Non è necessario che capiamo tutto di Lui, che abbiamo una fede da santi o da teologi, basta intuire che Egli è buono!Questa mattina (l’articolo fa riferimento al 9/01/2016 N.d.R), il Vangelo proposto dalla liturgia (Mc 6,45-52) mi ha colpita, perché me ne ha ricordato da vicino un altro:
[Dopo che i cinquemila uomini furono saziati], Gesù subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare.
Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.
Mi è venuto da pensare alla narrazione dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-53), che mi è sembrato svolgersi in parallelo; e dal raffronto sono nate delle riflessioni che condivido con chi lo desidera.
In Marco, i discepoli sono “costretti” a prendere il largo, ad allontanarsi dalla riva e dal Maestro sulla loro barca; e, nella Bibbia, il mare è sempre simbolo del male, delle difficoltà e dei pericoli (fisici e spirituali) della nostra vita. In Luca, i discepoli lasciano la città benedetta di Gerusalemme, lasciano il luogo della loro amicizia con Gesù.
In Marco, gli apostoli sono “affaticati nel remare” e hanno il vento contrario; in Luca, i discepoli hanno “il volto triste”.
In entrambi, Gesù raggiunge i suoi amici; in entrambi, Gesù “voleva oltrepassarli” o “fece come se dovesse andare più lontano”. Non vuole imporre la sua presenza, ma vuole essere invitato a restare.
In entrambi i casi, i discepoli non lo riconoscono, finché egli non si rivela loro (“Coraggio, sono io”; “Lo riconobbero nello spezzare il pane”).
In entrambi i casi, i discepoli “non comprendono” (“non avevano compreso il fatto dei pani”; “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro…”).
Infine, in tutti e due i casi, l’arrivo di Gesù porta la pace (“il vento cessò”) e la gioia (“non ci ardeva forse il cuore nel petto…?”).
Le somiglianze sono evidenti, ma possono rimanere solo un esercizio letterario; mi sembra bello, però, sottolineare il messaggio che mi pare se ne possa trarre. La nostra vita è intessuta di “viaggi per mare” in cui siamo abbandonati al fragile scafo di ciò che costruiamo, e che ogni soffio di vento forte o ogni ondata più grande delle altre rischia di rovesciare e distruggere; di momenti in cui ci viene da voltare le spalle a ciò che abbiamo amato perché ne abbiamo sofferto e non vogliamo soffrire più.
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In queste situazioni, Gesù si accosta e ci passa accanto; non ci obbliga a stare con lui, e anzi con discrezione si offre di allontanarsi se vogliamo rimanere soli con noi stessi e con la nostra sofferenza.
Si manifesta in modo diverso da come ce lo aspettiamo; ha il volto del nostro compagno di strada, ha la sembianza di colui che cammina lieve sul mare della sofferenza.
Possiamo chiedergli di venire nella nostra barca, e non è nemmeno necessario che capiamo tutto di lui, che abbiamo una fede da santi o da teologi; ci basta intuire che egli è buono, basta fidarci che la sua presenza possa portare un po’ di pace e di gioia nella nostra vita. E lui, con il suo sorriso, il suo incoraggiarci (“Coraggio, non abbiate paura!”), sarà il compagno di viaggio che darà senso al cammino.
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