Il lavoro silenzioso ma preziosissimo degli addetti nei punti vendita alimentari. La nostra intervista a una dipendente di Vicenza.In questo tempo di grave crisi ci sono alcune categorie professionali di cui si parla molto e a ragione, come medici, infermieri, operatori sanitari, e figure invece che restano nell’ombra pur svolgendo un servizio necessario e fondamentale: ad esempio coloro che, all’interno degli ospedali in prima linea nella battaglia contro il Coronavirus, si occupano delle pulizie. Oggi, apriamo uno squarcio sul lavoro che portano avanti gli addetti ai supermercati, e lo facciamo grazie alla disponibilità di Alessandra Durastante che lavora da 21 anni presso l’Auchan di Vicenza. Si occupa di servizi, fa parte del personale amministrativo, ma negli anni ha ricoperto più ruoli ed oggi è anche di supporto in cassa durante i week-end.
Si sente sicura di come svolge l’attività dentro al supermercato?
Ci sono state più fasi. Nei primi momenti abbiamo davvero temuto per noi stessi e per la nostra salute e ci siamo sentiti molto vulnerabili. Il Governo ha deciso di tenere aperti i supermercati, oltre che ovviamente ospedali e farmacie, però per queste due ultime realtà c’è stato un occhio di riguardo mentre per la mia, non sono state prese misure di sicurezza immediate. Nella fase iniziale non sapevamo quali potessero essere i nostri diritti e i limiti entro i quali lavorare senza esporci troppo al rischio di contagio. Nel mio ruolo di responsabile sindacale aziendale per la Cisl, mi sono sentita investita di una grande responsabilità nei confronti dei miei colleghi e dei clienti stessi, e quindi ho cercato di informarmi, di sentire subito le organizzazioni sindacali, per comprendere quali potessero essere i dispositivi di sicurezza che dovevamo avere e pretendere.
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Come si comporta la gente in questa situazione?
Le cose adesso vanno meglio, in questo momento nel punto vendita dove lavoro, sono state stabilite delle regole. Sono state messe le barriere di plexiglass davanti alla cassa, in modo tale che la cassiera non sia completamente esposta al cliente che di solito staziona lì davanti per una distanza anche inferiore al metro, e una barriera all’accoglienza dove i clienti si fermano per chiedere informazioni. Queste novità sono state apportate intorno al 14 marzo scorso. Fino a quella data eravamo esposti completamente: i clienti entravano senza mascherina, noi non ce l’avevamo, i guanti sono arrivati un po’ a rilento, i disinfettanti per le mani non li abbiamo visti fino a poco tempo fa. Via via che la situazione si faceva più grave anche le misure sono state riviste e implementate, però la sensazione era che fossimo sempre dieci passi indietro. Ora siamo tutti più coscienti e consapevoli di quello che sta accadendo, anche per merito del Presidente di Regione. Qui in Veneto è molto pressante con continui comunicati alla cittadinanza, quindi l’atteggiamento generale è molto cambiato. Nella grande distribuzione si ha sempre a che fare con persone che vengono anche da fuori, da lontano, e magari inizialmente questi clienti immaginavano che il punto vendita grande potesse essere ancora un porto di mare dove potersi comportare senza troppo rispetto delle norme. Nella grande distribuzione si fatica a far comprendere al cliente l’importanza di attenersi alle regole per consentire la sicurezza di tutti.
Come cerca di tutelare se stessa e i suoi familiari dal rischio di infezione?
Sia io che mio marito lavoriamo nella grande distribuzione, lui è caporeparto commerciale e lavora in un supermercato, quindi entrambi siamo molto esposti e corriamo il rischio di ammalarci e far ammalare la famiglia. Abbiamo due figli di 7 e 9 anni e la prima cosa che ci siamo sentiti di fare è quella di dormire separati: uno in taverna, l’altro in camera per provare a mantenere la distanza. Anche con i bambini cerchiamo di non avvicinarci più di tanto, per cui anche gli abbracci, i baci, in questo momento vengono meno purtroppo. Viviamo un momento di difficoltà, come tante famiglie, perché i bambini non possono andare dai nonni e perciò per noi la situazione è un po’ complicata. Nonostante abbia un ruolo di responsabilità ho dovuto prendere una settimana di congedo parentale straordinario per accudire i figli. Mi è sembrato in questo momento come di lasciare il fronte, la mia sensazione è stata questa, di abbandonare i miei colleghi in un momento in cui c’è bisogno del supporto di tutti. Anche perché, dopo così tanti anni si è creata una grande armonia tra di noi, è come fossimo una grande famiglia.
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Come ha reagito alla tragica notizia della morte della vostra collega di Brescia?
Quando ho appreso la notizia la prima cosa che ho pensato è stata: poteva capitare a me, è una di noi. C’è stata tanta tristezza e amarezza. Una donna di 48 anni che sicuramente aveva famiglia e che se non fosse stato per questo virus non sarebbe morta. Io credo che avrebbero dovuto chiudere tutto molto prima. È giusto tenere i supermercati aperti perché, oltre ad essere necessario, fa sì che non si creino allarmismo e panico e in teoria che la gente non si approvvigioni in maniera abnorme. Anche se purtroppo c’è stato l’assalto: la guerra della farina, non si trovavano più amuchina, guanti, candeggina, ci sono stati approvvigionamenti anomali perché le persone erano molto spaventate. Quando ci sono arrivate le mascherine di panno, tipo swiffer, ci siamo resi conto che erano inadeguate e ci è sembrata un po’ una beffa. Anche oggi abbiamo poche mascherine, vengono consegnate principalmente al settore casse, a chi ha le vendite dirette con i clienti e a chi sta dietro al banco gastronomia, ma i ragazzi che sono in sala non hanno mascherine quotidiane. E poi non si sa se lavandole siano ancora efficaci. Stiamo aspettando che arrivino dalla Regione Veneto, in teoria sono in distribuzione, nel frattempo ci stiamo un po’ arrabattando con quello che abbiamo.
Cosa potrebbe aiutarvi in questa situazione di emergenza?
A Vicenza ci sono quasi 320 strutture tra ipermercati e supermercati. Siamo arrivati a qualcosa come un punto vendita ogni 720 abitanti. Oggi ci sarebbe stato bisogno di una cosa fondamentale: acquisti e vendite online. I supermercati avrebbero dovuto garantire questo servizio: buste della spesa pronte da ritirare per abbassare ancora di più la possibilità di contagio. A Vicenza purtroppo c’è un solo supermercato che predispone questo servizio e che sta vivendo la difficoltà di dover sopperire da solo a tutte le richieste che ci sono. Perché le amministrazioni concedono le licenze ma non richiedono una innovazione tecnologica ai punti vendita? Non è possibile! Inoltre ci farebbe sentire più sereni se tutti i clienti indossassero la mascherina o comunque si proteggessero naso e bocca quando vengono a fare acquisti.
Cosa le conferma l’importanza del vostro lavoro?
Il supermercato oggi ha un ruolo sociale, perché i clienti più anziani, le persone che hanno delle difficoltà o che sono sole, sanno che venire da noi significa ricevere anche una parola buona, un sorriso: la cassiera che fa la battuta, il salumiere che conosce già le abitudini. Questo infonde loro tanta sicurezza, non li fa sentire completamente isolati. A volte sbagliano, è vero, tornano più volte, o escono per compare solo due cose, e non dovrebbe essere assolutamente così. Però mi consola sapere che queste persone, in un momento di emergenza, sanno che c’è sempre qualcuno di noi presente a lavoro pronto ad accoglierle. Un giorno ero in cassa e un cliente guardandomi attentamente negli occhi mi ha detto: “La ringrazio per il lavoro che state facendo. Voi siete qui tutti i giorni, quando tante altre categorie sono a casa”. Mi ha emozionato. È un lavoro silenzioso il nostro, però è un grosso servizio.
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