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In Mozambico si assaltano le chiese e il mondo non lo sa

ACN
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Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 06/05/20
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“È importante che si sappia cosa sta accadendo: 52 giovani sono stati massacrati il 7 aprile per non essersi uniti agli insorti”Papa Francesco è stato una delle poche autorità internazionali a parlare pubblicamente della violenza terroristica nella provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico. Una tragedia ignorata da molti e sconosciuta da altri.

Maria Lozano, della fondazione pontificia internazionale Auito alla Chiesa che Soffre (ACS), ha parlato con il vescovo cattolico monsignor Luiz Fernando Lisboa, alla guida della diocesi di Pemba, situata a Cabo Delgado, per analizzare la situazione.

Qualche settimana fa abbiamo sentito degli attacchi alla città di Mocímboa da Praia, nel nord della sua diocesi. Com’è la situazione attualmente lì?

In questi ultimi mesi, non solo Mocímboa da Praia, ma anche Quissanga e Muidumbe sono state attaccate. Sono tre le località importanti che hanno subìto degli assalti. In questo momento a Mocímboa da Praia la situazione è sotto controllo, ma ci sono stati molti furti.

Durante gli attacchi, molte persone sono fuggite dal villaggio cercando rifugio nel bosco per trascorrervi la notte. Alcuni ne hanno approfittato e molte case sono state assaltate, sono stati rubati cibo, vestiti e altri beni. La settimana scorsa [il 20 aprile], uno dei ladri è stato catturato e linciato dalla popolazione.

Purtroppo tutto questo clima di terrore finisce per generare insicurezza e criminalità emergente. Visto che la popolazione è stanca e molto nervosa, alla fine succede quello che è accaduto.

Ha parlato di Muidumbe, e proprio in questo distretto si è verificato l’attacco più recente, il Venerdì Santo, 10 aprile, alla missione cattolica nel villaggio di Muambula. Cosa si sa di questo attacco?

Nel distretto di Muidumbe in due giorni della Settimana Santa sono stati attaccati sette villaggi, tra
cui Muambula, dove si trova la missione del Sacro Cuore di Gesù, a Nangololo. Hanno assaltato la chiesa e bruciato vari banchi e l’immagine della Madonna, fatta di legno nero. Hanno anche rotto un’immagine del Sacro Cuore di Gesù, patrono della parrocchia. Fortunatamente non sono riusciti a bruciare tutto il tempio, ma solo i banchi.

Era il primo attacco a una chiesa?

No. Sono state attaccate e bruciate cinque o sei cappelle, ma anche moschee, anche se ultimamente sembra che l’obiettivo siano le chiese cristiane. L’aspetto tragico per noi è che questa missione di Nangololo ha quasi cent’anni ed è la seconda missione della diocesi. È stato quindi un attacco molto triste per l’aspetto simbolico.

LUIZ FERNANDO LISBOA

ACN

È vero che si è verificato un massacro in uno dei villaggi del distretto di Muidumbe?

Sì, è avvenuto il 7 aprile a Xitaxi. Per la nostra immensa tristezza, 52 giovani che si sono rifiutati di unirsi agli insorti sono stati massacrati. Li riteniamo veri martiri della pace, perché non hanno accettato di partecipare alla violenza, alla guerra, e per questo sono stati assassinati.

Di quanti attacchi è a conoscenza dall’inizio del 2020?

Non so esattamente quanti attacchi ci siano stati. Come ho detto, solo in quest’ultimo attacco sono stati assaltati sette villaggi. Oggi ho letto un rapporto che parla di 26 attacchi quest’anno. Ad essere sinceri, però, credono che siano di più.

Gli attacchi terroristici sono aumentati dal 2017, e il Mozambico è passato dall’essere un luogo sicuro a figurare nella lista delle ambasciate relative ai luoghi di rischio… Perché è diventato scenario del terrorismo islamico? Cosa cercano esattamente i terroristi?

Credo che questo cambiamento nella percezione internazionale sia dovuto alla guerra a Cabo Delgado. Qui nel nord e anche nel centro del Paese ci sono stati attacchi a mezzi di trasporto, e questo crea una grande insicurezza.

Non direi, però, che il Mozambico sia uno scenario del terrorismo islamico. Gli ultimi attacchi sono stati rivendicati dallo Stato Islamico, ma ci sono ancora dubbi al riguardo. Alcuni dicono che si tratti di un gruppo locale che sta usando il nome dello Stato Islamico, altri che sia davvero questo. Non lo sappiamo.

Non sappiamo nemmeno cosa ci sia dietro tutto questo, ma immaginiamo che si tratti delle risorse naturali. Ci sono molti interessi, e chi sta finanziando tutto questo ha trovato un terreno adeguato per via della povertà e della mancanza di opportunità a causa della disoccupazione giovanile. Cabo Delgado è sempre stata una provincia molto povera, abbandonata da tutti, anche dalle autorità. Quello che vediamo è il risultato di tutti questi elementi.

Sono sempre le stesse persone a perpetrare questi atti di terrore in tutti gli scenari? Da dove vengono?

Come ho detto, non sappiamo esattamente chi siano gli autori di questi atti. Abbiamo notato che prima ogni attacco riguardava solo un luogo, ora si realizzano vari attacchi allo stesso tempo, almeno in due luoghi… Non sappiamo neanche da dove vengano, ma molti rapporti dicono che per una parte sono mozambicani e per il resto provenienti da Tanzania e altri Paesi…

Ma come agiscono? C’è una zona sotto controllo terroristico o fanno incursioni e poi se ne vanno?

Non so se possiamo dire che ci sia una zona sotto il controllo dei terroristi, ma c’è una regione in cui operano di più. La popolazione di quei villaggi ha dovuto abbandonare le proprie case e non può tornare perché i terroristi vanno da lì ad altri luoghi e poi tornano.

Questi attacchi hanno una componente religiosa?

È difficile da dire. Fin dall’inizio, le grandi autorità musulmane di Cabo Delgado e di tutto il Paese hanno preso le distanze dagli attacchi e hanno detto di non avere niente a che vedere con tutto questo. Qualche giorno fa hanno scritto una nuova lettera, la seconda, distanziandosi da qusti gruppi.

Nelle loro dichiarazioni sottolineano che l’islam è una religione di pace e di intesa tra i popoli, tra le religioni. Non vogliono la violenza. Non si può dire che questi attacchi siano stati compiuti da gruppi religiosi. Sia a Cabo Delgado che nel resto del Mozambico, non abbiamo mai avuto problemi interreligiosi o tra i leader. Abbiamo svolto molte attività insieme: preghiere, dichiarazioni e camminate per la pace.

Le religiose e i sacerdoti della zona sono in pericolo?

Abbiamo religiosi, uomini e donne, in tutta la regione in cui si verificano gli attacchi. I rappresentanti delle autorità, come maestri e personale sanitario, hanno lasciato i distretti perché stavano attaccando gli edifici pubblici. Gran parte della popolazione se n’è andata per paura. Anche varie organizzazioni non governative straniere che agivano nel territorio se ne sono andate perché sono state minacciate.

Ho chiesto ai missionari di andar via, perché come vescovo diocesano sono il responsabile e il rischio di attacchi era imminente, visto che erano gli unici ad essere rimasti. Stavano iniziando ad attaccare le chiese, e la violenza stava assumendo un tratto religioso. Devo preservarli, anche se vogliono tornare il prima possibile per servire il popolo.

Cosa fa il Governo centrale per alleviare questa situazione?

Il Governo centrale ha rafforzato e inviato forze di difesa. Sta facendo la sua parte, non so se potrebbe fare di più, ma è lì per difendere il popolo. Ci sono tuttavia molti giovani nelle forze di difesa che sono lì per puro obbligo, e al momento degli attacchi ci sono molte diserzioni, fuggono nel bosco con la gente. Hanno ben poca preparazione e scarsa capacità di affrontare questa situazione. Provo una pena terribile per i giovani, perché moltissimi hanno già perso la vita.

Il Santo Padre ha parlato nel suo messaggio di Pasqua del Mozambico, ed è una della poche voci a rompere il silenzio…

Sì, il giorno di Pasqua, dopo la celebrazione dell’Eucaristia e la benedizione Urbi et Orbi, il Santo Padre ha parlato della situazione che sta vivendo il mondo, della pandemia e dei vari conflitti nel globo. Per noi è stato importantissimo che citasse la crisi umanitaria a Cabo Delgado, perché c’è una certa “legge del segreto”.

A cosa si riferisce quando parla di “legge del segreto”?

La situazione è molto grave, perché non si può parlare liberamente. Alcuni giornalisti nel Paese sono stati arrestati, e a molti sono state confiscate le telecamere. C’è un giornalista della Radio Comunitaria di Palma, Ibraimo Abu Mbaruco, scomparso dal 7 aprile. È importante che si sappia cosa sta accadendo e che gli organismi internazionali, come le Nazioni Unite, l’Unione Europea o l’Unione Africana, agiscano.

Qui la gente ha sofferto molto, ci sono centinaia di morti, migliaia di persone che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Nella nostra provincia abbiamo più di 200.000 sfollati. È un’ingiustizia che grida al cielo. La gente qui ha molto poco, e quel poco che ha lo sta perdendo a causa di questa guerra. Chiedo aiuto e solidarietà per il mio popolo, perché possa vivere nuovamente in pace, che è ciò che desidera e che merita.

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