I dati dicono che il 30% delle scuole paritarie italiane non riaprirà a settembre. Perché questo sarà un gravissimo danno che peserà sul destino di tutti gli studenti, di tutta la scuola pubblica e anche sulle tasche degli italiani? Ce lo ha spiegato con chiarezza Suor Anna Monia Alfieri, da anni in prima linea nella difesa della libertà di educazione.Sono giorni drammatici e decisivi per la scuola italiana. Stanno venendo al pettine nodi fin troppo trascurati che riguardano gli istituti paritari, quelli che la vulgata di chi ragiona per pregiudizi e senza volersi confrontare con la realtà dei fatti continua a definire scuole private e per ricchi. Errori madornali entrambi, lo sa bene chi da anni suda su questo tema. Ricordiamo le basi: la scuola paritaria fa parte insieme alla scuola statale del sistema di istruzione nazionale e offre un servizio pubblico. Lo stabilisce la legge 62 del 2000, quando era ministro l’onorevole Luigi Berlinguer:
Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. […] Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap.
Le paritarie non sono e non dovrebbero essere scuole per ricchi; sono invece parte di un sistema educativo pluralistico, riconosciuto come valore indispensabile in tutti gli stati europei: ogni genitore dovrebbe essere libero di poter iscrivere i propri figli nella scuola la cui offerta formativa lo soddisfa di più. Di fatto le famiglie che mandano i figli alla paritaria sono contribuenti che pagano due volte i costi scolastici: con le tasse sostengono la scuola statale, con la retta pagano la scuola paritaria. Ritorneremo tra poco su questo paradosso, scoprendo che si chiama sussidiarietà al contrario.
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Veniamo all’attualità: il dramma legato all’emergenza del Coronavirus è stato un colpo ferale al cuore per la scuola pubblica, particolarmente per le paritarie. È stimato che circa il 30% di queste scuole non riapriranno a settembre. A quelli che fanno spallucce è bene anticipare subito che questo tracollo, oltre a pesare sul destino di circa 300mila tra gli studenti più fragili, si tradurrà in un possibile incremento delle tasse per tutti. Questo è un argomento che ci trova tutti in allerta, perciò facciamo chiarezza con chi può dipingerci l’orizzonte in modo approfondito ed esaustivo. I prossimi 15 giorni sono decisivi per il futuro di tutti perché al vaglio del Governo ci sono emendamenti essenziali per la sopravvivenza della scuola (che – leggerete – sono stati in precedenza stralciati dal decreto Cura Italia).
Ringrazio Suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche, che si è resa disponibile a fare una chiacchierata esaustiva con noi. La conosco da anni, ne stimo le competenze da plurilaureata e ne ammiro la tempra vigorosa. Grazie a lei interlocutori distanti politicamente si sono uniti sotto la bandiera della ragione e del buon senso, lasciamoci accompagnare dalla sua chiarezza a comprendere perché le settimane che viviamo sono così decisive per le sorti del nostro paese.
Ambrogino d’oro 2020: un premio all’impegno per la vera libertà di educazione e il diritto allo studio
Alla notizia suor Anna ha reagito con gratitudine e nuovo slancio per la battaglia che ritiene decisiva per il paese. Il suo nome compare tra eroi del mondo sanitario, e come loro, a diverso titolo, sta difendendo la vita e le possibilità di futuro.
Il 7 dicembre la cerimonia di consegna, nella memoria liturgica del Santo Patrono di Milano, S. Ambrogio.
“Dedico il premio a mio padre Luigi e a mia madre Cristina, e a tutti i genitori e agli studenti, certa che presto potranno scegliere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria senza alcun vincolo economico”. Con queste parole Suor Anna Monia Alfieri, una delle più accreditate esperte di formazione in Italia e strenua promotrice del diritto all’istruzione per tutti i bambini ha accolto il più prestigioso riconoscimento che ogni anno la Città di Milano conferisce alle personalità che si sono distinte nel contributo offerto alla comunità milanese e più in generale al bene comune della nazione, l’Ambrogino d’Oro. (Fonte: Interris)
Il suo nome in cima all‘elenco (alfabetico) delle medaglie d’oro delle civiche benemerenze del Comune di Milano, 2020.
E’ contenta e nemmeno quando arrivano gli allori tende a sedercisi sopra: piuttosto crede che la coincidenza tra questo riconoscimento e l’approdo, in questi giorni, della Legge di Bilancio in Parlamento. Perché se i tabù nei confronti della vera libertà educativa e del pluralismo delle istituzioni scolastiche sono squisitamente ideologici, il vero nodo che strozza queste fondamentali libertà è economico.
Cara Suor Anna Monia, sei impegnatissima ma hai trovato il tempo di rispondere all’invito di Aleteia For Her. Sul tema della scuola paritaria gravano pregiudizi da sempre che tu con pazienza e vigore continui a sgretolare nella loro inconsistenza alla prova della realtà. Mettendo da parte questa grave incapacità di apprezzare (o forse consapevole volontà di screditare?) il contributo pubblico della scuola paritaria, concentriamoci sugli assi cartesiani dell’emergenza attuale. In che senso il Coronavirus sta spezzando le gambe alle paritarie e, come conseguenza diretta, alla scuola statale?
Partiamo dal soggetto vulnerabile, quelle famiglie che si sono trovate di fronte alla reale difficoltà di pagare le rette della scuola paritaria dei loro figli. A causa della pandemia ci sono famiglie altamente indebitate, e sono quelle famiglie che, mandando i figli alla scuola paritaria, da sempre pagano due volte i costi scolastici: con la tasse pagano i costi della scuola statale, con la retta pagano la scuola paritaria frequentata dai figli.
Fermiamoci a spiegare bene questo e a capire in che modo la scuola paritaria si riveli essere un grande supporto per lo Stato.
Per capire l’emergenza attuale, bisogna in effetti cominciare da alcune fondamenta a monte. Il rapporto Ocse Pisa del settembre 2019 afferma che il percorso educativo di un allievo in Italia, dall’infanzia alle superiori, costa 89 mila euro e che un allievo in Italia che frequenta la scuola statale ha un costo annuo dagli 8000 ai 9000 euro. Ogni cittadino si fa carico di questo costo con le tasse che paga. Poi c’è il comparto delle scuole paritarie, anch’esse parte del sistema pubblico (come sancito dalla legge 62 del 2000): in Italia sono 12 mila gli istituti paritari, coi loro 900mila alunni e 160 mila dipendenti. Le famiglie che mandano i figli in queste scuole, sostengono la scuola statale con le tasse e pagano i costi scolastici una seconda volta. Come? Attraverso la retta versata alla paritaria. Ma queste rette sono molto inferiori rispetto al valore stimato dall’Ocse: si va dai 2500 euro per l’infanzia a un massimo di 5500 euro per scuole come i licei. È comprensibile a chiunque, con un minimo di ragioneria alle spalle, che con queste rette le scuole paritarie non riescono a colmare le spese (infatti il costo per studente resta quello stimato dall’OCSE: 8 mila euro) ed è facile concludere che, sempre queste scuole paritarie, si sono dovute indebitare per offrire il loro servizio.
Chi ha coperto questo gap che le rette non colmano?
Per le scuole cattoliche l’ha coperto per anni la Chiesa, i sacerdoti e i religiosi che hanno lavorato lì. Dopo la crisi vocazionale, venendo meno i religiosi, si è ricorso ai laici che giustamente andavano pagati. Questa è la prima volta che io parlo di Chiesa in relazione alla scuola paritaria e lo faccio per rispondere direttamente a quelli che chiedono con insistenza perché la CEI non intervenga. In realtà le scuole paritarie nascono non con una matrice cattolica ma civica. Sono scuole di ispirazione cristiana, laiche ed ebraiche. Offro qualche numero che ci tolga dal pregiudizio generale: tra le scuole paritarie secondarie di secondo grado in Italia su 1500 solo 500 sono di ispirazione cattolica. Quindi l’urgenza attuale non è un problema confessionale. A dicembre 2019 il comparto delle paritarie era altamente indebitato, però continuava a rimanere sul territorio perché era consapevole del dramma esistente, cioè che negli ultimi 5 anni più di 500 scuole paritarie avevano chiuso, con una perdita di 200 mila alunni … che si riversarono dove? In una scuola statale incapace di reggere il colpo di questi alunni in più. Il problema delle classi pollaio emerse allora, insieme a un aumento della spesa pubblica. Peraltro le scuole paritarie che chiusero in quel periodo erano del Centro-Sud e delle periferie, quelle davvero indispensabili per proteggere i soggetti più fragili. Il rapporto Ocse Pisa del settembre 2019 non fa altro che constatare quello che noi dicevamo già dal 2015: il sistema scolastico italiano è di scarsa qualità, perché è iniquo; il ricco sceglie e il povero si accontenta. La scuola non è più ascensore sociale ma un sistema classista: tende a rendere il ricco sempre più ricco e il povero sempre più povero.
Dunque: le scuole paritarie offrono un grande risparmio e supporto allo Stato, ma sono fortemente indebitate; le famiglie degli iscritti pagano due volte (tasse + retta). Poi arriva il coronavirus che mette molte di queste famiglie nella condizione reale di non riuscire più a pagare quelle rette che sono la fonte di sostentamento principale delle scuole …
Lo ribadisco, nel corso degli anni queste scuole paritarie hanno continuato a indebitarsi e ad andare avanti. Sono nate per tirar fuori l’Italia dalla Seconda Guerra Mondiale e per rispondere a un bisogno sociale. Negli ultimi tempi hanno dovuto fermarsi e interrogarsi: «La chiusura è la risposta giusta di fronte al grande indebitamento?» No. La consapevolezza di andare avanti nonostante le difficoltà enormi era quella di chi sa che senza il supporto della paritaria si sarebbe privata la nazione italiana di quel giusto pluralismo riconosciuto come necessario ovunque in Europa. Chi sono dunque queste scuole paritarie? Sono i primi finanziatori dello Stato italiano insieme alle famiglie che iscrivono i loro figli lì. Questo in Italia si chiama sussidiarietà al contrario. Un vuoto creato dallo Stato (in questo caso l’incapacità di colmare la richiesta educativa) di solito viene ricoperto da due fenomeni, uno l’opposto dell’altro: il primo è la criminalità organizzata, il secondo si chiama solidarietà o volontariato o, appunto, sussidiarietà al contrario.
Con il coronavirus, che è un evento straordinario e imprevedibile, le scuole paritarie che già vivevano uno stato di indebitamento non possono sopravvivere se anche le rette vengono meno. Il fenomeno sussidiarietà al contrario non regge più perché le famiglie si sono confrontate prima con la povertà percepita e poi con quella reale. Non sottovalutiamo la gravità della povertà percepita, quella che all’inizio della quarantena ha fatto dire a molti: «Oggi lavoro, ma domani?» oppure «Se a settembre le scuole paritarie non riaprono, mia moglie non farà più la maestra». Queste famiglie prima si sono spaventate, poi dopo 2 mesi di chiusura totale delle attività la povertà è diventata reale e non riescono più a pagare la retta. Siamo dentro un quadro assurdo di guerra tra poveri. Un mese fa io ho cercato di scongiurare questa guerra e di parlare ai genitori con degli appelli pubblici, dicendo: «Cari genitori, non conviene che la vostra rabbia e paura le incanaliate contro le scuole paritarie, perché non sono loro i vostri nemici. Voi dovete allearvi con i docenti e le scuole non contro qualcuno, ma per chiedere allo Stato italiano di venire in vostro soccorso oggi e per sempre». Alla luce di questo richiamo sono state fatte petizioni e per la prima volta è intervenuta anche la CEI; hanno parlato tutte le associazioni delle scuole paritarie ribadendo che non volevano soldi per sé, ma che il desiderio era che lo Stato aiutasse le famiglie, che hanno già pagato le tasse, a pagare la retta con una detrazione completa. Ci sono quelli che dicono: «perché non le finanzia la Chiesa con l’8 per mille?». Perché la Chiesa ha già dato prima tutto quello che poteva dare, e ha un tetto di indebitamento enorme.
Ricordiamoci che lo Stato italiano, che risparmia circa 6 miliardi di euro l’anno grazie alle scuole paritarie, destina appena 500 euro per ciascuno di questi 900mila alunni delle paritarie.
Permettimi di riassumere con un ragionamento elementare. Il costo di ogni studente resta quello di 8 mila euro l’anno, la retta delle paritarie arriva, facendo una media, a un massimo di circa 5500 euro a cui lo Stato aggiunge il gettone di 500 euro. Manca ancora molto per arrivare a un pareggio.
C’è un vuoto incolmabile. Il comparto della scuola paritaria non ha bisogno dell’elemosina e delle briciole per chiudere adesso i bilanci in pareggio, perché a settembre non riaprirebbe comunque. Se arriva un benefattore che dice alla scuola paritaria «ti do 10 milioni di euro per chiudere il bilancio», il problema resta perché le scuole a settembre non riaprono. Perché non riaprono? Perché le famiglie non riusciranno comunque a pagare la retta.
Lo Stato deve dare un supporto alle famiglie, offrendo lo strumento della detrazione delle rette altrimenti il 30 per cento di queste scuole paritarie a settembre chiude, vuol dire 1 su 3.
Lasciami fare l’avvocato del diavolo: e che problema c’è? Andranno nelle scuole statali.
Sì, vuol dire che 300 mila alunni a settembre si riverseranno nella scuola statale. Ed è qui il dramma. La frequenza delle scuole paritarie fa risparmiare lo Stato e ce ne renderemo conto molto bene, perché l’operazione irresponsabile del governo di non sostenere le scuole paritarie costerà 2, 4 miliardi di euro che vanno trovati oggi o potranno anche essere recuperati con le tasse, pesando ulteriormente sulle tasche degli italiani. Mi spiego meglio: fino a oggi uno studente della scuola paritaria costa allo Stato 500 euro all’anno; se passa nella scuola statale il suo costo diventa quello che dicevamo all’inizio, indicato dall’OCSE e cioè circa 8 mila euro; perciò i 300mila studenti in più che si iscriverebbero alla scuola statale costerebbero alle casse pubbliche circa 2,4 miliardi. In aggiunta, è stato quantificato il costo della riapertura scolastica statale alla luce delle esigenze del distanziamento sociale e delle norme imposte dal coronavirus: l’ex ministro dell’Istruzione Fioramonti ha detto che per riaprire la scuola statale a settembre occorrono 3 miliardi di euro se no non si parte.
Tutti questi soldi, che grazie agli emendamenti che avevamo presentato si poteva evitare di mettere in conto, verranno chiesti con nuove tasse? Può essere.
Peraltro le scuole statali sono a rischio riapertura a causa del problema delle classi pollaio; quando nel 2015 lo denunciavamo noi sostenitori delle scuole paritarie ci dicevano che non era vero. A fronte di questa criticità, riversiamo altre centinaia di migliaia di studenti in un sistema già al collasso? L’altra proposta che noi abbiamo fatto, con grande senso di responsabilità, è stata questa: ci sono 40 mila istituti scolastici statali? Bene. Ce ne sono altri 12 mila paritari? Benissimo, allora ridistribuiamo gli 8 milioni di studenti in tutte queste sedi e possiamo riaprire la scuola domani stesso, mantenendo il distanziamento sociale e a costo zero.
Parlavi di emendamenti, a cosa ti riferisci?
Col decreto Cura Italia sono stati presentati numerosi emendamenti per dare allo Stato gli strumenti per sostenere le scuole paritarie, e sono stati redatti da esponenti di ogni colore politico (tutta la Destra più PD e Italia Viva). Sintetizzo i contenuti:
– detrazione integrale delle rette scolastiche in tempi di covid-19 (attenzione: secondo i costi standard! Io ho dato un documento di garanzia al governo, perché non bisogna versare soldi a pioggia a scuola statale e paritaria. Ho suggerito di calcolare il tetto massimo dei soldi in base al costo standard dello studente).
– la richiesta di un contributo straordinario per scontare la retta
– aiuto alle scuole paritarie e alle famiglie con particolare attenzione al comparto 0-6anni
– contributi per la didattica a distanza (perché la scuola statale ha ricevuto finanziamenti in merito, ma la paritaria no).
Ecco. Tutti questi emendamenti sono stati stralciati dal decreto Cura Italia, poi sul decreto è stato messo il voto di fiducia e quindi non sono passati. Ora l’allarme è diventato sempre più pesante: perché questa operazione di detrazione delle rette permette non soltanto di riaprire le scuole paritarie ma di sostenere tutta la scuola italiana. E lasciami allargare l’orizzonte, permette anche di dare senso al lavoro dei medici che sono al fronte negli ospedali e stanno perdendo la vita. Una volta che hai guarito l’Italia se non dai prospettive sul futuro, la condanni a una vita di stenti. In questi giorni alla camera dei Deputati e al Senato tutte le forze della destra e parte delle forze della sinistra stanno ripresentando tutti gli emendamenti; facendo la conta dei voti, gli emendamenti hanno i numeri per passare. Questi sono i 15 giorni per salvare l’Italia.
Se per bocciarli useranno la scusa della copertura finanziaria, affermando che non c’è, mentono; perché il Governo sa già che a settembre – se le scuole paritarie chiudono – ci sarà un spesa di 2,4 miliardi di euro da sommare ai 3 miliardi di cui avrà bisogno la statale. Se oggi non si approva una proposta che con soli 2 miliardi di spesa risolve il problema, c’è qualcosa che non torna. E ricordiamoci che cosa c’è in ballo: se le scuole paritarie chiudono, chiudono principlamente quelle di periferia e del Centro Sud col rischio che qualcuno ha già evidenziato, cioé che i ragazzi finiscano tra le braccia della criminalità organizzata. Se non muoiono di Coronavirus, muoiono di camorra – ha detto un prete. Quel mezzo milione di studenti che già oggi non viene raggiunto dalla didattica a distanza è destinato a triplicarsi.
Mi allontano dal tema politico, che hai spiegato benissimo, per chiederti di ritornare al punto in cui dicevi che salvare la scuola è dare un senso al lavoro dei medici. Tu ti batti per l’istruzione non perché hai a cuore le aule o i banchi ma le anime di chi si siede a quei banchi. Che differenza c’è tra una scuola che non riapre e un’industria che non riapre? La mia provocazione non vuole sminuire il problema del collasso di molte aziende, ci mancherebbe! Voglio dire: perché dovremmo essere ancora più in allarme se le scuole non riaprono?
Se salta la scuola, salta per aria l’unica chance che noi abbiamo per far ripartire l’Italia. Altrimenti abbiamo curato l’Italia dal virus per consegnarla a una vita di stenti. Cosa ci insegnano i paesi emergenti? Per uscire dalla povertà si investe innanzitutto su due realtà: le strade e la scuola. Se non si investe nella scuola oggi, l’Italia del dopo coronavirus non ripartirà e apparterrà a quel quadro assurdo in cui c’è stato chi ha dato i soldi ma non i servizi. Se togli il comparto delle scuole paritarie condanni l’Italia al monopolio educativo, e attenzione: i regimi si fanno strada partendo dalla scuola. Il dittatore elargisce molti servizi, la scuola gli sta molto a cuore per legare a doppio filo a sé il popolo e censurare il pensiero. Il monopolio educativo è terribile e distruttivo. Dobbiamo guardare la situazione di oggi già col senno di poi, non so se mi spiego. Il pluralismo educativo tutela qualcosa di prezioso che stiamo già perdendo: il pensiero complesso. Un sistema civile e articolato ci garantisce certe libertà indispensabili ed è possibile solo grazie a un pensiero complesso. Pensa a cosa ci stiamo riducendo? Sette, otto anni fa abbiamo cominciato a dire che i discorsi lunghi non li leggeva nessuno, abbiamo cominciato a esaltare la rottamazione (via il vecchio!) e siamo arrivati alla nuova comunicazione: il tweet. Semplifica e non essere complicato!, questi i nuovi dettami. E nello spazio del tweet abbiamo consegnato il pensiero e la parola a una grande debolezza, abbiamo perso il pensiero complesso. Da quel momento è nata l’idea subdola del «E che ci vuole? Lo posso fare pure io! Sono un idraulico e posso fare il Ministro degli Esteri perché qualche volta ho parlato l’inglese». Politicamente, da questa deriva che solletica la reazione di pancia del paese ci abbiamo guadagnato – per sintetizzare al massimo – il reddito di cittadinanza che è quella sorta di assistenzialismo sociale che ti lega al padrone con una corda sufficientemente lunga per arrivare alla ciotola, ma non per uscire da casa.
In tempo di Coronavirus dobbiamo essere un po’ più responsabili di così. Non ha senso una guerra tra poveri, tra scuola statale e scuole paritarie, tra docenti e genitori, l’unica cosa che ha senso è che tutti questi si alleino in nome di qualcosa: se guarisco dal virus voglio vivere per una vita, almeno, dignitosa. Nell’emergenza anche l’ideologia si deve fermare, questa è responsabilità. Oggi il ceto medio è già condannato alla povertà e se togli loro anche la scuola, come fa a ripartire il paese? La scuola è la prima che deve riaprire.
Augurandoci a settembre di poter di nuovo accompagnare a scuola i nostri figli, da cosa ripartiamo? Quale speranza ti sostiene?
Come tutte le disgrazie della vita, quando arrivano, ti possono solo rendere più forte. A settembre noi dobbiamo voler ripartire con una reale alleanza educativa tra genitori e scuola, ma questa volta conquistata sul terreno della battaglia. Per anni abbiamo detto «i genitori sono troppo invadenti», abbiamo sdoganato il bullismo degli studenti e il bullismo dei genitori, abbiamo sdoganato l’incompetenza dei docenti. In realtà, avevamo semplicemente delegittimato il ruolo dei genitori e dei docenti. Quando si delegittima un ruolo, poi si passa a sostituirsi ad esso improvvisando. Il Coronavirus ci ha permesso di togliere molta polvere dal ruolo del genitore e dal ruolo dell’insegnante. Si può ripartire da questo scenario di verità. Gli studenti che torneranno su banchi a settembre proverranno da famiglie legittimate a chiedere conto dell’educazione dei propri figli e saranno affidati a docenti legittimati a formare gli studenti. Per dirla in breve: ciascuno starà al proprio posto e in questa armonia si potrà ripartire.
I ragazzi hanno reagito molto bene nella quarantena. Dobbiamo tenere a mente che il pensiero degli adolescenti e dei bambini è in fieri, si sta sviluppando; quindi tutti gli input della rabbia, della paura (sentono i genitori preoccupati per il virus, per i soldi che mancano, che litigano) si articolano in veri e propri disagi. Ci ricordiamo della gente che è uscita dalla Seconda Guerra Mondiale? Di che cosa aveva sempre bisogno quella generazione, quella dei nostri 90enni? Della dispensa sempre piena, perché avevano patito la fame. I nostri figli e studenti oggi stanno patendo l’insicurezza e dunque: di che cosa avranno bisogno che la loro dispensa sia piena? In quel bisogno si nasconde anche il pericolo. Un pacco di cibo in più scaduto in dispensa lo puoi buttare, ma se non hai curato certe insicurezze sedimentate nell’anima si aprono scenari molto più seri e gravi. Infatti si sta già pensando a vere e proprie task force di psicologi. Ai genitori in rinnovata alleanza con gli educatori è chiesto di rispondere al disagio creato dall’insicurezza, ne devono essere coraggiosamente consapevoli.
Piccoli passi in avanti
Venerdì 3 luglio 2020, in V Commissione Bilancio, è arrivato il sì che ha raddoppiato i fondi alle scuole paritarie, che andranno ad aiutare le famiglie indebolite dal Covid, che faticano a pagare le tasse e le rette. Il risultato è stato ottenuto grazie a una maggioranza trasversale: per la prima volta (quasi) tutti i partiti hanno sostenuto la libertà di scelta educativa.
Si tratta di 300 milioni che permetteranno di aiutare 12mila realtà, 900mila famiglie, 180mila dipendenti. L’emendamento “aumento del contributo per i servizi educativi e le scuole dell’infanzia” ha permesso di passare dai 65 milioni iniziali a 150 milioni di euro per arrivare all’ultimo salto a 300. «Una trattativa lunga, caratterizzata però da uno stile dialogico propositivo e onesto, che ha raccolto in Commissione il favore di tutte le forze politiche» – commenta Suor Anna Monia Alfieri che è stata protagonista di un flash mob davanti al Governo.
L’orizzonte resta cupo ma la soluzione ci sarebbe …
Sembra sicuro che la scuola riparta a settembre, ma come? E con quali gravi perdite alle spalle e in vista? A fronte di queste domande la battaglia sulla scuola pubblica (statale e paritaria) non finisce, ma anzi continua con più fermezza. Due i nodi ancora aperti da sciogliere:
1. È necessario approvare nelle aule del Parlamento l’emendamento relativo alla detraibilità integrale del costo delle rette versate dalle famiglie alle scuole pubbliche paritarie nei mesi di sospensione della didattica: ciò sanerebbe anni di discriminazione subita dai genitori, dagli alunni e dai docenti.
2. È importante l’intervento delle Regioni, Province e Comuni perché agiscano a supporto attraverso a) l’esonero dal pagamento dei tributi locali (alcuni Comuni si sono già adoperati in tale senso) per il 2020 causa emergenza Covid-19; b) finanziamento della didattica a distanza e pulizie straordinarie; intervento per il comparto 0-6 anni.
Resta anche da risolvere il problema degli spazi scolastici: il ministro Azzolina ha infatti dichiarato che occorre trovare una nuova collocazione per il 15% degli studenti che non possono essere ospitati negli spazi della scuola statale; si pensa a teatri, musei, edifici dismessi da riadattare all’uso. Con quali spese a carico dei cittadini? Per quanto il Ministro non voglia prestare ascolto a ciò, c’è una soluzione a costo zero che Suor Anna Monia Alfieri non si stanca di ripetere: le scuole paritarie offrono lo spazio necessario per garantire accoglienza e rispetto del distanziamento sociale.
Le 12.564 scuole paritarie italiane che sono frequentante da 866.805 studenti si sono già rese disponibili. Per il milione e 139.889 allievi che costituisce il famoso 15% che non potrebbe entrare in classe la scuola c’è: non è da costruire e non occorre spendere danari in più per inventarsi o per ricuperare spazi dismessi. Ci sono scuole pubbliche paritarie belle e comode, dotate di tutte le autorizzazioni igienico-sanitarie necessarie. Una scuola nuova costa almeno 9 miliardi di euro e ricavarne una da un edificio dismesso non costa meno. (da IFAMNews)
Possibile che il paraocchi ideologico ottenebri i pensieri fino ad annullare completamente il buon senso?
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