Don Giovanni Paolini racconta il funerale alle salme al cimitero di Pesaro. Deve rimanere a distanza dalla bara e dietro il cancello. “Neppure in guerra ho visto cose simili”
Ha 85 anni. In mano due armi invincibili: aspersorio per benedire e fede. Don Giovanni Paolini, ex parroco di Cristo Re a Pesaro, è uno di quei sacerdoti silenziosi che, davanti al cimitero del capoluogo marchigiano, e senza violare le norme, rende l’ultimo abbraccio spirituale a chi ormai non è più.
«Non ero ancora un adulto, ma ho visto i bombardamenti. Ma allora, almeno, ci si poteva abbracciare quando si aveva paura. Questo è uno scenario peggiore della guerra», dice Don Giovanni, già sacerdote di una terra martoriata dal coronavirus, con centinaia di morti e migliaia di contagi. Solo a Pesaro sono 1500 le persone positive.
Nella sua parrocchia se ne sono andati i«dieci in una settimana. Una cosa così non l’ho mai vista» (Il Resto del Carlino, 26 marzo).
Come avviene l’ultima benedizione
Ma come si benedice nell’era del virus? «Al cimitero andiamo con guanti, mascherina e con tutte quelle precauzioni che servono. Benediciamo con l’acqua benedetta, ma non si usa incenso. E, ovviamente, dobbiamo rimanere a debita distanza dalle bare».
«Il virus – prosegue – nega anche l’ultimo abbraccio. Un funerale è comunione e consolazione. Questa situazione ci ha portato via pure questo».
La cerimonia dura «il tempo della benedizione e della preghiera. Ovviamente davanti al cancello. Perché oltre è vietato andare».
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L’unzione degli infermi
Don Paolini, che a Cristo Re chiamavano ’San Giovanni’, è uno di quelli che guarda in faccia la sua missione con naturalezza e semplicità. Così come con naturalezza concepisce i pericoli e i rischi, ma che mette tutti i giorni in conto.
Non si risparmia neppure se ualcuno si ammala a casa. «Allora cerchiamo di essere di aiuto e conforto alla famiglia. E facciamo tutto quello che è possibile fare».
Per esempio, conclude, «l’unzione degli infermi. Ma sempre bardati e con ogni tipo di precauzione».
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