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È bello stare a casa, ma anche la Chiesa ammette che è difficile

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Tom Hoopes - pubblicato il 07/04/20
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In questo momento ci sentiamo davvero esiliati. Facciamo sì che sia un promemoria di quello per cui siamo fattiEccoci qui, tutti chiusi in casa in quest’epoca di pandemia da coronavirus, e in questa situazione è facile avere nostalgia di tutti i luoghi in cui non possiamo andare: partite di calcio dei bambini, giochi e recite, spettacoli teatrali, ristoranti, negozi e, cosa più scioccante di tutte, la Messa.

La Chiesa, però, ha molto da dire sul fatto di stare a casa, e questo è il momento migliore per scoprire le verità cattoliche sulla casa.

In primo luogo, la Chiesa ammette che stare a casa è difficile.

“Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita a un essere umano”, riconosce il Catechismo (n. 1648). Queste parole riguardano il matrimonio, ma si applicano a tutti i rapporti familiari. Possiamo idealizzare eccessivamente la vita familiare e dimenticare quanto può essere dolorosa. Chiusi a casa insieme, stiamo scoprendo nuove cose su noi stessi e sugli altri – e non sono tutte positive.

Ci sono nuove argomentazioni su quanto ciascuno dovrebbe prendere seriamente gli avvertimenti sul virus, nuove preoccupazioni sulle questioni finanziarie e vecchie argomentazioni che abbiamo imparato ad aggirare ma non possiamo più ignorare una volta che siamo costretti a stare a casa.

Ma il punto è esattamente questo. È proprio nel dolore della vita familiare che incontriamo Dio.

Quando le cose sono difficili, le coppie sposate imparano che Cristo “rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri”, afferma il Catechismo (n. 1642).

È a casa che inizia la santità

È innegabile che la lontananza dalla Messa sia una circostanza terribile, ma in qualche modo è anche una grande opportunità.

Proprio perché la vita in casa è difficile, Dio manda enormi grazie alle famiglie. La Chiesa dice non solo che la famiglia è una “chiesa domestica”, ma anche che siamo sacerdoti domestici.

La famiglia è il luogo in cui “si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita” (n. 1657).

In quest’epoca in cui possiamo unirci alla liturgia solo in maniera remota, come spettatori anziché partecipanti, questa leadership spirituale è più importante che mai.

Le famiglie scopriranno che “nelle gioie del loro amore e della loro vita familiare egli [Dio] concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze dell’Agnello”, dice il Catechismo.

Ma la famiglia non basta.


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Come qualsiasi cosa sulla Terra, l’anticipazione del Cielo che abbiamo nella vita domestica lascia molto a desiderare. Letteralmente.

“Avete mai provato, da bambini o da adulti, un senso di alienazione o discordia, un profondo senso di mancata appartenenza?”, ha chiesto padre Robert Spitzer nel suo libro Ten Universal Principles, sostenendo che questa alienazione si verifica anche quando le cose vanno bene e i rapporti sono saldi.

“Molti filosofi e teologi collegano questo sentimento al desiderio dell’essere umano di avere familiarità con la totalità – non solo con se stessi, con la propria famiglia, i propri amici o perfino il mondo, ma avere la perfetta familiarità senza alcuna traccia di alienazione”.

Questo desiderio di “casa” anche quando siamo a casa è il desiderio di Dio stesso.

È esattamente quello che ha detto San Paolo: “Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli”, ha scritto. “Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste”.

È per questo che la chiesa fa sentire a casa, e ora ci sentiamo esuli.

Per quanto la vita familiare sia splendida, la cosa più vicina alla “dimora celeste” a cui siamo destinati è la Chiesa.

Forse avete vissuto la mia stessa esperienza quando siete andati lontani da casa, sentendovi fuori luogo, e poi siete entrati in una chiesa cattolica e vi siete sentiti come se foste entrati nel salotto di vostra madre.


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E avete forse vissuto la stessa esperienza che ho avuto io guardando la Messa attraverso uno schermo. È utile a livello spirituale, ma ben lungi dall’essere soddisfacente. Quando lo faccio, mi sento come un orfano senzatetto in un romanzo vittoriano che guarda un banchetto di famiglia dalla finestra.

Con il tabernacolo come centro di gravità, le nostre chiese sono l’unico luogo sulla Terra quando il tempo e l’eternità si incontrano e si mescolano. Siamo fatti per Dio, fatti per stare alla sua presenza, amandolo ed essendo amati da Lui; è questo che troviamo in chiesa.

E allora, è il momento di riscoprire il valore del fatto di stare a casa con la nostra famiglia – e il valore della casa più grande a noi riservata quando tutto questo sarà finito.

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