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Dieci Comandamenti per il blogger cattolico

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Una penna spuntata - pubblicato il 10/05/20
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Lucia Graziano, un po’ la decana della blogosfera cattolica italiana, festeggia oggi i 15 anni del suo blog, pieno di chicche storiche e di perle sul lifestyle cristiano. Per festeggiare la blogger ha organizzato un party virtuale e ha cercato di raccogliere una sintesi della sua esperienza online in un decalogo.Oggi il mio blog compie quindici anni.
“È tanto!”, scriveva su Facebook una mia lettrice. “Se fosse un figlio, sarebbe già al liceo!”.

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In effetti sì, è tanto. E tanta acqua è passata sotto ai ponti dal giorno in cui, liceale io stessa, ho premuto il tasto “Pubblica” del mio primissimo post.
Se faccio mente locale e penso ai blog cattolici amatoriali classe 2005 che sono rimasti stabilmente attivi per tutto questo tempo, me ne vengono in mente solo due. Quel diavolaccio di Berlic è più vecchio di me di qualche mese, ma fortunatamente è maschio. Al femminile, potrò davvero dire di essere io la decana dei blog cattolici, come suggeriva un collega/amico?

Nel dubbio, io ho deciso di festeggiare la ricorrenza con tutte le formalità del caso (follie da quarantena). Su Instagram è un corso una specie di party virtuale socialmente distanziato, e qui onorerò la ricorrenza con un post celebrativo.

Come si celebrano quindici anni di blogging, mi sono chiesta?
Dopo aver lungamente riflettuto, ho pensato che sarebbe stato interessante uscirsene con qualcosa tipo

I dieci comandamenti per il cattolico in rete

per come mi è sembrato di poterli intravvedere, tra errori e riflessioni, nel corso della mia “carriera”.

1Non fare un idolo di te stesso

 

O del tuo successo social, se i numeri della community cominciassero a salire.
Ma anche se i numeri non sono tali da dare alla testa: non fare un idolo di te stesso. Non atteggiarti a primo motore immobile tua piccola o grande community, come farebbero i comuni influencer VIP.

Qualche giorno fa, su Instagram, una lettrice mi ha scherzosamente chiamata “la donna invisibile”, riferendosi alla mia fissazione di apparire poco o nulla sullo schermo. Lei scherzava, ma io sono seria nel dire che l’ho trovata una definizione splendida.
A me piace tantissimo che la gente abbia presente i miei ideali molto più di quanto ha presente il mio viso. Amo che le mille fotografie che metto online ritraggano le mie passioni molto più di quanto mostrano me personalmente.

Chiaramente, c’è modo e modo di comunicare e ognuno sceglie quello che trova più confacente. È ovvio che si può fare un ottimo servizio anche sfornando cinquanta selfie a settimana o facendo il live-blog delle proprie giornate: è questione di strategie.

Io, però, sono una bacucca la cui presenza online nasce quando gli smartphone non esistevano ancora e Facebook non si sapeva nemmeno che roba fosse. Sarà per quello che mi sento di dire: in un mondo nel quale sembra che i selfie e il live-blog siano l’unico modo per stare su Internet, penso sia importante ricordare che ci si può stare anche senza fare né l’una né l’altra cosa. Personalmente, credo che la mia linea da “donna invisibile” mi sia stata di grande aiuto per far parlare il messaggio che mi interessava, senza il rischio di essere io a parlargli sopra.
E per circondarmi di lettori e non di groupie, collateralmente.

Tempo fa, un amico si lamentava di come un/a influencer stesse mandando messaggi discutibili ai suoi numerosi follower cattolici. In risposta a quello sfogo, un suo amico commentava che il problema è a monte: perché i cattolici dovrebbero avere degli influencer, e non dei carismi nei quali riconoscersi?

Non avrei saputo dirlo meglio. Perché?

2Non usare il nome di Dio per giustificare scelte di vita personali

 

È un concetto sul quale mi sono già soffermata, ma non farà male ritornarci sopra. Tra i canali cattolici gestiti da laici, trovo si stia pericolosamente diffondendo il messaggio “adesso ti insegno come vivere la vita, dandoti la ricetta magica che ha funzionato per me”.
Il problema è che la ricetta che ha funzionato per te potrebbe non andare altrettanto bene per me.
Magari, tu ti senti pienamente realizzata da quando hai mollato il lavoro per fare la casalinga, ma non è detto che questa sia per forza di cose LA scelta di vita cattolica da proporre con insistenza a tutte le madri. Magari, la tua vita di fede è vistosamente rinata da quando hai scoperto la Messa in forma straordinaria, ma ciò non vuole necessariamente dire che questo debba valere per tutti.

Insomma: nessuno andrebbe da un monaco trappista dicendogli “no guarda, stai sbagliando tutto: dai retta a me, l’unica vita religiosa degna d’essere vissuta è quella del francescano missionario”. Ovviamente, tutti noi abbiamo la consapevolezza che il monaco trappista e il francescano missionario hanno due vocazioni vistosamente diverse ma ugualmente valide e sante.

Ecco, penso che un cattolico in Rete debba stare veramente molto attento a non presentare le sue personali scelte di vita come LE scelte di vita per il cattolico in generale.
Con ogni probabilità, le sue sono scelte di vita nobili e sante… ma alla pari di molte altre, che non per questo valgono meno.

3Decidi se è un hobby, un lavoro o una missione e comportati di conseguenza

Presente, il meme qui sotto?
Come dice un mio amico, “fa ridere perché è vero”.

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A spanne, io direi che esistono tre grandi macrocategorie di cattolici in Rete: quelli che sono online nei ritagli di tempo; quelli che sono online perché è il loro lavoro (oppure sperano che lo diventi); quelli che hanno “un lavoro vero” per pagare le bollette ma guardano alla loro presenza in Rete come a un elemento preponderante della loro testimonianza cristiana, al punto tale da volerle dedicare molto tempo e molte energie.
Ovviamente va benissimo ognuno di questi scenari. Ma credo che, prima di lanciare un progetto (di qualunque tipo), sarebbe prioritario capire fin da subito quale dei tre è più confacente al proprio status. Ed eventualmente rimodularlo sulla base delle reali possibilità.

Non c’è bisogno di avere uno spazio in rete curato a livelli professionali, se, effettivamente, la tua professione è un’altra. Però, penso che sarebbe oggettivamente utile (e sicuramente più appagante) avere uno spazio in rete a cui puoi dedicare un livello di cure superiore a quello della decenza, diciamo così.
Se non hai abbastanza tempo per essere costante nel gestire un blog, magari puoi limitarti ad aggiornare un profilo Facebook. Se non hai modo (o voglia) di moderare un flame, rimanda a tempi migliori gli argomenti che possono scatenare flame.

Se dovessi dare un consiglio logistico a chi vuole lanciare un progetto online nel 2020, sarebbe: piccolo o grande che sia il tuo progetto, quando ti butti cerca di fare dignitosamente solo quelle cose che sono nella tua possibilità. Purtroppo, Internet non è più quello di quindici anni fa, nel quale si era talmente pochi che la gente dava credito anche ai progetti raffazzonati e malfatti, aggiornati in modo discontinuativo (tipo il mio blog dell’epoca).
Lanciarsi oggi in un ambiente super-professonalizzato già sapendo di voler offrire un prodotto oggettivamente malfatto è un po’ come tarparsi le ali da soli fin dal principio. Il rischio è di essere troppo ambiziosi (ergo: di veder deluse le grandi aspettative), o peggio ancora di imbarcarsi in progetti insostenibili che finiscono col togliere tempo ed energie alla propria famiglia. Ci manca solo.

4Onora e rispetta la Chiesa, tua madre

Ma santissima la miseria. Io giuro che sarei disposta a pagare denaro sonante per far risuscitare un qualche santo inquisitore del passato allo scopo di chiedergli un parere su certi siti sempre polemici coi vescovi, sempre critici col papa, sempre pronti a sottolineare quanto faccia schifo questa Chiesa.
Sono convinta che, nella migliore delle ipotesi, lo sbalordito inquisitore li accosterebbe al tardo movimento patarino. Nella peggiore delle ipotesi, ordinerebbe la carcerazione proprio.
Ellamiseria santa, ma che è?
 In certi giorni, non ci si può più loggare su Facebook senza essere sommersi da una caterva di insulti al papa e ai vescovi. Regà: ma siamo cattolici romani, o cosa?

5Non entrare nella logica degli hater

Peraltro, vale sempre la buona regola per cui, se qualcuno ha detto o fatto qualcosa che non ti piace, non sei obbligato a commentarla online.

Se ciò vale per l’intervista del tuo vescovo alla TV locale, a maggior ragione varrà per le boiate che Tizio-il-Blogger scrive sulla sua pagina. A meno che Tizio non stia diffondendo notizie palesemente false o idee realmente pericolose, esiste sempre la possibilità di ignorarlo (e, al limite, di commiserarne l’idiozia nell’intimo del tuo cuore, se proprio non ce la fai a trattenerti). È davvero poco producente star lì, appostato sull’altrui bacheca come un falco, con le dita che sfrigolano al solo pensiero di poter scrivere l’ennesimo commento in cui dai dell’idiota al malcapitato.

Ogni tanto mi domando quale immagine debba proiettare all’esterno la blogosfera cattolica quando si presenta agli occhi di un agnostico curioso, di uno che ha appena iniziato un cammino di conversione o di chi, per contro, è dall’altra parte della barricata e ci segue con sguardo apertamente critico.
Sul serio: qual è l’utilità di mostrarci al mondo come una massa di nevrastenici che si insultano l’un altro? Ma stiamo zitti, piuttosto.

6Evita, per l’amor di Dio, la “lussuria del periglio”

Il termine è stato coniato pochi giorni fa da una mia lettrice durante una chiacchierata privata tra me e lei. Non avrei potuto trovare un termine più efficace.

Anche io a tredici anni trovavo molto ganza l’idea di essere l’unica santa vivente rimasta in terra, immersa com’ero in un contesto oggettivamente ostile (cioè una classe di scuola media con compagni che spaccavano in due il crocifisso dell’aula per giocare a fare i ribelli anticonformisti).
Intorno ai sedici anni, continuavo ad avere questo atteggiamento mentale stile “ultimo dei Mohicani”, ma ho quantomeno avuto il buonsenso di non farne mai la cifra stilista del mio blog nascente.
Attorno ai diciannove, ho cominciato a rendermi conto che la mia convinzione di essere costantemente perseguitata in odium fidei era più che altro una mia smania per auto-compiacermi, che oltretutto non rispecchiava neppure la reale complessità dei fatti.

Non ci va un genio per notare che molte fasce della società moderna non nutrono particolare simpatia nei confronti delle grandi religioni. Questo è ovvio, ma a me pare che sia francamente eccessiva l’ansia che spinge molti di noi a guardare a ogni singolo fatto di cronaca come all’ennesima riprova che il perfido imperatore ci sta perseguitando e dunque è giunta l’ora di armarci fino ai denti e ritirarci nelle catacombe.

Il povero cane protagonista di questo famoso video era chiaramente traumatizzato da tante brutture vere che era stato costretto a vivere. Ciò non toglie che il suo raziocinio fosse annebbiato dal terrore, facendogli vedere pericoli anche dove palesemente non c’erano.

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7Non aver paura di essere anticonformista

Avrei voluto scrivere “non rubare le idee degli altri”, ma sarebbe stato un po’ scontato: chi è quel vile che prende i contenuti degli altri e li copiaincolla sul suo sito?
Na: dopo anni e anni di fatica, questo livello minimo di netiquette l’abbiamo conquistato.

Quello che invece mi permetterei di suggerire oggi è: non sentirti in dovere di copiare le idee degli altri solo per allinearti al trend che in quel momento va di moda.
Davvero non è il caso di scrivere su argomenti su cui non si ha niente da dire solo perché “bisogna”, “lo stanno facendo tutti”. Non val proprio la pena di snaturare il progetto che ti sta a cuore al solo scopo di pubblicare contenuti che sai che avranno più condivisioni social.

Evidentemente, tutti noi scriviamo per essere letti ed è ovvio cercare degli argomenti che possano riscuotere un minimo di interesse nella gente là fuori. Però, ecco: penso che sia davvero una letale tentazione, quella di snaturare il proprio lavoro solo per il gusto di veder crescere il numero dei follower. Sono assolutamente convinta che si possa fare bene, meglio e con maggior soddisfazione stando nella propria nicchia, anche se sembra piccola.

8Per l’amor del cielo: documentati, prima di scrivere boiate!

A meno che tu non sia un genio eclettico dalla mente rinascimentale, è difficile che tu possa presentarti su Internet come esperto di qualsiasi settore dello scibile universale.
Avrai fatto degli studi in un campo specifico, no? Ci saranno degli argomenti che conosci a fondo perché ti appassionano in modo particolare.
Ecco: credo che sarebbe una buona idea assestarsi sulla norma prudenziale di trattare solamente quegli argomenti lì. O comunque, di documentarsi su un congruo numero di pubblicazioni autorevoli prima di trattare argomenti con cui non si ha dimestichezza.

I tuttologi di Internet, ormai, sono un po’ ridicoli – ma, quel che è peggio, si espongono a clamorose débâcle. E faccio un esempio a caso.
Personalmente, anche io sono contraria all’aborto, ma non scriverei mai un post per motivare la mia convinzione pro-life sulla base di considerazioni di carattere strettamente medico su (che ne so) le tempistiche di sviluppo dei blastomeri. Non è il mio campo, non ci capisco un tubo di blastomeri, a malapena so che esistano perché l’ho letto su Wikipedia.
Tempo due giorni, mi arriva sul blog il medico sostenitore dell’aborto che ha cinque master sui blastomeri e demolisce ad una ad una le mie argomentazioni. Io non sono materialmente in grado di controbattergli, perché effettivamente non conosco la materia quanto lui, quindi posso solo arroccarmi sulle mie posizioni. Statisticamente, va a finire a insulti e io ci faccio la figura della sprovveduta che non sa che cosa dice.

Ma che davvero è il caso?
Meglio se continuo a scrivere di Storia, grazie tante.

9Non desiderare la vocazione d’altri

social network hanno un potere meraviglioso e terribile: quello di farci entrare nelle case degli altri permettendoci di spiare la loro quotidianità (…o meglio: quanto della loro quotidianità gli altri desiderano che si veda).
Ho visto dirette Instagram fatte in pigiama seduti sull’asse del water; ho visto vlogger commentare indefesse l’ultima uscita editoriale col figlioletto seduto sulle ginocchia che piangeva come un ossesso e strappava le pagine del libro. Ho visto influencer approcciarsi a me con un grado di (ostentata?) intimità che francamente non mi aspetterei neppure dalla mia migliore amica.
Tutta questa studiata naturalezza può davvero trarci in inganno. Può davvero indurci a pensare che quella che traspare dai social sia la vita “vera” del blogger, tout court.
Sicché, corriamo davvero il rischio di pensare che, beh: se quel blogger ha una vita così perfetta, con una famiglia così armoniosa, con un lavoro così appagante, con slanci di fede così misticheggianti, allora lui ha capito tutto e io non ho capito un tubo.

Sembra scontato ripetere quelle considerazioni tipo “tieni conto che magari il blogger ha litigato furiosamente con la moglie trenta secondi prima di premere il tasto play della diretta”.
Però, forse non è scontato come sembra. Ormai, tutti noi siamo abituati a prendere le distanze dalla vita patinata dei grandi influencer, ma è pur vero che nessuno si ispira a Chiara Ferragni nell’ambito di un percorso di fede. I “nostri” influencer cattolici, al contrario, sono o corrono il rischio di diventare guru spirituali, e non icone fashion. E dunque, la cosa si fa molto più delicata, perché loro riescono a toccare corde molto sensibili del nostro cuore.

Ecco, io dico questo: sarebbe terribile cadere nella tentazione di pensare di essere pessime madri solo perché il nostro metro di paragone è la gallery Instagram della Perfetta Mamma Cattolica. I santi vengono dichiarati tali solamente post mortem e dopo un lungo processo.

10Non indurre il tuo prossimo a desiderare la tua vocazione

A proposito di Perfette Mamme Cattoliche.
Me ne viene in mente una che mi sta un sacco simpatica.
Ma veramente simpatica. Più volte ho chiacchierato con lei, anche privatamente. È di una gentilezza squisita. La ammiro tanto. Mi permetto di portarla ad esempio proprio perché la stimo profondamente e non ho mai avuto inimicizia nei suoi confronti.
Oltretutto, è talmente poco nota qui in Italia che sono moderatamente certa che non la conosciate.
Ma se per caso la conosceste per vie traverse, concordereste con me nel dire che la seguente descrizione è l’imparziale riassunto della sua presenza social.

Ella si è laureata nella più prestigiosa università del mondo ma si sente pienamente realizzata a fare la mamma casalinga. Ha un numero di figli decisamente superiore alla media: tutti quanti biondissimi, bellissimi (come lei), elegantissimi nei loro vestiti retrò e rigorosamente sempre appaiati con quelli del resto della famiglia. Vivono in una villa da film (letteralmente: ci hanno girato dentro un film) che è stata nido di idillio per tutta la famiglia in occasione di questa fruttuosa quarantena, durante la quale i pargoli hanno scoperto una improvvisa passione per l’acquarello producendo nature morte di incredibile dettaglio che io non riuscirei a imitare manco mettendomi di impegno.
Mi è perfettamente chiara la ragione che spinge questa donna deliziosa a raccontare la sua vita in questi toni. Ovviamente il messaggio è “è bello e sostenibile essere una famiglia numerosa; fare la mamma casalinga è totalmente appagante, non abbiate paura di esplorare questa vocazione”. E sono profondamente convinta che ci sia bisogno anche di questo tipo di testimonianze, se – come in questo caso – vengono date con equilibrio e senza ostentazione. Sennonché, penso che tutti quanti potremmo concordare sul fatto che una narrazione così idilliaca rischia davvero di far venire i patemi d’animo a chi – magari, dopo una giornata storta – si collega e si vede sparare in faccia tutte queste immagini di gioia piena.

La blogger di cui parlo non è una sciocca e sono sicura che abbia calcolato il rischio. Gestisce la sua pagina con tale maestria da non sembrare mai eccessiva o sopra le righe.
Lei, evidentemente, è molto brava e riflette attentamente su ciò che condivide e comeEcco: io mi auguro che le stesse riflessioni vengano fatte da chiunque decide di esporsi sui social. Se gli altri devono impegnarsi a non lasciarsi irretire dal sogno di una vita proprio come la nostra, noi stiamo mettendo lo stesso impegno per evitare di trasmettere agli altri una immagine troppo invidiabile della nostra vita?

No, sul serio, c’è da chiederselo, anche e soprattutto per le piccole cose. Il video in cui mostri quanto è santa e dolce la tua bimba mentre prega Gesù Bambino, serve primariamente a incoraggiare chi ti segue, o serve primariamente a far esplodere d’orgoglio il tuo core de mamma? È una domanda che ti fai, tutte le volte, prima di pigiare sul tasto “pubblica”?

Guardate che la risposta non è scontata. Io, quest’anno, ho condiviso su Instagram una serie di riflessioni sul mio modo di vivere il periodo di Natale. Il fulcro era “lo vivo in modo molto tranquillo, niente consumismo eccessivo e molta quiete familiare”.
Giuro che non avrei mai pensato che queste riflessioni potessero essere un trigger per i miei lettori, ma a un certo punto ho ricevuto un messaggio sulle linee di “basta, io ho capito che devo defollowarti fino a Capodanno, muoio d’invidia: vorrei anch’io poter vivere un Natale come il tuo, invece sono costretta a viaggi della speranza per andare a visitare i suoceri e poi devo adeguarmi al loro modo di festeggiare”.

Il messaggio era scherzoso ma a suo modo mi ha colpito. L’ultima cosa che vorrei fare al mondo è causare malumori moglie/marito o suoceri/nuora perché “se Lucia ha una famiglia perfetta allora pretendo di averla anch’io”. Che, ehm.
E dire che io non parlo mai della mia famiglia! Il tutto nasceva da una foto in cui parlavo del mio menù per la cena della Vigilia.

Il web 2.0 ha dato a tutti noi un potere comunicativo dalla potenza incredibilmente forte. Non dimentichiamocelo mai. Cerchiamo di riflettere sempre, e sempre a fondo, prima di adoperarlo.

Qui il post originale sul blog di Lucia Graziano

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