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Nella «lettera al Padreterno» di Paola Cortellesi Dio c’è, ma non c’entra

PAOLA CORTELLESI
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Annalisa Teggi - pubblicato il 16/05/20
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Tanta ecologia e ironia in stile romanesco sull’uomo che si sente padrone del mondo. Eppure tutta l’intuizione della fragilità che trapela sarebbe davvero da mettere nelle mani di un Padre.Ci sono tantissimi generi letterari, uno di questi è la «lettera a Dio»: con questo presupposto o cornice il più delle volte si raccolgono riflessioni personali sull’umano e si pongono domande, magari si veste la speranza sotto la forma di desideri che si chiede al Padre di esaudire. Si tratta di qualcosa che non ha Dio come vero destinatorio, ma piuttosto gli altri uomini. Ed è proprio quello che la cronaca ci permette di raccontare oggi.


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Sul suo profilo Instagram l’attrice Paola Cortellesi ha pubblicato un video in cui recita – appunto – una «lettera al Padreterno» che ci informa essere stata scritta dalla sua amica S.

donna straordinaria che ogni giorno si prende cura degli altri e ogni tanto regala poesie.

È un testo piacevolissimo con un tono romanesco calcato nella giusta misura per risultare ironico, ma comprensibile anche fuori dagli stretti confini della Capitale. Funziona molto bene la scelta di usare l’ironia scanzonata per puntare il dito su argomenti seri, l’effetto è quello di un’accusa che suona irriverente proprio nei confronti del diretto interessato, cioé l’uomo che si credeva una divinità in terra ed è stato messo al tappeto da un virus.

Ecco qui il contenuto recitato con maestria dalla Cortellesi:

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Li bastardi del Creato

La si ascolta con piacere questa performance poetica, certe immagini efficaci arrivano con più potenza grazie all’uso degli strumenti retorici. La rima rende tutto gradevolissimo. Ma sul contenuto non mi trovo altrettanto entusiasta. Più che una discendenza da Dio – a cui fittiziamente ci si rivolge – si sente una diretta dipendenza da Greta. Tutta la tirata ecologica iniziale sui mari inquinati, gli animali estinti, lo spreco umano fa parte di un filone narrativo trito e triste … quello di una generazione spaesata tra l’idolo della natura vituperata e le gabbie di una scienza razionalistica che ha rattrappito le anime:

L’homo sapiens se diverte a sfidare Madre Natura

Rimanendo nella cornice immaginaria, penso che, forse, fino a questo punto Dio potrebbe tollerare con un amaro sorriso che il suo progetto di creazione sia ridotto a questo fraintendimento: l’uomo non è solo l’evoluzione di una scimmia, men che meno la natura è una madre. Ma sono certa che Lui non starebbe zitto sentendo alcuni passaggi successivi, soprattutto quando l’umano viene ridotto a «li bastardi del Creato» e si rincara il colpo con

St’omo tuo non vale niente

Che siamo piccola cosa, poco più della polvere, è vero. Che basti poco per mandare all’aria i nostri sogni di onnipotenza, è vero. Ma non è vero che non «valiamo» niente; valiamo il prezzo che il Figlio di Dio ha pagato per noi.

Uscendo dalla cornice di mittenti e destinatari fittizi, è evidente che in un orizzonte che esclude un Dio Padre la prima cosa che va alle ortiche è il valore immenso dell’umano. E questo lo constatiamo nell’arco delle nostre giornate comuni e normalissime: se il giudizio sul nostro comportamento resta solo in mano nostra, nessuno potrebbe assolversi – in tutta onestà – e molti, me compresa, sarebbero pronti a fare i conti con la tentazione di essere inutili o addirittura di sentirsi dei parassiti.
Nella lettera tutt’altro che fittizia che Dio ha scritto all’uomo, e ha il volto di suo Figlio, la prima inconfutabile premura è il suo totale amore per il nostro valore. E non è un Padre con i paraocchi, sa bene quello che anche la Cortellesi osserva con sincerità:

‘o capisci, Padrete’, che co’ ‘ste opere imponenti, ‘ste invezioni, ‘sti portenti c’era parso de sape’ molte cose più de Te.

TIRED

Shutterstock | Robert Kneschke

L’umiltà è una virtù meravigliosa, ma senza la misericordia di Dio rischia di essere solo una reprimenda cattiva sul nostro male, con tanta amarezza e senza via d’uscita:

Ce tenevo che sapessi

che sta manica de fessi

senza un filo de umiltà

che Tu chiami umanità

ha capito la lezione

sotto i colpi del bastone

Non solo terreno

Dopo la pars destruens sulle gravi malefatte dell’uomo a danno del prossimo e della natura, lo sguardo si sposta sull’altro aspetto notevole della cronaca attuale. Questa creatura così egoista e superba è anche capace di gesti straordinariamente buoni. La poesia-lettera contiene nell’ultima parte una lode a chi dentro la pandemia ha dedicato ogni energia e sforzo per salvare vite, c’è un pensiero profondo anche per chi ha patito la malattia ed è morto solo.

m’emoziono adesso e tremo

che quest’essere mortale

a cui er male ha messo un freno

po’ far cose straordinarie

se capisce che è terreno

Questi versi, conclusivi, sono quelli che ho apprezzato sinceramente di più. Eppure una domanda mi è nata, non come obiezione ma come spunto: davvero se l’uomo si riconoscesse esclusivamente come creatura terrena sarebbe capace di essere migliore?

Umiltà non è puntare il dito sulla nostra piccolezza, ma capire come stanno davvero le cose. Cosa cambierebbe se al posto di «terreno» mettessimo «se capisce che è figlio Tuo»?. Perderemmo una bella rima e guadagneremmo un orizzonte dal respiro pieno di gratitudine e responsabilità. Cosa accadrebbe se scrivessimo davvero questa lettera a Dio? Dovremmo accettare con un’umiltà fuori da ogni stereotipo l’idea che Lui ci ha creati terreni ma anche eterni, mortali ma rendenti, fragili ma salvati. Sulla terra ci ha chiamati a collaborare a un progetto davvero straordinario perché non solo terreno. E, arrivati a questo punto, si apre quella grande voragine sulla libertà umana che è il vero unico collante in grado di saldare i due margini della ferita – la capacità del male e la tensione al bene – che in questo testo poetico restano distanti.

Lettera o preghiera?

Il genere umano produce molti generi letterari e continua a trascurare lo spazio vero in cui la parola dà il meglio di sé, la preghiera.

Scrivere a Dio non è pregare. Che differenza c’è? Nella lettera a Dio c’è una voce sola che parla, e non è neppure detto che la presenza reale del destinatario sia importante. Nella preghiera c’è una compagnia a cui aprirsi e in cui l’uomo incontra il silenzio parlante di Dio che si manifesta. Qualunque forma di riflessione umana che metta a tema le questioni urgenti di questa vita così piena di variabili eccedenti la nostra comprensione è benvenuta. Eppure, possiamo esortarci al coraggio vero di una narrazione che non abbia come esclusiva voce narrante l’io? La prima forma di superbia di cui possiamo fare a meno è quella del monologo, che non è solo una forma teatrale ma di quotidiana esperienza.

Ogni nostro gesto può essere contenuto in un monologo interiore o in una preghiera. Ogni gesto può ridursi a essere vivisezionato dalla nostra vista miope oppure guardato dentro il rapporto con Chi ci ha chiamato a essere. Il salto dal monologo alla preghiera è un’acrobazia astronomica, è passare dalla finzione letteraria alla realtà.

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