Su autorizzazione del vescovo, hanno compiuto un gesto senza precedenti, al posto dei sacerdoti, che non potevano entrare nei reparti
Su proposta del cappellano don Carlo Bergamaschi e in accordo con la direzione ospedaliera, nel giorno di Pasqua i pazienti affetti da coronavirus dell’ospedale di Prato hanno avuto la possibilità di accostarsi al sacramento della comunione ricevendo l’Eucarestia dai medici, gli unici autorizzati a entrare nel reparto.
La preghiera per gli intubati
Per quelli intubati, che non hanno la possibilità di comunicarsi, ma desiderosi di ricevere la comunione, è stata recitata una preghiera davanti al letto.
La preparazione di questo inedito gesto, molto atteso e desiderato dai malati in isolamento, è avvenuta nella cappella dell’ospedale. Qui il Vescovo, dopo aver recitato una preghiera insieme ai presenti, ha benedetto i medici e li ha autorizzati a distribuire la comunione (Toscana Oggi, 14 aprile).
“Ho pianto assieme ai pazienti”
E’ stato il dottore Lorenzo Guarducci, che insieme ad altri cinque colleghi ha distribuito l’Eucarestia ai malati di coronavirus.
«Ho pianto assieme ai pazienti. Gli ospedali sono luoghi di cura, ma non possiamo pensare di separare il corpo dallo spirito: mi rendo conto che nella lotta al coronavirus il nostro sforzo è troppo indirizzato a combattere i mali fisici dei pazienti», afferma Filippo Risaliti, uno dei medici coinvolti. «Sono state le parole di papa Francesco a spronarci – sottolinea – Quando ha detto che i sanitari avrebbero dovuto svolgere il ruolo di intermediari della Chiesa per le persone sofferenti abbiamo preso la decisione di proporci per distribuire la Comunione a Pasqua. Siamo gli unici che potevano farlo, dato che solo noi possiamo entrare in quelle stanze».
“Mi sono ricongiunto ai miei attraverso il Signore”
È stato un rito straordinario che nell’intenzione di questi medici ha voluto sanare una «doppia separazione», come spiega Guarducci: «una delle conseguenze drammatiche di questa pandemia è proprio l’isolamento, di malati e sanitari, da tutto e da tutti».
Come la maggior parte del personale ospedaliero impegnato quotidianamente nella lotta al virus anche lui da oltre un mese non torna a casa da moglie e figli. «Dare la comunione ai malati per me ha significato colmare questo vuoto, questo gesto mi ha fatto ricongiungere anche con i miei attraverso il Signore. È stata una delle esperienze più belle che ho vissuto nel corso della mia vita di uomo, di cristiano e di medico», dice ancora Guarducci (Avvenire, 15 aprile).
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