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Il popolo invisibile che ha cominciato a bussare alle porte della Caritas

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Agi - pubblicato il 31/03/20
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Le richieste di aiuto che arrivano alla Caritas sono aumentate del 30% nei grandi centri urbani. Una cifra destinata a crescere in questa emergenza coronavirus. All’AGI don Andrea La Regina, responsabile macro progetti della Caritas Italiana, lancia un appello alle istituzioni per una “maggiore coesione territoriale”Le richieste di aiuto che arrivano alla Caritas sono aumentate del 30% nei grandi centri urbani. Una cifra destinata a crescere in questa emergenza coronavirus. E quello che preoccupa non è solo il dato numerico. A queste richieste si accompagna un diffuso “senso di vergogna da parte di chi non avrebbe mai pensato di richiedere un aiuto materiale ed emergono anche i primi segnali di rabbia, sintomo di malessere umano e psicologico, ai quali i territori devono saper rispondere”. All’AGI don Andrea La Regina, responsabile macro progetti della Caritas Italiana, lancia un appello alle istituzioni per una “maggiore coesione territoriale”. “Ora è il tempo della collaborazione – afferma – affinché nessuno si senta ‘invisibile'”.

Don Andrea è da sempre in prima linea nelle calamità. Si pensi al terremoto all’Aquila del 2009, alle recenti alluvioni nel Nord Italia. Ora l’emergenza è tale che il popolo degli ‘invisibili’ è aumentato: “Penso agli anziani soli, a coloro che non hanno un rapporto familiare stabile, come i padri separati, ai lavoratori precari, a chi aveva un lavoro ‘in nero’. In tutti cresce una sensazione di solitudine e abbandono. Tutti hanno il terrore di non essere ascoltati”.

Ecco che i centri telefonici delle Caritas (224 quelle diocesane alle quali si aggiungono le parrocchiane) sono stati “rimodulati per venire incontro alle più svariate richieste. Un quarto di esse aderiscono al progetto Fead, il Fondo di aiuti europei agli indigenti”. I volontari non solo si attivano all’ascolto ma sono a disposizione per la spesa, l’acquisto di farmaci, il ritiro di ricette mediche. Le mense, chiuse in questo periodo, si sono “rimodulate e forniscono un servizio ‘take away’ all’esterno”, o di pasti a domicilio, continua don Andrea.

“Proseguono ovviamente i servizi di ascolto, conforto, attenzione, sostegno”, prosegue il sacerdote che sottolinea come in molte realtà vi sia già una collaborazione con i Comuni, con altre realtà, come il Banco Alimentare. “Ma occorre fare di più – insiste -. Occorre un welfare più esteso per ridare dignità a coloro che si sentono abbandonati e cercano di uscire dall’anonimato”.

Il monitoraggio della Caritas è continuo e sempre in aggiornamento. Difficile avere cifre precise. “Nei grandi centri, Roma, Napoli, Bari, Torino, Verona le richieste di aiuto sono aumentate fino al 30%, come il record di Milano. è un dramma sociale”, sottolinea. Se prima a rivolgersi ai centri Caritas erano immigrati e senza fissa dimora, ora l’emergenza coinvolge “le fasce dei lavoratori più vulnerabili, le prime a subire gli effetti della crisi”. In aumento gli interventi “alle piccole imprese, soprattutto quelle a carattere familiare, ai circensi, ai giostrai, ai minori”.

Si incrementa il supporto psicologico “agli anziani soli, alle famiglie che vivono la dimensione del lutto, soprattutto nei casi di impossibilità ad accompagnare i congiunti negli ultimi momenti di vita e di celebrare il rito delle esequie”.

Il lavoro delle Caritas, insieme alle diocesi, è anche quello di fornire strutture di accoglienza per le persone in quarantena o dismesse dagli ospedali. Al momento sono 65 le diocesi che hanno messo a disposizione strutture per accogliere 1.100 persone. In particolare sono 23 le diocesi (in 11 Regioni Ecclesiastiche) che hanno comunicato di aver offerto alla Protezione civile e al Sistema Sanitario Nazionale altrettante strutture per oltre 500 posti. Tra queste: Tivoli e Palestrina, Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, Locri-Gerace, Catanzaro-Squillace, Alba, Savona-Noli, Aversa, Albenga-Imperia, Ugento-Santa Maria di Leuca, Rossano-Cariati, Messina, Genova, Concordia-Pordenone, Mondovì, Siena e Perugia.

A queste vanno aggiunte 19 diocesi (in 8 Regioni Ecclesiastiche) – tra cui Città di Castello, Ferrara-Comacchio e Gaeta – che hanno impegnato più di 25 strutture per oltre 300 posti nell’accoglienza di persone in quarantena e/o dimesse dagli ospedali. Infine 21 diocesi (in 10 Regioni Ecclesiastiche) – Cerignola-Ascoli Satriano, Matera-Irsina, Torino, Pesaro, Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, Senigallia, Jesi, Fermo, Aversa, Rossano-Cariati, Roma, Molfetta-Ruvo-Giovanizzo-Terlizzi – hanno comunicato di aver messo a disposizione quasi 300 posti per l’accoglienza aggiuntiva di persone senza dimora, oltre all’ospitalità residenziale ordinaria che tiene conto delle misure di sicurezza indicate dai decreti del governo.

Un’attenzione particolare alcune diocesi la stanno rivolgendo al mondo del carcere e alle condizioni di quanti escono a fine pena e si trovano senza alternative. Una mappa della carità ampia e in continuo aggiornamento, che consente di ‘leggere’ il disagio sociale e permettere di gestirlo per evitare che il malessere si trasformi in tragedia.

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