Si combatte il Coronavirus nell’ospedale di Sassuolo anche grazie al ritorno in corsia di un prete di Correggio, che qualche anno fa sembrava dover diventare un brillante medico
L’abito talare riposto temporaneamente nell’armadio per indossare il camice da medico e dare una mano in corsia, curando i contagiati da Coronavirus. È la scelta di cuore di don Alberto Debbi, parroco reggiano di Correggio che da domani andrà a rafforzare il reparto di pneumologia dell’ospedale di Sassuolo, centro Covid nel modenese (Ansa, 17 marzo).
“Sono stati degli eroi”
Don Alberto ha parole di grande apprezzamento per i suoi colleghi che lo hanno subito accolto come in una famiglia. «I medici – racconta il sacerdote – hanno saputo fare cose eroiche in una situazione impegnativa e drammatica. E’ bello vedere ancora nei loro occhi la determinazione, la voglia di far bene, la voglia di essere accanto ai malati pur con la fatica fisica».
“Le situazioni più critiche”
Don Alberto non nasconde che il nemico contro cui si combatte ogni minuto, non è facile da affrontare e colpisce tutti, anziani e giovani:
«E’ chiaro che laddove ci sono delle fragilità o delle patologie pregresse, le cose tendenzialmente vanno peggio, però la malattia è impegnativa per tutti. La situazione è particolarmente critica, non abbiamo a disposizione grosse armi, si cerca di fare il possibile, ma l’impressione è che si possa incidere poco sulla malattia del paziente».
La “compagnia” della preghiera
Cosa vuol dire tornare a fare il medico da sacerdote? «Spero di poter portare il messaggio e la vicinanza del Signore». Lo accompagnano la preghiera, l’affetto e la vicinanza dei parrocchiani manifestata in vario modo in queste ore. La fede, da coraggio e aiuta ad affrontare l’apprensione e la paura (Vatican News, 20 marzo).
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Era un medico brillante
Debbi ha abbracciato la via del sacerdozio lasciando progetti concreti di matrimonio e una carriera medica brillantemente avviata. Per lui è stata una risposta di pienezza a Dio, che l’ha chiamato a prendere il largo oltre i confini di una casa, di un ospedale e di un paese, Salvaterra, dove Alberto è nato il 12 marzo 1976, quarto dei sei figli.
«Fin da ragazzo – racconta ad Avvenire ( 15 dicembre 2018) – la mia idea era di fare qualcosa per mettere i doni del Signore a servizio del prossimo».
La malattia del papà
Una prima svolta viene dalla grave malattia di papà Enzo che muore due giorni dopo il 18° compleanno di Alberto. Il desiderio di spendere la vita per gli altri, in quel momento, s’identifica con l’aiuto ai sofferenti. Debbi studia medicina al Policlinico di Modena, si laurea nel 2001, si iscrive all’Ordine dei medici nel 2002, poi sempre a Modena si specializza in malattie dell’apparato respiratorio nel 2005.
Dopodiché lavora per sei mesi in medicina all’ospedale di Scandiano, quindi al pronto soccorso di Castelnovo Monti, infine approda in pneumologia a Sassuolo (Modena) dove resta per quasi sette anni.
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La rottura del fidanzamento
Nel frattempo il giovane Debbi, che sente l’aspirazione a formare una famiglia, sta avvicinandosi al matrimonio, ma nel momento decisivo ha l’onestà di ammettere che dal punto di vista umano quella scelta non lo rende completamente felice. E ha anche la fortuna di avere al fianco una ragazza che lo capisce, accettando il successivo periodo di discernimento e la rottura del fidanzamento a fine 2011.
Può sembrare paradossale, ma «il passaggio fondamentale – confida – è stato realizzare attraverso l’amore della mia fidanzata che c’era un amore più grande al quale ero chiamato».
Il licenziamento
Sicché nel 2012 Alberto frequenta l’anno di propedeutica in Seminario continuando a lavorare, poi nel settembre 2013 si licenzia definitivamente dall’ospedale. Il diacono, oggi in forza all’unità pastorale di Correggio, mostra un forte orientamento alla carità e ai giovani. Un ruolo, quello di sacerdote, che però riprenderà solo al termine dell’emergenza Covid-19.
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