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Fu a causa di una epidemia che nacque il nostro amato cono gelato

GIRL, EAT, ICE CREAM
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Una penna spuntata - pubblicato il 21/05/20
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Prima delle cialde monouso il gelato veniva servito in un bicchierino di vetro che, dopo una veloce sciacquata, passava al cliente successivo. Aahhh, non vedo l’ora di gustarmi un buon gelato artigianale!
Cosa c’è di più bello e naturale, in estate, di un cono gelato che straborda di crema, da mangiare mentre passeggi sotto il solleone?

…beh: un sacco di cose, tecnicamente. Ché il gelato – il must immancabile delle nostre estati – è un’invenzione piuttosto recente.


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Non è che nei secoli scorsi il gelato si mangiasse poco perché era una prelibatezza che solo i ricchi potevano permettersi. No: è che fino a epoche relativamente recenti, non esisteva proprio la tecnologia necessaria per preparare il gelato come lo conosciamo oggi: è solo verso la metà del Settecento che un italiano inventa una macchina refrigerante capace di solidificare gli ingredienti, mantecandoli e dando loro la consistenza ariosa che associamo oggi al gelato. Fino ad allora, i “gelati” – effettivamente, costosi e difficili da preparare – che venivano gustati alle corti dei re erano qualcosa di più simile alle granite o ai sorbetti.

Ma nel momento in cui la macchina refrigerante rende possibile la produzione di gelato in pochi minuti e a un costo tutto sommato basso, a fronte di un unico investimento iniziale – ecco: quello è il momento in cui, teoricamente, il gelato smette di essere un bene di lusso.

Se non fosse per un problema pratico: come lo conservo, ‘sto coso?
Posso anche produrne quantità industriali, ma poco me ne faccio se quello si scioglie entro cinque minuti dalla mantecatura.
E così, per almeno altri cent’anni, il gelato continua a essere appannaggio di pochi: preparato sul momento in locali selezionati e solo dietro comanda del cliente, finisce col diventare una prelibatezza che si può gustare, appena fatta, solamente al tavolo di una cremeria.

Il gelato d’asporto comprato a pochi spicci non era pensabile per una questione pratica, più che per fattori economici. Per la serie: il gelato io te lo vendo, ma tu come lo asporti?

Per ovviare all’annoso problema, i gelatai ambulanti si erano attrezzati con un carretto provvisto di ghiacciaia che garantisse la conservazione del gelato per un congruo numero di ore. E con dei piccoli contenitori di vetro da riempire all’occorrenza.

In Inghilterra li chiamavano penny lick, e il nome è già tutto un programma: al costo di un penny, il compratore poteva aggiudicarsi un bicchierino pieno di gelato… da leccare.
Come ci spiega Robin Weir, autore di Penny Licks and Hokey Pokey, Ice Cream Before the Cone, i penny lick – ormai diventati oggetti di antiquariato di un certo pregio, battuti all’asta anche al costo di 60 euro a coppa – erano dei piccoli bicchierini in vetro simili a quelli dei nostri shottini. Il doppio fondo che li caratterizzava dava al cliente l’illusione ottica di avere in mano un calice strapieno di gelato (…mentre, in realtà, il gelato era pochino, tutto ammonticchiato nella parte superiore). A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, con la crescente diffusione del gelato d’asporto nelle classi popolari, cominciarono a essere creati penny lick di altri formati: gli ha’penny e i tu’penny permettevano di soddisfare anche gli stomaci più ingordi e davano una chance anche alle tasche meno piene.

Il problema è che, ehm: i penny lick erano di vetro.
E il vetro è un materiale di pregio: non erano coppette usa-e-getta, per capirci.

Materialmente, per gustare un gelato bisognava sottoposti a questo rituale: far la coda davanti al carretto del gelataio, scegliere i gusti (ammesso che si potesse scegliere), prendere in mano il penny lick, mangiare il gelato sul posto, svuotare il bicchierino con due o tre leccate…dopodiché, il bicchierino veniva reso al gelataio.

Ecco un video esplicativo:

Il quale gelataio era pur sempre dietro a un carretto in mezzo alla strada con una fila di clienti in coda. Dopo aver dato al penny lick una veloce sciacquata in una bacinella piena d’acqua, il gelataio lo asciugava con un panno e lo utilizzava per servire i clienti successivi.

Reduci da tre mesi di pandemia, state inorridendo?
Eh, fate bene. Più volte, il penny lick (e altri dispositivi della stessa fatta utilizzati in altre aree d’Europa) furono accusati di essere potentissima fonte di contagio durante le epidemie di colera e tubercolosi.

Chi prima, chi dopo, a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, le varie municipalità cominciarono a mettere al bando questi strumenti di morte. La pandemia influenzale del 1919 e le nuove conoscenze mediche nel frattempo accumulatesi impressero una rapida accelerata all’abbandono delle coppette in vetro in contesti di gelateria d’asporto. Entro la metà degli anni ’20, l’utilizzo di contenitori monouso era obbligatorio sostanzialmente in tutta Europa, per evidenti motivazioni di tipo igienico.

L’alternativa esisteva già: il cono gelato. Era stato inventato nel 1903 e funzionava egregiamente, ma i gelatai ambulanti tendevano a snobbarlo a causa della sua fragilità, che ne rendeva complesso lo stoccaggio e il trasporto.
In questo caso, fu proprio una norma di legge a costringere i gelatai a ripiegare giocoforza sul cono in cialda, dando origine al gelato d’asporto come lo conosciamo oggi.

Nella tragedia che sempre comportano, le epidemie portano con sé risvolti inaspettati, di tanto in tanto!

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA UNA PENNA SPUNTATA

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