«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» non significa affatto che dobbiamo imporci la disciplina di trattenere la rabbia, ma crescere nella consapevolezza che la tenerezza di Dio è casa nostra. Di Suor Ebe
«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» – Mt 5,5. Continuiamo il nostro percorso sulle Beatitudini, in questo tempo di isolamento e di incertezza, in cui la casa è divenuto il nostro rifugio sicuro, ma allo stesso tempo comincia a starci stretta.
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La mitezza è una virtù difficile per noi da capire e da apprezzare, perché siamo abituati a pensare che sia una disciplina interiore che il cristiano deve imparare, il non rispondere al male che l’altro mi fa. Mi viene da sorridere al pensiero che, se questa è la nostra visione, semplicemente non saremo mai miti, e lo dico perché ne ho fatto e continuo a farne esperienza, soprattutto in casa! Finché essere mite rimarrà uno sforzo che io faccio per aderire a questo valore, durerà poco tempo. Infatti, accumulerò così tanta rabbia repressa che, alla prima sciocchezza, scoppierò!
Sapete quando ho capito cos’è la mitezza? Nella relazione con una mia consorella: una volta, mi aveva detto qualcosa che io trovavo ingiusto, così ho iniziato ad infiammarmi, a difendermi, ad evidenziare in modo piuttosto acceso quello che trovavo ingiusto… e lei mi ha ascoltato in silenzio. Quando io ho finito di parlare, lei mi ha detto: “Non ti preoccupare, io sono qui per accogliere anche i tuoi sfoghi”. A quel punto, la mia rabbia si è trasformata in commozione, perché lei ha saputo guardarmi con uno sguardo profondo, non si è fermata all’apparenza di quello che stavo esprimendo. Così ha fatto Gesù. Durante la Passione non ha mai risposto a coloro che gli facevano del male. Non si è dovuto sforzare di stare zitto. Era una questione di sguardo. Ci ha amati a tal punto da accoglierci anche mentre infierivamo su di lui.
Ma qual è il segreto di Gesù? Innanzitutto, “svuotò se stesso” (Fil 2,7). Gesù aveva un cuore libero, povero; aveva lasciato ogni pretesa di farsi giustizia da sé, non rivendicò il diritto di difendersi giustamente, come avrebbe potuto fare, e di farci scontare la nostra cattiveria verso di lui; rimette tutto nelle mani del Padre. Questo ha molto a che fare con il nostro senso di giustizia (che vedremo prossimamente). Scendendo ancora più in profondità, Gesù può fare questo in virtù della relazione con il Padre, nella quale riceve identità e forma. È la relazione con il Padre la sua casa, il suo rifugio, la sua consolazione, la molla che lo spinge a dare compimento alla sua missione. Vedete, è questo che fa la differenza! Noi non saremo mai miti per i nostri sforzi, mai da soli, ma solo se abbiamo un sostegno e un luogo sicuro in cui dimorare…e non è la casa in cui siamo costretti a stare per salvarci dall’epidemia! È la relazione con il Padre!
Nel libro Piccole donne, la mamma dice a Jo, la figlia più ribelle e irascibile, che non sa come fare a controllare il suo impeto:
Se di solito riesco a nascondere il mio dolore, le mie preoccupazioni, il mio bisogno di sostegno e conforto, è perché ho un amico anche migliore di tuo papà, che mi dà forza. Figlia mia, per te le tentazioni e le difficoltà della vita cominciano ora, ma potrai superarle se imparerai a sentire quanto sia grande la tenerezza del tuo Padre Celeste, come fai per quello terreno.
Quando hai trovato questo, hai l’essenziale della vita. Non a caso, la promessa è quella di ricevere in eredità la terra, cioè tutto! Chi riceve l’eredità? Il figlio. Allora, cari fratelli e sorelle, mettiamoci sulla scia di questo cammino di mitezza che, al contrario dei nostri sforzi, ci porta a dimorare nella relazione con il Padre e ad accogliere i fratelli in questo spazio.
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