scopo per il sostegno delle attività con fini religiosi e caritatevoli.
“Enorme voragine nei conti”
In particolare, riporta l’Adnkronos (6 giugno):
Ai quattro viene contestato dalla procura di Oltretevere di avere consentito a Mincione di “appropriarsi convertendola a proprio profitto” di parte della liquidità versata nel fondo Athena Capital Global Opportunities Fund (da lui gestito attraverso Athena Capital Fund Sicav) per un totale, sempre a detta degli investigatori, di oltre 200 milioni.
Seguendo gli accertamenti della procura vaticana, al settembre 2018 le quote avevano già perso oltre 18 milioni di euro rispetto all’investimento iniziale, ma le indagini, porterebbero a quantificare la cifra in un importo ben più consistente, che si configurerebbe come una “enorme voragine” nei conti dello Stato Vaticano “compiuta da funzionari della Segreteria di Stato” con la complicità di imprecisati “soggetti esterni”.
I verbali dell’inchiesta
Secondo La Repubblica (7 giugno), nell’inchiesta entra in gioco anche monsignor Mauro Carlino, che sarebbe l’ultimo, in ordine di tempo, tra gli “emissari della Segreteria di Stato” incaricati di portare a termine la difficile trattativa con Gianluigi Torzi.
Questa la ricostruzione di La Repubblica:
Nel marzo del 2019 la Segreteria di Stato è oramai sotto pressione, “in balia delle richieste di Torzi”, spiegano gli investigatori, tanto che nel corso di un incontro con il Sostituto della Segreteria Vaticana, mons. Edgar Pena Parra, insieme a Fabrizio Tirabassi e mons. Alberto Perlasca, dell’ufficio amministrativo della Segreteria, avrebbero proposto di prelevare i 20 milioni necessari a chiudere la transazione col broker dal cosiddetto Fondo discrezionale del Papa.
L’operazione però sarebbe finita nel nulla grazie “all’opera di mediazione e di convincimento svolta da mons. Mauro Carlino” che, come avrebbe spiegato lui stesso agli inquirenti, avrebbe convinto Torzi ad accettare 15 milioni anziché 20, al pagamento dei quali, secondo la procura vaticana, si è consumata l’estorsione.
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