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Guccini: dopo l’emergenza non saremo migliori, dimentichiamo in fretta

FRANCESCO GUCCINI
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Annalisa Teggi - pubblicato il 15/04/20
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In un’intervista radiofonica il cantautore non ha usato parole tiepide sul futuro: l’uomo non è più capace di vera memoria, se non desidera altro che tornare in fretta alle comode abitudini perdute. Compirà 80 anni il prossimo 14 giugno, il noto cantautore di Dio è morto.  Lo si è sempre guardato come un mentore, un ispiratore o una guida, capace di suggerire riflessioni fuori dal coro delle cose banali. Certi lo trattano come un idolo e lo intervistano con lo stesso pathos con cui un tempo ci s’incamminava verso l’oracolo di Delfi; lui lo sa bene e schiva con maestria le trappole della retorica.


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Ho avuto quest’impressione ascoltando l’ultima intervista radiofonica che Guccini ha rilasciato a Un giorno da pecora: i conduttori erano tutti protesi a incalzarlo per scucirgli qualche grande verità esplosiva e lui, dalla sua casa tra gli Appennini, ha portato nient’altro che la sua realtà semplice e quotidiana. Che è la cosa più clamorosa, a volerla dire tutta. Ma si sa che sui giornali non funzionerebbe il titolo: «Guccini, tranquillo in quarantena con la moglie». Quindi quello che ora molte testate rilanciano è un breve passaggio emerso a fine intervista, la considerazione assai realistica di come Guccini immagina il mondo post-Covid19. Alla domanda di Giorgio Lauro: “Si dice: quando tutto finirà, saremo migliori. Lei ci crede davvero?”, ha risposto:

Non credo che dopo l’emergenza saremo migliori. Anche dopo l’11 settembre si diceva che sarebbe cambiato tutto ma non è cambiato nulla. Sono abbastanza cinico da questo punto di vista. È nella natura umana il dimenticarsi presto delle tragedie passate per riprendere la vita di sempre.

Ironicamente, l’intervistatore ha commentato con un sorriso: “Grazie di queste parole di speranza, maestro Guccini!”. Ma la considerazione precedente non è affatto pessimistica o disperata quanto sembra. È lo schiaffo di onestà che ci si aspetta da un amico sincero. Gli idoli sono molto bravi a sfornare tormentoni di parole che suscitano ondate di entusiasmo e furia, equamente divisi tra followers e haters. Molto più semplicemente, ogni uomo un po’ saggio sa che può donare agli altri ciò che è, il riverbero dell’esperienza vissuta. C’è dunque da lasciarsi provocare dall’amara riflessione sull’umanità che Guccini ha espresso, possiamo farlo tenendo conto di tutto quello che ha detto senza estrapolare solo la battuta finale come fosse una meteora.

La storia non è una maestra di vita, nel senso che non è una divinità incarnata in grado di educarci come una brava insegnante in classe. Il vero soggetto della memoria e del cambiamento è un altro. Sono gli uomini che devono imparare. Da chi e da cosa?

Presenze

Mi è piaciuta molto l’ironia sottintesa all’intervista a Guccini, le sue risposte sembravano sempre tradire le aspettative altissime dei giornalisti. Cosa mai farà un grande cantautore profondo e riflessivo in quarantena? Nulla, vive in casa con sua moglie. E cosa avrà mai rimuginato in un tempo così drammatico, quali pensieri ammirabili ha generato l’impatto della pandemia? Più che altro ha osservato, se stesso e il piccolo mondo attorno a sè. E cosa mai farà finito il tempo di clausura? Andrà al ristorante con gli amici.

Qui fermo il mio ironico resoconto, perché il punto è interessante. L’inquisitore radiofonico, arrivato al dettaglio del ristorante, era così spaesato nel constatare che le sue attese intellettualmente alte si scontravano con un muro di solida e triviale realtà che ha osato la strada dell’assurdo, chiedendo: «Ma andrà al ristorante per il cibo o per gli amici?». Guccini ha genialmente risposto: «Per entrambi».

Ci sono chiari segnali di avvertimento che suggeriscono quando è il caso di buttare la spugna dei pregiudizi. Volevi la verità profetica dell’oracolo? Eccoti la parola sincera di un uomo. E ascoltando questo scambio radiofonico, mi sono resa conto della trave enorme che è sempre in mezzo ai nostri occhi, così invadente e ingombrante da renderci alieni in casa nostra: schiviamo, inconsapevolmente ma con ogni mezzo possibile, la nuda presenza delle cose. Il pensiero non si ferma mai; o è impegnato a scavare all’indietro o è già preso dalla rincorsa alle ipotesi di ciò che verrà. Stare è un’azione per la quale non abbiamo muscoli allenati; il poco della normalità monotona è a noi insostenibile; il presente ci è presente solo se si manifesta con la forza di un pugno in faccia.

Non è affatto banale desiderare di andare al ristorante con gli amici. L’intervista è davvero riuscita nel suo intento clamoroso, anche se l’intervistatore non se ne è accorto: la presenza sia del cibo, sia degli amici è una cosa da gustare.  Non si sta più parlando della vita privata di un personaggio illustre, siamo entrati nel merito di una vera riflessione: la memoria è un gesto che comincia nel presente, nel modo in cui accolgo l’accadere grande o piccolo dei fatti e incontri quotidiani. L’essere solo in quarantena mi fa desiderare un momento conviviale, proprio perché vivo appieno la solitudine di adesso.

Cosa fa il grande cantautore in quarantena? Non molto, ammette Guccini:

Scrivo e guardo la TV.

A chi vuole dare un senso all’attualità cercando scandali risulta incomprensibile sostenere il peso di questa banalità, che banale non è. Non sono esperta della sua musica, ma ringrazio il signor Guccini di aver tenuto la rotta di questa intervista senza lasciarsi sviare, come evidentemente si auspicava dalla regia, sul terreno etereo dell’intellettualismo. La premessa all’affondo finale sull’uomo che dimentica in fretta e non impara nulla dalle tragedie è proprio questo indice puntato sul presente.

Pessimi smemorati

È proprio vero che noi non impariamo molto dal passato; e la prima colpa è del fatto che non lo viviamo come presente quando ci è dato. Guccini si definisce cinico nel dichiarare che non diventeremo migliori dopo la pandemia, io direi che è proprio realista. Ovunque si sprecano sintesi, giudizi, analisi e grafici. Siamo impegnati in una comprensione astratta di questo momento drammatico, molto probabilmente perché abbiamo paura di viverlo e basta. Anche nel qui e ora, siamo già altrove: pensiamo a cosa accadrà dopo, ipotizziamo il peggio del peggio o l’utopia delle utopie. Ci distraiamo in mille modi pur di non stare fermi a prendere atto di tutta l’inerzia drammatica che ci assedia, tremiamo di fronte all’ipotesi di dover ammettere che la nostra unità di misura vacilla quando ci viene tolta la frenesia e l’ansia da esito perfetto.

Ecco perché non saremo migliori dopo l’emergenza: il motivo principale è che non riteniamo degno di valore questo tempo immobile, lo riduciamo a una misera premessa di quel che verrà e non ci lasciamo interrogare e scolpire da ciò che ora accade nel piccolo ritaglio di vita vivente attorno a noi. Se il tempo del Coronavirus si ridurrà a una cronaca di statistiche su contagi e decessi, di vaghi ricordi di canti sul balcone e mille moduli di autocertificazione, allora non ci sarà nessuna memoria ma solo una brutta parantesi da archiviare. Riprendo un passaggio di Guccini:

È nella natura umana il dimenticarsi presto delle tragedie passate per riprendere la vita di sempre.

Non è forse vero che già adesso siamo concentrati sull’attesa di poter riprendere la vita di sempre? La memoria non sono le foto su Instagram o il forte pathos nel poter dire: «Io c’ero quando l’esercito portò via le bare a bordo dei camion». La memoria nasce solo dopo il travaglio di un presente patito e accolto; la memoria è impossibile se ora non siamo capaci di stare qui. Nessuno di noi si sente a proprio agio di fronte all’ipotesi che finita la tempesta del Covid19 (e quando, poi, si potrà dire finita?) diventeremo smemorati in fretta e ricadremo nelle pessime abitudini che ci eravamo ripromessi di evitare. Da una parte sarà inevitabile, dobbiamo ammetterlo anche con una certa leggerezza… consapevoli di quella cosa concreta e ostinata che definiamo peccato. Dall’altra possiamo richiamarci ora a non tentennare o tergiversare. Osiamo accogliere l’azzardo più grande, con i piedi piantati a terra e gli occhi al cielo: cosa mi chiedi Tu che mi doni questo presente? La gestazione di una vera memoria è tutta qui.

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