Anche il Belgio è stato investito dallo tsunami coronavirus e si è trovato in parte impreparato. La testimonianza di Emily, moglie, madre di una famiglia numerosa e medico anestesista impegnata in primissima linea per fronteggiare l’emergenza, ci offre un esempio di fede, coraggio e profondo abbandono alla Provvidenza.La chiamo con qualche minuto di ritardo rispetto al nostro appuntamento, una prima volta non risponde – “Insisti se vedi che non ti rispondo, con tutti i bambini potrei non vedere subito la chiamata” – mi aveva detto il giorno prima.
Neanche quarant’anni e già madre di 6 figli, oltre che Anestesista in un Ospedale di Bruxelles, Emily ha nelle ultime settimane affrontato il dramma del Coronavirus, come medico in prima linea, ma anche come mamma di una famiglia numerosa.
La chiamo una seconda volta e mi risponde: “Scusa, stavo pulendo!” E certo, penso, non mancano neanche le pulizie di casa.
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La sua storia mi ha colpito in modo unico, perché so esattamente che proprio laddove la mia umanità non ce la fa a comprendere alcune cose come, per esempio, come da donna si riesca ad essere impegnate in un lavoro così esigente, e al tempo stesso crescere sei figli, si nasconde un mistero di grazia profondo. E volevo scoprirlo.
Ho conosciuto Emily grazie ad una nota vocale in uno di quei messaggi nei gruppi WhatsApp, come testimonianza di quello che sta vivendo in questi giorni. L’aveva registrata in pausa, tra un turno e l’altro in ospedale. La voce chiaramente stanca, provata dai lunghi turni di lavoro, ma con la speranza alla fine della gola. Racconti di spiragli di luce in un’emergenza che come in altri Stati, ha trovato parzialmente impreparato anche il Belgio.
Nell’ospedale in cui lavora hanno convertito il reparto di Day Hospital in reparto di terapia intensiva destinato al Covid19, e trovandosi in una zona a maggioranza abitata da immigrati, dove a causa di ristrettezze economiche molti appartamenti sono piccoli e sovraffollati, i primi casi sono arrivati uno dopo l’altro, a fiumi i primi giorni, tra molti membri della stessa famiglia.
Lei più che altro serviva nella prima emergenza – da anestesista accompagnava i pazienti in sala operatoria, dove poi avrebbe dovuto addormentarli e intubarli.
La gente arrivava nel panico, nessuno aveva detto loro cosa gli sarebbe stato fatto, non c’era il tempo e il modo di spiegare. “Cosa state facendo?”, chiedevano. E allora, in quei casi, stando attenta a toccarli il meno possibile, dovevo dare una parola di speranza. Bisognava calmarli, e sopratutto, far capire loro una cosa: che non erano soli. Che c’eravamo noi lì, ma anche le famiglie fuori, e tante altre persone che, anche se non li conoscevano, stavano pregando per loro. Non è facile nominare Dio, ma bisogna trovare altri modi per dire: Tu non sei solo, e sei amato.
E poi torna a casa. Provano a fare turni più lunghi per andare meno giorni in ospedale, così da contenere il rischio del contagio il più possible.
Dei suoi 6 figli, il più grande ha quasi 14 anni, il più piccolo 15 mesi.
Suo marito, Matteo, è un insegnante di sostegno a scuola, ma adesso con le scuole chiuse, è a casa anche lui con i bambini.
C’e’ tutta una procedura qui, quando si torna a casa. Ci si spoglia di tutto e poi si lava e si fanno lunghe docce prima di poter essere di nuovo disponibili. I grandi capiscono ovviamente benissimo, e mi chiedono, mi fanno domande su come sia andata la mia giornata, si preoccupano e pregano per me. Il tempo che stiamo condividendo in famiglia è un tempo di grazia, non capitava cosi facilmente di passare tanto tempo insieme. Anche nelle piccole cose, guardare un film con tutti la sera, o giocare tutti insieme. Accadeva, ma non così tanto. E mi rendo conto, che in un momento storico in cui la famiglia si sta sempre di più disgregando, Dio vuole riportarci in famiglia, Dio ci costringe a stare in famiglia e fare tutto lì fra di noi: i bambini puliscono, si vogliono rendere utili, sono molto motivati come non mai. Dio vuole farci riscoprire la bellezza della famiglia, e rafforzarla. Questa è una grazia. E’ una piccola grande resurrezione familiare.
E anche in ospedale, sto vedendo una solidarietà mai vista, ci aiutiamo tanto fra colleghi, quando normalmente ognuno è molto per sé, non c’è molto scambio. Ma invece questa situazione ci ha costretto a ritornare a sentirci vicini.
Le chiedo:
Emily, come fai a mettere tutto insieme? Il lavoro, I bimbi, la situazione di tensione del Coronavirus…?
E lei mi sorprende con la risposta che credo aspettassi nel mio cuore da tutta la chiamata.
Sono abbastanza in pace. All’inizio avevo molta paura, nella nostra equipe di 10 anestesisti in 3 si sono ammalati, quasi 1 su 3. E per quanto proviamo a stare attenti il più possibile, ci sono stati degli episodi di paura. Un giorno, e proprio nel momento di picco, c’e’ stato un furto di mascherine in ospedale, ne avevamo appena per una giornata, e comunque non abbiamo mai avuto le mascherine FFP3, quelle con la maggiore protezione, ma sempre e solo le FFP2. Adesso è cambiata la situazione. Mi dico: quello che accadrà, accadrà. So che ci penserà il Signore. Ho una serenità nel cuore che non viene da me, perché io sono invece una persona che si stressa facilmente.
Era arrivato un momento l’anno scorso a Luglio che non riuscivo più a gestire la maternità e il lavoro – avevo un’angoscia perenne nel pensare al domani e a come avrei fatto. Dovevo lavorare perché con 6 bambini non potevo permettermi di non farlo, ma onestamente dopo l’ultimo figlio avevo paura di non farcela.
E il Signore ha usato proprio questo, invece, per liberarmi e pacificarmi da queste angosce.
La fiducia nel fatto che Lui fa le cose, e non io. In più, col Coronavirus lavoro di meno anche se in condizioni più difficili e con turni più lunghi, e paradossalmente mi dà un po’ di tregua in questo momento. Sono grata di questo.
Il Signore usa tutto, anche il male, per aiutarti.
Non sto pensando al dopo, vivo nel momento. Domenica è Pasqua ed è tutto provvidenziale.
Anche la vita di preghiera in famiglia è cambiata. Abbiamo preparato tutto nei giorni scorsi per trascorrere oggi (ieri, Ndr) come Giovedì Santo nel migliore dei modi in una celebrazione a casa. E così anche per Pasqua. Abbiamo costruito un leggio, ogni bambino leggerà o presenterà le letture, hanno fatto tutti dei disegni. Addirittura, litigavano per chi dovesse fare cosa – “Perché lui fa di più e io di meno?” –
Questa e’ la Pasqua, la vittoria della vita sulla morte, e questo è il segno forte di questi giorni: che la morte, che le situazioni di difficoltà e di morte interiore non ci distruggono, in Cristo, ma ci rendono ancora più forti.”
Domani (oggi, Ndr), Venerdì Santo, Emily ha il suo ultimo turno in ospedale della settimana.
Sabato e Domenica resterà a casa, e festeggerà la Risurrezione insieme a suo marito e ai suoi 6 figli.