Quanto siamo bravi (ed ipocriti) a scovare le lacune della famiglia del partner? Scopriamo perché succede, e due consigli per liberarci da questo viziaccio. Di Marco Scarmagnani
Piuttosto comune è la tendenza genitoriale ad attribuire somiglianze ai figli: «In questo assomigli a papà, in quest’altro a mamma». Talvolta ci si allarga alle stirpi: «Le orecchie sono della mia razza» (razza!), con tanto di cognome trionfale. Giochetti innocui, ai quali partecipiamo – probabilmente – da quando abbiamo scoperto un nesso tra la sessualità e la riproduzione, circa 8000 anni fa, secondo l’antropologo svizzero Bachofen.
Il problema si fa più complicato quando si comincia ad attribuire ai figli somiglianze psichiche, non fosse altro perché – quasi sempre– le caratteristiche citate sono… spregevoli: «Sei come tua madre!, Vieni da una brutta razza, Questo non l’ha proprio preso da me! Marco non so che succede ma mi pare che stiamo impazzendo – scrive Roberto –. Non passa giorno che a tavola qualcuno non esca con qualche sproposito. Mi metto dentro anche io. Adesso che i nostri bimbi hanno qualche anno, pare che io e mia moglie non facciamo altro che vederne le caratteristiche negative…» … e – caro Roberto – non vi viene di meglio da fare che lanciarvi accuse reciproche.
Inutile accusare le rispettive famiglie
Probabilmente avete esaurito le lamentele personali e siete passati a rinfacciarvi la vostra provenienza, come se potesse avere qualche utilità.
A dire il vero l’attribuzione di difetti al lignaggio del partner non è una faccenda nuova, anzi, ma nell’ultimo secolo – complici le scienze psico-pedagogiche – è diventata una mania piuttosto dannosa.
Attenzione! Non sto dicendo che l’analisi sia sbagliata in sé, ma la sua esagerazione (trovare interpretazioni e spiegazioni per tutto) ed il suo fine (semplificare per evitare la frustrazione della complessità, mettere l’altro in una posizione di svantaggio, presumersi superiori) sono assolutamente disfunzionali nella famiglia.
Per interpretare ci sono i professionisti, ma con moderazione!
Le “interpretazioni” andrebbero lasciate a chi lo fa di mestiere, ma anche quest’ultimo le limiterà esclusivamente alla finalità per cui è stato coinvolto.
L’analisi – nella maggior parte dei casi – contiene elementi di verità. Il problema è che questa verità sono unilaterali e monoculari, tendono ad essere appiccicate ai figli e al partner, rendendo paradossalmente più faticosi i percorsi di rielaborazione e crescita personale.
Che fare?
- Impegnatevi deliberatamente a valorizzare la famiglia dell’altro. So che è dura e per nulla spontaneo, ma potrebbe essere davvero interessante farlo, rimanendo in contatto con le vostre emozioni. In altre parole: come mi sento quando faccio un apprezzamento ad una caratteristica della famiglia di mio marito, di mia moglie? Arrabbiato? Deluso? Sollevato? Fateci caso.
- Fate ampio ricorso all’ironia. Ironia non significa banalizzare; significa portare entro una cornice più leggera il quadro che state dipingendo. Sorridere insieme dei vostri limiti, e pure della difficoltà a tollerarli, sarà un toccasana per i figli.
Fiabe e miti raccontano le trame familiari
Nelle fiabe e nei miti il tema del rapporto tra la propria origine ed il percorso di vita individuale è molto sentito. Ne L’asinello (Grimm, 144) l’animale diventa umano grazie all’amore dei genitori e alla sua personale perseveranza. La provenienza è importantissima, ma non del tutto determinante: quello che una persona costruisce nella sua vita dipende dalla sua capacità di mettere a frutto i talenti che ha ricevuto e accogliere i limiti che ha ereditato. In Eros e Psiche (Apuleio) il giovane Cupido deve uscire dalle influenze di mamma Venere per poter pervenire ad un livello di amore maturo, ma anche la bella Psiche deve staccarsi dalle sue sorelle e dalle aspettative di suo padre.
La vita è troppo interessante per essere bloccata in una definizione. Lavorare ed elaborare!