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«Quando Gesù dice che bisogna perdonare tutti, anche i nostri nemici, io non sono d’accordo»

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Fraternità San Carlo Borromeo - pubblicato il 27/05/20
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Portare Cristo a chi non lo conosce rinnova il bisogno essenziale che noi abbiamo di Lui: c’è un Padre che ci ama e ci perdona, tutte le volte che glielo chiediamo.Di Emmanuele Silanos

Era l’estate del 2006 e mancavano pochi mesi alla mia partenza per Taiwan. Insieme a don Paolo Prosperi, eravamo stati invitati ad incontrare la comunità di una parrocchia in un posto incantevole della Valle d’Aosta. Tra i ragazzi che il giovane parroco del posto ci aveva fatto conoscere, c’era anche una giovane studentessa di antropologia. Mi aveva colpito per il suo sguardo intelligente e la sua curiosità. Ad un certo punto mi chiede: “Perché vai in missione proprio a Taiwan?”. “Che bella domanda!” penso tra me e me, e rispondo con entusiasmo, dicendole che in quel posto i cattolici non sono neanche l’uno per cento della popolazione: “Pensa a quanta gente, lì, non conosce Gesù!”. Lei mi guarda e dice: “Già, ma magari a loro non interessa, forse non ne hanno bisogno…”.


SUOR, ELENA, RONDELLI
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La sua è una domanda che mi sono portato dietro durante tutti gli anni passati in missione: se è vero che i taiwanesi non hanno bisogno di conoscerLo, che Gesù non è qualcosa che li possa interessare, allora che senso ha la mia missione? Di più: che senso ha il mio essere prete e il mio essere cristiano? Perché, se non interessa a loro, non interessa neppure ai kenioti di Nairobi, ai tedeschi di Colonia o ai cileni di Santiago.
Purtroppo la domanda di quella ragazza è oggi molto diffusa non solo fuori dalla Chiesa e tra chi la accusa di proselitismo: anche molti cattolici, soprattutto tra i teologi, affermano che non è così importante evangelizzare e che non è una priorità che si convertano quei popoli che ancora non conoscono Dio. Altre sarebbero le priorità della missione. La cosa più sorprendente è che questo pensiero è diffuso persino tra gli stessi missionari.

Penso a san Francesco Saverio, alla sua smania di andare in giro per l’Europa a scuotere tutti gli intellettuali che popolavano le università del ’500, dicendo loro quanta gente in Giappone, in India, in Cina, moriva senza conoscere Cristo.
Mi torna alla mente Mei Li, una studentessa che ho conosciuto appena arrivato a Taiwan. Aveva bisogno di esercitarsi con l’italiano e ci eravamo messi d’accordo che le avrei fatto un po’ di catechismo, per rafforzare la sua preparazione al battesimo. Un giorno, però, mi dice: “Senti, basta parlare di Gesù. So cosa dice e sono d’accordo con Lui ma non su tutto”. E mi racconta la sua storia: quando viene al mondo, i genitori realizzano che è nata la loro terza figlia femmina; viene così “ceduta” agli zii, dal momento che i suoi non sanno cosa farsene di un’altra bambina. Mei Li cresce con il cuore gonfio del rancore di chi è stato rifiutato, abbandonato. Quando il padre naturale muore, lei ha quattordici anni e non versa una lacrima per quel genitore che non l’ha voluta con sé. Quando la madre la chiama al telefono, risponde a monosillabi, e non vede l’ora che la conversazione finisca. “Ecco” mi dice, “quando Gesù dice che bisogna perdonare tutti, anche i nostri nemici, io non sono d’accordo: io, i miei genitori non li perdonerò mai”.
Come si fa a vivere senza perdonare? Come si fa a portare dentro di sé un dolore così pesante? Il perdono è una delle forme più alte di amore: ma è solo se si viene perdonati che si è capaci di farlo a nostra volta. E solo se si fa esperienza di essere figli si è capaci di amare. Cristo è venuto nel mondo per questo, per dirci che abbiamo un Padre che ci ama e ci perdona, tutte le volte che glielo chiediamo.
Nel 1988 don Giussani diceva:

Senza la presenza di Cristo e della Chiesa nel mondo, il mondo andrebbe in rovina in un soffio.

Questa è la ragione per cui andiamo in missione: perché senza Cristo l’uomo è meno uomo, incapace di amare, incapace di perdonare. In realtà, esiste un’unica missione, quella di Gesù. E a noi è chiesto (ad ogni cristiano è chiesto!) di mettere la nostra vita nelle Sue mani per essere strumento di quella pietà con cui guarda il mondo e con cui ha guardato, innanzitutto, noi.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DAL FRATERNITÀ SAN CARLO

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