di Miguel Benítez Rueda
La quarentena ci ha dato troppe lezioni. Nell’epoca pre-pandemia, ci lamentavamo con grande nostalgia di come le nostre occupazioni ci impedissero di dedicare più tempo a cose che ci sembravano importanti, e che in un modo o nell’altro il nostro cuore reclamava.
Quante volte ci siamo lamentati del fatto di “non avere tempo” per chiamare qualche familiare o amico da cui ci eravamo allontanati, o di “non avere tempo” per leggere libri che volevamo leggere da anni o per riconciliarci con qualcuno che avevamo ferito o che ci aveva fatto del male?
Come frase di consolazione, in genere ci dicevamo “Lo farò quando avrò tempo”, con il verbo sempre coniugato al futuro.
Nella nostra vita spirituale accadeva spesso lo stesso
Quante volte, nelle nostre lunghe giornate, il nostro cuore si lamentava per il fatto di non trovare spazi di silenzo e raccoglimento in cui poter scoprire il volto buono del Signore? Quante volte scoprivamo nel nostro cuore il desiderio profondo di cercare Dio ma rispondevamo “Non ho tempo, forse più tardi, o domani”?
Quanto è stato sconcertante renderci conto durante questa lunga quarantena – in cui abbiamo più tempo libero del solito – che gli impedimenti per fare le cose rimandate non sono scomparsi, e che continuiamo a non farle?
Potremmo chiamare quella persona da cui ci siamo allontanati ma rimandiamo ancora, non lo facciamo. Potremmo dedicare lunghe ore a leggere tutti i libri che abbiamo comprato e riservato per il futuro, ma sembra sempre più attraente lanciarci in attività che ci stordiscono di rumore e tengono la nostra testa e i nostri sensi sempre occupati e distratti, pur stando in quarantena.
Potremmo anche approfittare di quei momenti privilegiati di silenzio e solitudine per incontrare Dio e abbandonarci al suo amore, ma rimandiamo. Forse più tardi. O domani.
Perché vogliamo lasciare sempre le cose per un altro giorno?
Riflettendo su questa contraddizione apparente durante la quarantena, mi sono imbattuto in queste parole di Gesù, che ha risposto a un rimprovero dei farisei perché i suoi discepoli non si purificavano le mani prima di mangiare. Gesù ha risposto loro: “Non quello che entra nella bocca contamina l’uomo; ma è quello che esce dalla bocca, che contamina l’uomo!” (Matteo 15, 11).
Poi ha detto ai suoi discepoli: “Non capite che tutto quello che entra nella bocca va nel ventre ed è poi espulso nella latrina? Ma ciò che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l’uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni” ( Matteo 15, 17-19).
Queste parole di Gesù mi hanno fatto pensare che i veri impedimenti nella vita, e soprattutto nella vita cristiana, non si trovano tanto nelle cose esteriori – la mia mancanza di tempo o le circostanze in cui mi trovo -, ma nel profondo del cuore.
È nel cuore che si svolgono le vere battaglie, e forse non si vedeva molto chiaramente quando la vita era normale ed eravamo sopraffatti da un’infinità di attività e di rumore.
È nel nascondimento del nostro cuore che prendiamo le decisioni
Ciò che conta davvero è se decidiamo di aprirci all’amore di Dio o al contrario ci induriamo e pretendiamo di vivere senza di Lui. Cercare risposte sul piano esteriore è in un certo senso andare dietro un’ombra, perché tutto ciò che è esterno è un riflesso di quello che c’è nel nostro cuore.
Per questo, il Signore non vede tanto l’esteriorità della nostra vita – le nostre azioni, i nostri successi o i nostri peccati, ma “guarda il cuore” (Samuele 16, 6) e “pesa i cuori” (Proverbi 21, 2). Egli sa che ciò che c’è di veramente autentico nel nostro cuore sono la bontà e l’amore, impronte che Egli stesso ha posto lì fin dall’inizio e che sono immagine della sua identità divina.
Egli ci dice “Tornate a me con tutto il vostro cuore” (Gioele 2, 12). Al di là delle nostre fragilità e limitazioni, delle nostre cadute e tribolazioni, Egli ci cerca, e vuole che apriamo sinceramente il nostro cuore alla sua misericordia e alla sua bontà.
Una volta messa a tacere la vita esteriore – come ad esempio in questo periodo a causa della quarentena –, diventano molto più visibili le nostre carenze interiori. Lo ha detto bene Papa Francesco nella benedizione Urbi et Orbi del 27 marzo scorso:
“La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità”.
Nulla ci impedisce di vivere uniti a Dio
Nulla di ciò che è esterno – una pandemia, una guerra o qualsiasi calamità possiamo immaginare – può davvero “ferirci a morte” in un senso profondo, visto che nulla di tutto questo ci impedisce di vivere uniti a Dio.
Quello che sboccia invece dal nostro cuore – la nostra durezza, la nostra vanità, la sfiducia, l’egoismo o le false sicurezze su cui avevamo costruito la nostra vita – ci schiavizza, e ci immerge a poco a poco in una spirale di disperazione e solitudine al punto che sembriamo di essere morti pur se in vita.
Molte circostanze esterne favoriscono o ostacolano sicuramente la nostra opzione di vivere l’amore, ma siamo sempre liberi di accettare le circostanze esterne con speranza e di volgere il nostro cuore al Signore.
Come trasformare allora la nostra interiorità?
Come lottare perché il nostro cuore si inclini sempre di più all’amore di Dio? In particolare, ho trovato molta luce in un passo del Salmo 50, in cui Davide, nella sua tristezza per aver tradito Dio, supplica: “O Dio, crea in me un cuore puro e rinnova dentro di me uno spirito ben saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non togliermi il tuo santo Spirito”.
Il Signore è l’unico che può trasformare il nostro cuore. Diciamo al Signore: “Signore, mi sono allontanato da te, e il mio cuore si vede costantemente ferito dalla vanità, dall’egoismo e dalla mancanza di fede, ma mi avvicino a te perché so che il tuo amore guarisce davvero le ferite che ci sono nel mio cuore e rinnova i miei fragili tentativi di amare e di seguirti”.
Approfittiamo di questo periodo di quarantena e silenzio per guardare la nostra vita interiore.
Poniamoci delle domande: come sta il mio cuore? Chi c’è in lui? Ma soprattutto, lasciamo che nel silenzio la parola di Cristo ci illumini e ci rinnovi interiormente.
Lasciamo che sia la sua misericordia a guarire il nostro cuore e a liberarlo da tutti i falsi attaccamenti e le false sicurezze, per poter essere liberi e, come ci ha invitato a fare Papa Francesco nell’omelia della Domenica delle Palme, “spendere la vita per Dio e per gli altri”.