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Ricoverato per Covid, paziente salvato dal tumore che non sapeva di avere

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Paola Belletti - pubblicato il 06/04/20
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Un male aggressivo, dal quale restare lontani a tutti i costi. Eppure persino il coronavirus è riuscito a fare del bene, suo malgrado. A Torino un giovane paziente in grave insufficienza respiratoria viene operato per massa tumorale alla trachea.Uno strano caso di serendipity, questo.

Poteva “ridursi” ad ingrossare le fila dei nuovi contagiati, scremati dai deceduti e dai guariti fino a finire anch’egli in una delle due colonne; poteva fare il grigio mestiere di  comparsa nelle fredde e un poco ossessive statistiche che ci raggiungono da ogni schermo ad ogni ora, invece no.

Ricoverato d’urgenza per insufficienza respiratoria, ma non è colpa solo del Covid

Colpo di scena magnifico, la storia di questo signore, ricoverato per infezione da COVID-19 e operato per un tumoraccio che non sapeva di avere. E salvato, umanamente, clinicamente parlando. Ma è troppo gustosa e commovente questa storia per non ricordarci che siamo noi, da quaggiù che imitiamo poveramente lo stile di vita di Dio. Permette un male – che prima ha fatto di tutto per impedire che vi incappassimo – per liberarci da un male ancora più grande, radicale e infido.


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Primo caso nella storia: asportato tumore da trachea in paziente Covid+

E’ successo a Torino; a noi lo racconta La Stampa ma a parenti, amici, figli, nipoti il protagonista lo racconterà di persona, ci auguriamo, e chissà per quanto tempo.

Una storia incredibile, che si racconta da sola. Per la prima volta è stata asportata una massa tumorale che ostruiva quasi completamente la trachea e i bronchi in un paziente Covid positivo con un intervento non invasivo, grazie alle équipe di Pneumologia e di Rianimazione dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino.  (LaStampa)

 

“Dio… non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande. (I promessi sposi, Alessandro Manzoni)”

Certo, quella del protagonista era una gioia assai precaria, era una quiete apparente con una tempesta già tonante in qualche quadrante del cielo, non visto. Eppure scoprirsi malato di questa terribile infezione e grazie a quella affetto da neoplasia in una sede tanto critica è un turbamento nel senso più pieno della parola. Nelle condizioni in cui è giunto al pronto soccorso non avrà avuto modo di comprendere e riflettere, ma possiamo farlo noi.

Lunedì scorso si è presentato al pronto soccorso dell’ospedale di Ciriè un giovane, positivo al coronavirus, con un gravissimo quadro di insufficienza respiratoria: indispensabile  l’intubazione in urgenza. A seguire, il trasferimento presso l’ospedale Giovanni Bosco di Torino: qui è stato scoperto che alla base delle difficoltà ventilatorie c’era una massa di quasi 2 centimetri; ostruiva quasi completamente la trachea e impediva persino la ventilazione meccanica necessaria per il trattamento dell’insufficienza respiratoria correlata all’infezione causata dal virus. (LaStampa)


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Benedetto, maledetto virus allora. E benedetti senza previa maledizioni invece, i medici; che troppo facilmente releghiamo in queste settimane larghe come mesi e brevi come pomeriggi tutti uguali nella stanza inaccessibile dell’eroismo. Sono loro stessi a non volerlo, eppure, lo ricorda anche il Santo Padre, si mettono a servizio degli altri a rischio della propria vita.

L’équipe rianimatoria, coordinata dal dottor Sergio Livigni dell’ospedale Giovanni Bosco in collaborazione con lo staff della Città della Salute di Torino, ha connesso il paziente alla circolazione extracorporea (ECMO) e l’ha trasferito presso la Rianimazione di riferimento delle Molinette, diretta dal professor Luca Brazzi.

Per salvare la vita del giovane paziente è stata eseguita in urgenza una manovra di disostruzione della trachea e dei bronchi coinvolti dalla malattia, con l’utilizzo di broncoscopia rigida, mentre la circolazione extracorporea garantiva idoneo supporto all’insufficienza respiratoria determinata dall’infezione da Covid. (Ibidem)

 

“Risuscitato” come Lazzaro ma per risorgere davvero come Cristo

L’intervento non invasivo è stato eseguito venerdì scorso, presso la Rianimazione universitaria, da parte del dottor Paolo Solidoro, broncoscopista della Pneumologia universitaria delle Molinette (diretta dal professor Carlo Albera del Dipartimento Cardiotoracico e Vascolare, diretto dal professor Mauro Rinaldi), con la supervisione del dottor Rosario Urbino coadiuvato dall’équipe anestesiologica formata da Chiara Bonetto e da Ivo Verderosa e dagli infermieri professionali Barbara Picco e Mario Viale. L’intervento ha avuto successo liberando le vie aeree dalla massa, così permettendo la sospensione della circolazione extracorporea e l’inizio del progressivo svezzamento dalla ventilazione. (Ibidem)

Non ha sicuramente risolto il problema della vita, questo signore, e nemmeno debellato del tutto il coronavirus, immagino; così come non lo abbiamo risolto noi rimasti ancora immuni dal contagio. Come non lo aveva risolto il caro Lazzaro, tornato vivo dal sepolcro ma destinato a tornarci nel giro di qualche anno. Eppure vedersi liberato da un male tanto grande e minaccioso grazie al servizio involontario resogli da un altro male così temuto come il coronavirus deve essere stata una trasfusione di speranza eccezionale. Un insegnamento e un promemoria per tutti, a volerne fare tesoro.

 

Per un bene più grande

Il Manzoni, citato tante volte in questo periodo e spero anche ripreso in mano e gustato – come mi riprometto di fare anche io a breve- ha proprio ragione a ricordarci come agisca Dio nella storia. Quella particolare e quella universale. Non se ne sta a riposo, ma viene a disturbarci (questa è un po’ più alla Pèguy come idea), preoccupato che non ci accontentiamo di gioie troppo piccole perdendo di vista quella definitiva. In pensiero se ci vede abituarci a saturare all’80% di ossigeno quando invece sa che abbiamo bisogno di espandere per bene i nostri polmoni e respirare aria pura e salubre.

Così possiamo volgere al bene anche l’esperienza di questa pandemia, dalla quale dobbiamo continuare a pregare Dio che ci liberi e contro la quale conviene che usiamo ogni nostra risorsa medica, sociale, politica, pedagogica. E’ un male oggettivo che però, come fanno loro malgrado persino gli spiriti immondi, rende testimonianza alla potenza di Dio e alla sua irriducibile preferenza per la creatura umana.



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Con tutti i distinguo del caso, possiamo vivere anche questa epidemia come il disturbo-civetta che ci porta in ospedale e ci fa finire nelle mani dell’equipe giusta, capace di curare sia questa infezione sia il male più subdolo e insidioso che ci sta intaccando da dentro, il peccato.

 

 

 

 

 

 

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