Avere qualcuno da dietro che ci sostiene e qualcuno davanti che ci incoraggia è ugualmente importante per i primi passi. E questa esperienza infantile rafforza la nostra percezione degli affetti anche da adulti. Due persone diverse incontrate in studio mi hanno fatto pensare all’importanza dei primi passi e a quanto questa tappa di sviluppo (come tutto lo sviluppo del bambino del resto) non sia solo un aspetto “meccanico”, di mera maturazione biologica, ma decisamente relazionale.
Muovere i primi passi ha un aspetto importante di relazione. Ci avevate mai pensato?
La prima persona me lo raccontava da figlia, la seconda da mamma.
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Nel primo caso, la persona in questione, ha avuto un fratello che è nato a meno di un anno dalla sua nascita. Questo significa che la madre, oltre ad affrontare le difficoltà di essere mamma per la prima volta, quasi da subito ha dovuto confrontarsi con un’altra gravidanza, inaspettata, e che molto probabilmente le ha creato preoccupazione, tensione, in ogni caso che le ha occupato la mente e il cuore, così che la prima figlia ha imparato molto presto una cosa: adattarsi e arrangiarsi senza disturbare troppo.
Quando la madre le narra di lei da piccola infatti, le dice che era una bambina buonissima, che non disturbava mai, brava perché in grado di passarsi il tempo da sola, e da tanti altri elementi che non sto a scrivere, possiamo dire che a questa bambina, oggi adulta, è mancato in maniera importante uno schema affettivo-motorio di connessione con l’adulto che si occupava di lei. Schema affettivo-motorio di connessione significa aver sperimentato con il corpo ed affettivamente il fatto che chi si prende cura di me è raggiungibile, è vicino se ne ho bisogno e sono in grado di richiamare il suo contatto o la sua vicinanza quando ne sento la necessità. Per il neonato sperimentare con il corpo questo (ad esempio, essere preso in braccio e consolato quando piange; ricevere attenzione se si sente in difficoltà e ha bisogno del sostegno, anche fisico dell’adulto, ecc..) contribuisce in lui a creare un attaccamento sicuro, cioè a ritenere affidabile chi si prende cura di lui e a ritenere efficace sè stesso nel relazionarsi con l’altro. Le conseguenze del tipo di attaccamento che si instaura hanno poi conseguenze fondamentali e a lungo termine sulla regolazione delle emozioni, sul relazionarsi con gli altri, e quindi praticamente sugli aspetti cruciali della nostra vita, da cui dipende in gran parte il nostro benessere.
Tornando a questa paziente, non mi stupì ma allo stesso tempo mi colpì molto quando mi disse che, secondo i racconti della madre, lei imparò a camminare da sola. Ovvero, un giorno la madre se la vide arrivare in bagno dove era occupata con il fratellino, camminando. Mi colpì molto perché mi immagino una bambina piccola che non ha avuto nessuno che la incoraggiasse, che la aspettasse di fronte a braccia aperte mentre muoveva i primi passi. Niente di tutto questo, da sola si è alzata sulle sue piccole gambe, da sola ha attraversato parte della casa con passi incerti, da sola ha finalmente raggiunto la madre, che si è stupita dell’accaduto come di una cosa bizzarra.
Osservate il quadro di Van Gogh intitolato I primi passi.
Non sarebbe bello e giusto fare l’esperienza di avere qualcuno da dietro che ci sostiene e qualcuno davanti che ci incoraggia? Sarebbe un’esperienza preziosa che ci porteremmo dietro per tutta la vita. Anche se non possiamo ricordarcela, farebbe parte di quelle preziosissime esperienze non verbali del Sé, e quindi soprattutto “affettivo-motorie”( per dirla con Downing), che segnano per sempre la nostra vita.
Detto questo, penso possiate già immaginare cosa ho chiesto ad una mamma che mi diceva di essere preoccupata perché la figlia di 18 mesi non cammina. O meglio, cammina unicamente se si aggrappa anche solo al mignolino della madre o del padre: la parte “meccanica” del movimento è già in funzione, ma la bimba non si lascia andare da sola. Dopo essermi accertata che è una bambina che esplora l’ambiente e che l’inserimento al nido fosse andato bene (indici per esplorare l’attaccamento) le ho chiesto se si è mai posta, lei o il padre, davanti alla bambina. In effetti sia lei che il compagno, anche se presenti tutti e due, erano abituati a starle entrambi dietro, uno alla mano destra e uno alla sinistra. L’ho quindi incoraggiata a porsi davanti, come nel quadro già citato, perché questo crea un momento forte di relazione, in cui il genitore guardando il bambino gli trasmette la sua presenza e il suo incoraggiamento, allargando le braccia gli comunica la sua accoglienza e infine, mettendosi di fronte, si pone come confine e come protezione abbassando l’angoscia di muoversi in uno spazio davanti a sé troppo grande.
È stato solo un suggerimento ma credo sarà prezioso.
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA GIULIA CAVICCHI