5 modi di rileggere l’obbedienza di San Francesco al Cristo di San Damiano
“La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità” (FF 75)
È con una vita che ruota attorno al Vangelo che frate Francesco d’Assisi presenta a papa Onorio III l’incipit della celebre regola bollata, quello stesso vangelo che egli aveva udito e attorno a cui aveva girato tutta la sua vita, e che voleva fosse “sine glossa”; in Francesco infatti, figlio del suo tempo, verte la tradizione biblica medievale della “glossa” appunto, (dal greco γλῶσσα) che consisteva in una serie di commenti ed interpretazioni della parola di Dio su cui si erano espressi personaggi autorevoli della storia della Chiesa, e che avevano superato in lunghezza talmente tanto, la Bibbia stessa. Egli ritenne che la Parola di Dio andasse seguita alla lettera, e questa suo stile dell’obbedienza alla parola, possiamo riscontrarlo anche nel messaggio di San Damiano, in almeno cinque modi:
Santuario di San Damiano, all’orizzonte il monte Subasio – Assisi
1 Francesco muratore
“Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pietro 2, 5)
La risposta più immediata, più genuina, più impulsiva e più semplice nel tradurre la volontà di Dio per lui, è quella di mettersi a riparare materialmente la chiesa di San Damiano, che sappiamo dal Celano essere abbandonata da tutti (FF 593). Non si ferma qui l’opera restauratrice del santo, che prosegue nell’intento ristrutturando anche la chiesa di San Pietro della Spina, e quella di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola.
2Francesco riparatore di sé stesso
“Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo! “ (1 Corinzi 6, 19-20)
La centralità della vita di Francesco, non fu riposta sulla povertà quanto sul fare misericordia. È da questa consapevolezza che il santo riconosce sé stesso nell’altro; ed è solo passando per i lebbrosi che ha inizio la sua conversione: egli non può incontrare il volto del Cristo di San Damiano prima di aver visto il suo, riflesso nel fratello che soffre.
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Scrive infatti nel suo testamento “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.” (FF 110)
Francesco da figlio entra in questa relazione col Padre, ma può farlo solamente dopo essersi fatto portare tra i lebbrosi, perché è proprio nel lasciarsi guardare da questi occhi che egli sperimenta su di sé l’amore, e da quest’amore che salva e genera vita, può finalmente introdursi nell’intimità dell’io che viene riparato fino al raggiungimento del suo apice massimo sul monte della Verna, quando ricevendo nel proprio corpo i segni della passione, egli da soggetto che ama, diviene copia dell’amato e quindi un altro Cristo.
Qui risiede forse, tutta la bellezza dell’Assisiate, perché il miracolo più grande è che dopo 800 anni, Francesco ha ancora da dire alla mia vita e alla tua vita, che non bisogna aspettare il paradiso per godere della pienezza dell’amore, ma che già da ora si può iniziare a riparare sé stessi, immergendosi nell’amore misericordioso del Padre, che non ti lascia così come sei, ma che ti trasforma a sua immagine.
3Francesco riparatore della Chiesa
“E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.” Matteo 16, 18
Se volessimo dare un significato più profondo alla prima obbedienza analizzata come muratore, certamente possiamo affermare che essa è allegoria di un riparare la Chiesa in senso molto più ampio, che non può limitarsi alla sola San Damiano, ma all’intera Chiesa. Qui non parliamo di strutture, o meglio non di quelle esclusivamente architettoniche, ma di un periodo storico fortemente di prova, dove ancor prima di Lutero e Calvino, la Chiesa si trova a fare i conti con l’esigenza di riforma.
Mentre sorgono gruppi importanti come i catari e i valdesi, non di meno fazioni più circoscritte ma ugualmente piene di fervore, si ribellano all’autorità dei vescovi e del papa, organizzandosi con una propria gerarchia popolare, e scindendosi dalla comunione con la Sede Apostolica.
Il Papa non sta a guardare, e risponde con scomuniche e crociate; ed è proprio in questa storia che Francesco, seppur ispirato da principi evangelici e genuini, deve fare i conti con il secolo che vive, e a dover ricevere le diffidenze del collegio cardinalizio riunito attorno al Papa, a cui chiede l’accettazione della sua regola di vita.
Francesco si reca con alcuni compagni alla curia romana riunita in San Giovanni in Laterano, espone a papa Innocenzo III la sua richiesta di approvazione del modo di vivere il santo Vangelo, ma ottiene come risultato quello di essere cacciato via.
In Francesco si vede tutta la fede cristallina di un uomo che continuamente cerca di vivere in modo straordinario l’ordinarietà; Egli ha piena fiducia in Dio che se il progetto di vita dei frati minori venisse da lui, allora egli troverà la strada per attuarlo. Avviene così che nella notte, secondo il racconto del biografo san Bonaventura, Innocenzo III sogna il poverello di Assisi mentre sosteneva con le sue spalle la chiesa lateranense, che ormai si trovava tutta in rovina.
Nel testamento, Francesco scriverà: “Poi il Signore mi dette e mi da una cosi grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue che essi ricevono ad essi soli amministrano agli altri.” (FF 112-113)
In frate Francesco, davvero la Chiesa viene riparata! I suoi sermoni, il suo stile di vita nei confronti dei chierici e l’invio a predicare dei suoi frati in tutto il mondo, metterà pace in tante città. Tra questi, non possiamo certamente tralasciare, i santi Protomartiri francescani e sant’Antonio da Padova.
4Francesco riparatore dei luoghi di Terra Santa
“Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa” (Luca 10, 3-5)
Durante il primo capitolo generale del 1217, mosso dal desiderio di mettere in pratica il vangelo, Francesco invia in tutte le nazioni i suoi frati, compresi i luoghi di Terra Santa. Da sempre infatti, nel santo e nei suoi compagni arde quella passione per l’incarnazione del Cristo; desideroso di dare la sua vita come martire, e dopo alcuni tentativi falliti, riesce nuovamente a partire lui stesso, e nel 1219 mentre l’auspicata liberazione dei luoghi da parte dei combattenti della quinta crociata era assai lontana, Francesco giunge sia al cospetto del sultano, sia a Damietta.
È in questo anno che stando alla documentazione storica, Francesco riesce a visitare almeno parzialmente le terre d’Oriente, e con il suo esempio fatto di grande umiltà e di profonda pace, riesce a sorprendere in maniera straordinaria da una parte i crociati, dall’altra il mondo islamico; dove non arrivarono le armi, arrivò il carisma francescano.
Le crociate si rivelarono un fallimento, e i cristiani persero anche le loro ultime rocche forti. La guerra non aveva portato da nessuna parte, se non ad ulteriori persecuzioni che con effetto boomerang, erano ricadute addosso; la presenza dei francescani rimane silenziosa, ma non per questo inoperosa. Il santo di Assisi è già transitato alla vita dei cieli, ma il suo esempio e la sua predicazione rimangono vivi e radicati nei i suoi figli che tra una cacciata e l’altra, e il sangue del martirio di alcuni frati, stanno alla porta ed aiutano amando tutti.
Dal 1322 alcuni frati cominciano a fare servizio nel santo sepolcro; nel 1333 viene concesso il santo cenacolo ai Minori, nella persona di Fr.Roger Guérin d’Aquitania e nel 1347 la Basilica della natività di Betlemme è affidata ai francescani.
Con la bolla “Gratias agimu” di papa Clemente VI, già dal 1342 i francescani ricevono il mandato ecclesiale di custodire i luoghi santi della cristianità. Ad oggi dopo oltre 800 anni dall’inizio della presenza francescana in quei posti, i frati Minori di Terra Santa continuano a custodire i luoghi più preziosi della vita terrena del figlio di Dio.
5Francesco riparatore del Natale di Gesù
«Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli» (Luca 2, 10-14)
Ai nostri giorni san Francesco è considerato il primo realizzatore del presepe nella storia, anche se questa etichetta, rischia di essere fortemente limitativa e fuorviante dalla vera ricerca del serafico.
Quale differenza c’è tra un quadro ed una porta? Sembra decisamente un azzardo questo accostamento tra un elemento decorativo ed uno architettonico, eppure oggi il presepe è un qualcosa che ci sta davanti, qualcosa per cui valga la pena fermarci a guardare, proprio come un quadro che ritrae un’immagine fissa; ma per Francesco il presepe è una porta d’ingresso che gli permette di entrare a vedere con i propri occhi tutti i disagi in cui si è trovato il Bambino di Betlemme, dalla greppia al fieno, dal bue all’asinello; Il biografo ci sottolinea:
(…) Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. (FF 469)
Non si tratta di emozioni o di sentimenti, ma di trovarsi dentro alla Natività! Se Dio stesso si è incarnato ed è venuto al mondo in una grotta in mezzo agli animali, e se per lui non c’era alcun posto poiché gli uomini avevano occupato tutti i posti disponibili, presi dal censimento e quindi dalla logica del fare, allora in Francesco veramente è riparata anche quella casa che Cristo non ebbe nemmeno da neonato, perché se non bastasse la greppia che il santo gli prepara, se non bastasse il suo cuore che trepida di gioia, persino la natura risente della venuta dell’Emmanuele, del Dio con noi.
Allora è qui che Francesco realizza la pienezza della sua chiamata al Cristo di San Damiano, è qui che ripara la sua casa, con un cemento che è mescolato più volte, armato da un componente forte per quanto debole che è l’umiltà, che ha l’obbedienza come filo conduttore, quella stessa obbedienza che gli fa vestire subito con entusiasmo i panni del muratore, ma che poi in realtà diventa il cantiere dove incontra l’altro per incontrare sé stesso, dove riapre le sue ferite per farvi entrare tutto l’amore di un Dio che vuole salvarlo.
E questo Dio che lo salva, gli chiede però di essere salvato lui stesso, nella sua Chiesa che è lacerata dall’uomo e che per mano di un altro uomo viene restaurata. Per continuare a salvare questa sua Chiesa, deve però camminare tanto e passo dopo passo entra nella casa di Cristo, in quella terra dove ha mosso i primi passi nella sua vita terrena, in quei luoghi santi dove ora combattono fratelli contro fratelli;
Francesco deve essere pace, deve essere incontro, dialogo e accoglienza e soprattutto deve essere colui che consegna le chiavi di casa del Padre ai suoi fratelli, senza entrarvi in possesso.
Sulla strada di casa, la sua missione si rivela ancora più grande e pertanto non basta aver lasciato riparata la casa del Padre, perché ora l’obbedienza si rivela nel far diventare ogni fratello una casa per il Padre, ed è a Greccio che ci consegna l’amore che si incarna, fragile come un bambino ma difronte a cui non c’è nessun cuore dove non possa entrare. E’ in questa logica allora che possiamo capire quanto accadrà sul monte della Verna, perché è passando per tutto questo e non diversamente che Francesco diventa egli stesso un altro Cristo.