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Tre personaggi del Vangelo in tempo di Coronavirus: Lazzaro

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Don Francesco Cosentino - pubblicato il 26/03/20
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In queste ore drammatiche che segnano la vita del nostro Paese, possiamo sentirci rappresentati dalla preghiera di Marta e Maria, le due sorelle di Betania, che hanno il fratello ammalato e mandano a dire a Gesù: colui, coloro che tu ami, sono gravemente ammalati.

Si apre così il Vangelo della V domenica di Quaresima, che ha come suo protagonista Lazzaro. Dopo la samaritana e il cieco nato, Lazzaro è il terzo personaggio del Vangelo che ci parla in questo tempo di coronavirus.

Quella di Lazzaro è una storia in cui si mescolano dolore e speranza, lacrime e fede. Come a dirci che la storia della nostra vita e l’avventura della fede si giocano dentro questo legame e non in una situazione ideale, in un ascetismo senza passioni, in un’umanità analfabeta d’amore o in una spiritualità astratta e severa. Sia Gesù che le due sorelle piangono; ma, al contempo, si affidano alla potenza d’amore di Dio, che vince ogni morte. E la prima parola del Vangelo ci riporta al segreto di questa bella amicizia tra Gesù e la famiglia di Betania, che ci fa pensare, specialmente oggi, alle tante persone care che popolano la nostra esistenza e che non possiamo abbracciare; infatti, la storia si apre con le due sorelle che mandano a dire a Gesù: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. Nel Vangelo non ci sono regole e moralismi, ma c’è un respiro di umanità, che fa brillare il valore dell’amicizia e la compassione tra persone che si vogliono bene.


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Quando Gesù riceve la notizia non resta indifferente, ma decide di correre il rischio dell’amore: andiamo di nuovo in Giudea! Era appena dovuto scappare da lì perché i Giudei volevano ucciderlo, ma ha ben chiare quali sono le priorità: il bisogno dell’amico viene prima del tentativo di salvarsi la pelle. Un amore che ama fino alle lacrime: quando Gesù arriva, prima “si commuove profondamente” e poi, “scoppia in pianto” per la morte di Lazzaro. Abbiamo immaginato un Dio anaffettivo, distante, distaccato, imperturbabile nella sua perfezione, ma il Dio cristiano è invece l’amico che viene a visitare il nostro dolore, si commuove profondamente, piange la nostra morte. Nelle nostre lacrime ci sono anche le sue lacrime ed è questo misterioso bagno di solidarietà che ci trasforma e ci consegna alla vita nuova.

Infine, il Vangelo ci annuncia la più bella verità su Dio: Egli vuole che nessuno vada perduto, che nessuno rimanga legato nelle bende della morte, che tutti abbiano la vita eterna. Per questo ha inviato Suo Figlio: per farci risorgere da ogni morte. E nel dialogo con Marta, Gesù ci annuncia una cosa ancora più sconvolgente: la speranza della risurrezione non è una pura speranza ultraterrena, qualcosa che riguarda l’aldilà, una specie di consolazione del futuro per alleviare i dolori del presente: è la vita di Dio che ora, adesso, oggi stesso vuole entrare nella tua. Mentre Marta dice “So che risorgerà nell’ultimo giorno”, Gesù risponde “Io sono la risurrezione e la vita”. La prima usa il futuro, Gesù il presente. In Gesù, la risurrezione si è fatta presente nel qui e ora dei nostri drammi e la vittoria finale sarà il punto di arrivo di un cammino iniziato qui.

La risurrezione di Lazzaro, in tempo di coronavirus, ci insegna tre cose: il valore dell’amicizia, il pianto di Dio nella nostra sofferenza e la fede nella risurrezione.


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Anzitutto, questo Vangelo ci fa vedere come e quanto Gesù abbia tenuto in grande considerazione il valore dell’amicizia; nella sua vita terrena, Egli ha avuto molti amici, con cui ha condiviso gli entusiasmi della missione e i momenti più difficili. Marta, Maria e Lazzaro erano per Lui degli amici speciali. In questi giorni così sofferti, costretti a stare a distanza, ci manca il tempo condiviso con gli amici, ci mancano i sorrisi e gli abbracci, ci mancano le persone del cuore. Allo stesso tempo, la nostra preghiera è identica a quella di Marta e Maria: Signore, il tuo amico è malato. Ciascuno di noi ha un amico ammalato o si sente amico di tanti ammalati della nostra Nazione. E’ questo un tempo prezioso per imparare – ricordiamocelo dopo, quando sarà tutto finito – a considerare l’importanza dell’amicizia nella nostra vita, a ringraziare gli amici per la loro presenza, a coltivare fiducia e amore nei loro confronti e, nondimeno, a imparare che, per mezzo della fede, siamo diventati tutti amici e fratelli nel Cristo. Ogni uomo è mio fratello, disse Paolo VI. Senza differenze, distinzioni, pregiudizi e discriminazioni.

Davanti alla tomba di Lazzaro contempliamo inoltre una scena straordinariamente unica: Gesù scoppia a piangere. Questo Vangelo ci fa vedere allora il pianto di Dio nella nostra sofferenza, che in questo tempo di coronavirus può purificare il nostro cuore da tutte le immagini sbagliate di Dio: non possiamo pensare che Dio in qualche modo sapeva e non ci ha salvati, che forse questo virus è arrivato (o lo ha mandato Lui?) perché lo abbiamo meritato, che mentre noi soffriamo Lui non interviene. Al contrario, nella nostra sofferenza, Dio piange. Dio si commuove profondamente quando siamo toccati e feriti dal male, perché Egli combatte con noi per sconfiggerlo. Noi forse ci aspettiamo che lo faccia con miracoli straordinari, ma Dio, che non vuole imporsi dall’alto, dobbiamo scoprirlo altrove: è nel volto degli ammalati che lottano, nella generosità dei medici e degli operatori sanitari, nella luce che illumina gli scienziati mentre sperimentano farmaci e vaccini, nelle persone che in questi giorni si spendono per quelli che soffrono. Alcuni giovani hanno lanciato una bellissima iniziativa: uscire a bere una birra o andare al cinema, ma solo virtualmente e cioè dalla propria casa. Il prezzo di quella birra o del biglietto del cinema diventa una donazione all’Istituto Nazionale per le malattie infettive Spallanzani di Roma. Dio è proprio qui, in questi ragazzi e nella loro creativa generosità. Mentre piange con noi, suscita iniziative che preparano la nostra risurrezione.

Infine, la storia di Lazzaro, segno che anticipa la Pasqua di Gesù, ci educa alla fede nella risurrezione. Non come l’abbiamo spesso pensata, cioè come un destino dell’aldilà che dobbiamo meritare attraverso una vita di sforzi, ma come Gesù la annuncia: Io sono la Risurrezione. Lo sono oggi. Chiunque mi accoglie e vive in me sperimenta la potenza della vita dal di dentro del dolore e delle morti quotidiane, scoprendosi sorretto da una incrollabile speranza capace di sfidare tutte le evidenze contrarie. Proprio quando col bilancio della nostra vita che non quadra – scrisse il teologo Karl Rahner – ci rimettiamo a Dio e accettiamo pieni di fiducia e di speranza la nostra esistenza indecifrabile e speriamo, nonostante tutto, che il rivolo della nostra vita apparentemente senza scopo incontri l’immensità del mare, noi stiamo facendo qui e ora l’esperienza della risurrezione. Questa speranza presente dobbiamo chiederla oggi nella preghiera.

Grazie amico e fratello Lazzaro, perché in tempo di morte, ci ricordi il dono inestimabile della vita umana e ci fai pregustare fin d’ora il futuro che ci attende: la risurrezione dai morti.

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Francesco Cosentino, sacerdote calabrese, è docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana e officiale della Congregazione per il clero. Tra le sue pubblicazioni recenti: Immaginare Dio. Provocazioni postmoderne al cristianesimo (Cittadella, 2010); Il Dio in cammino. La rivelazione di Dio tra dono e chiamata (Tau, 2011); Sui sentieri di Dio. Mappe della nuova evangelizzazione (San Paolo, 2012); Incredulità (Cittadella, 2017).

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