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Le vittime del coronavirus a cui nessuno pensa

Don Pietro Sigurani

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Silvia Costantini - pubblicato il 28/03/20
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A tu per tu con don Pietro Sigurani, il prete dei poveri

A tu per tu con don Pietro Sigurani, il prete dei poveri

Il coronavirus sta mietendo vittime in tutto il mondo, non solo rubando vite, ma anche facendo danni enormi a livello economico, colpendo le fasce di popolazione più deboli. La conseguenza pratica? La crescita esponenziale dei poveri, di persone che non hanno di che mangiare tutti i giorni.

E dire che questo problema era già forte in Italia.  Basti pensare che secondo l’Istat, nel 2019 erano in condizione di “povertà assoluta“, cioè senza i mezzi per vivere con dignità, ben 5 milioni di persone, ovvero 1,8 milioni di famiglie, l’8,3% della popolazione italiana. Praticamente 1 persona su 12. 

Sono numeri impressionanti, ma adesso più che mai in crescita. E ora con l’emergenza del coronavirus, mentre c’è chi fa scorte di cibo al supermercato, c’è chi per comprare qualcosa da mangiare deve vendersi addirittura la fede nuziale.

Chi si prende cura di queste persone? Come fanno a sopravvivere?

Per capire meglio la situazione  da vicino, ne abbiamo parlato con don Pietro Sigurani, rettore della Basilica di Sant’Eustacchio, situata in pieno centro a Roma, tra il Pantheon e il Senato della Repubblica.  Don Pietro, conosciuto meglio come “il prete dei poveri” per le sue tantissime iniziative in favore degli ultimi, ha superato ampiamente la soglia degli 80 anni, di cui 59 vestendo l’abito talare. Da oltre 6 anni ha trasformato la chiesa di Sant’Eustachio, dal lunedì al venerdì, in una mensa,  allestendo alcune tavole in fondo alla navata, dove servire pasti caldi ai bisognosi. 

–Come è cambiato il vostro servizio con l’esplosione del Covid-19?

–Don Pietro Sigurani: In questo periodo di coronavirus non si può più servire il pranzo, perché non ci possono essere addensamenti. Quindi, i poveri vengono in chiesa e si mettono in fila, a distanza tra loro, e noi gli diamo dei cestini che devono contenere sufficiente cibo sia per il pranzo che per la cena. 

Mentre, in tempi normali riuscivamo a sfamare tra le 200- 220 persone al giorno, oggi riusciamo appena ad aiutare 70 persone. Ma questo è dovuto al fatto che ci sono ristrettezze nelle possibilità di movimento.

Sempre in questi giorni di coronavirus, siamo riusciti a dare accoglienza (con docce e letti) a circa  6 o 7 persone, perché con il freddo non si potevano lasciare per strada. Io avrei anche accolto gente in chiesa, ma non è possibile. 

–Chi è il povero che bussa per un pasto caldo?

–Don Pietro Sigurani: Ci sono tante storie dietro ciascuno. Una buona parte di loro vengono da situazioni di tracollo impreviste, come chi ha perso tutto per il gioco, chi è stato cacciato da casa, o chi ha avuto problemi di dipendenze, droga o  dall’alcool… 

Poi ci sono gli immigrati. Ma quelli che fanno veramente male al cuore sono gli anziani, che non hanno una pensione sufficiente per vivere. Alcuni di loro, per esempio, preferiscono venire a mangiare a mensa per poter risparmiare pochi euro e aiutare i figli, che magari sono senza lavoro o con lavori precari, ed evitare ai figli di elemosinare un pranzo alle opere di carità. 

Poi ci sono alcuni che sono mentalmente disadattati, che sono una piccola minoranza. Ma loro non amano stare con gli altri. Per cui cercano soluzioni alternative per sopravvivere.

–Qual è l’età dei poveri che vengono nella sua chiesa?

–Don Pietro Sigurani:  Sono due essenzialmente le fasce d’età: la più numerosa è quella dei giovani tra i 30 e 40 anni. Persone che non riescono a trovare lavoro o se immigrati, perché non hanno i documenti e anche perché hanno difficoltà ad adattarsi in posizioni subalterne, proprio perché abituati a vivere per strada, in modo indipendente. La situazione è estremamente complessa e ogni storia è un caso a parte. Però ci sono tante persone corrette.

E, poi come dicevo prima, ci sono gli anziani…che non hanno soldi per le medicine, mangiare…e che vivono una solitudine straziante.

–Restituire dignità ai poveri, come?

–Don Pietro Sigurani: Noi non abbiamo mai avuto problemi con i poveri, perché abbiamo sempre trattato tutti con immenso rispetto e dignità. Per esempio, quando vengono a mangiare al Sant’Eustacchio, sanno che ci sono dei turni a cui attenersi, mangiano seduti a tavola, non più di 40 per volta. I poveri, sono persone, sono figli di Dio! Non dobbiamo dimenticarlo. E allora, farli mangiare a tavola, dargli la possibilità di farsi una doccia…, è come restituirgli un pizzico di dignità.

–Quali sono i problemi maggiori che sta incontrando?

–Don Pietro Sigurani:  In questo momento, il nostro grande problema è la mancanza di opere di carità per la difficoltà delle persone a muoversi. Noi non accettiamo contributi pubblici, ma viviamo solo di carità, di donazioni private. Ma Dio ci aiuta. La provvidenza mi converte continuamente. Quando sto sul lastrico, arriva sempre e mi dice “devi avere fiducia”. Fino ad oggi è sempre arrivata. Dopo tanti anni, posso testimoniarlo! E, poi… il primo a voler bene ai poveri è Dio! Se addirittura tutta la nostra vita sarà valutata sull’amore per i poveri –“avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere… ero straniero e mi avete accolto…”–, il primo a provvedere deve essere Lui.

–Ci sono anche musulmani tra le persone che accudite?

–Don Pietro Sigurani:  Qui non c’è distinzione tra cristiani e musulmani. Sono tutti persone. E’ un nuovo modo di fare la carità che è mettere la persona al centro: se togli la persona, togli la vita al mondo.

Quando noi diamo da mangiare, facciamo il segno di croce, ma per i musulmani diciamo “nel nome di Dio”, in arabo, perché questa è la loro preghiera. 

–L’amore torna?

–Don Pietro Sigurani: Tempo fa è venuto un ragazzo  musulmano che aveva mangiato qua al Sant’Eustacchio, quando era in difficoltà economiche. Poi è riuscito ad aprire un piccolo ristorante e il primo mese di guadagni è venuto a donarlo qui, alla mensa dei poveri dove lui aveva mangiato. E  così mi ha consegnato 600 euro. Era tutto il suo guadagno! 

Noi dobbiamo riscoprire l’umanità.

–Quale preoccupazione porta nel cuore?

–Don Pietro Sigurani:  La cosa che mi affligge oggi è pensare a tutte quelle persone che dormono per strada, ma soprattutto le donne. Quando una donna perde dignità la perdiamo tutti, perché la donna è madre.

Il mio desiderio è fare in modo che nessuna donna debba più dormire per strada.

Avevamo iniziato a lavorare, prima del coronavirus sull’iniziativa “Viva Vittoria”, che avremmo voluto lanciare l’8 marzo, ma ora è tutto fermo. 

L’obiettivo è quello di trovare dei mini appartamenti da poter poi affidare a queste donne, per ridargli dignità, riportarle alla vita, al senso della loro esistenza. Cucinare, mettere a posto la casa, se hanno un figlio avere la possibilità di accudirlo…per restituirgli con la quotidianità, sia la responsabilità della propria vita che la dignità. Oggi il modo di fare carità deve cambiare, a partire da come trattiamo le donne. Nella Casa della misericordia, struttura che ho creato per dare accoglienza alle persone bisognose, in bagno c’è anche un pochino di trucco, perché magari queste donne, vedendosi un po’ più carine, possano volersi più bene.

L’idea di donna per me è nella festa dell’Annunciazione: una ragazza tanto amata da Dio che diventa Madre di Dio.

Per aiutare don Pietro e i suoi poveri qui i contatti:
Basilica di Sant’Eustacchio –via di Sant’Eustachio, 19 – 00186 Roma
Posta elettronica  santeustachio@santeustachio.it
Telefono dell’ufficio – 06.686.53.34

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