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La poesia di Gabriele Corsi: tutti questi morti non sono numeri ma i nostri cari!

Gabriele Corsi,
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Silvia Lucchetti - pubblicato il 19/03/20
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“Era mio padre. Quello della foto un po’ sfocata nei necrologi di ieri. Era mio padre”: l’incipit del post che il conduttore ha dedicato a tutte le vittime del Coronavirus. Stamattina mi sono svegliata pensando che oggi, festa di San Giuseppe, ci saranno tantissimi figli che non festeggeranno perché hanno perso il padre in queste ultime terribili settimane, per o con il Coronavirus, come sentiamo ripetere da virologi ed esperti. Questi orfani storditi che non hanno potuto piangere davvero, non solo vivranno la tristezza di non avere più un padre, ma anche il dolore atroce di non averlo potuto salutare e degnamente accompagnare con il funerale. Uno degli aspetti più ingiusti di questo virus è proprio questo: la lontananza fisica dal proprio caro, l’angoscia di non poter tenere la sua mano nell’ora della morte, di non poterci essere per chiamare un sacerdote e offrirgli così la possibilità di confessarsi e ricevere l’Eucaristia. E poi il senso di frustrazione derivato dall’impossibilità di vivere il lutto come è giusto che sia: insieme, abbracciati, stretti nel dolore, in preghiera. Il rito della vestizione del defunto, le ultime carezze, il rosario poggiato sulle mani, la veglia intorno alla bara, i ricordi condivisi a tarda notte con la famiglia, la consolazione del rito funebre. E poi il colpo finale lo infliggono i proclami dei media, le statistiche che scorrono nelle strisce dei telegiornali che vorrebbero invano risollevarci: colpisce “solo” gli anziani, è mortale “solo” per chi ha patologie pregresse, eppure questi morti erano vivi, spesso in salute, e avevano volti e mani pieni di storia, di esistenza feconda ricevuta e donata.

Non erano solo pazienti ma i nostri cari

Ha ben espresso questo sentimento amaro e questa sofferenza l’attore, comico e presentatore radio-televisivo Gabriele Corsi che due giorni fa sui suoi profili social ha pubblicato la foto di un’immagine sfocata dei necrologi accompagnata da una sua poesia. Corsi, componente del Trio Medusa e volto noto di programmi come Reazione a catena, Deal With It – Stai al gioco, Take me out – Esci con me, ha raggiunto il cuore di migliaia di persone che hanno letto e condiviso il suo scritto intenso e semplice che riesce a rendere più vicine queste vittime, e che ci ricorda che non erano solo pazienti, numeri, l’ennesimo caso di Covid-19, un altro posto in terapia intensiva. No, erano padri, madri, zii, nonni, amici. Nostri parenti, nostri cari: musoni, egocentrici, buffi, tirchi, profondi, chiacchieroni, sboccati, allegri, generosi, belli e brutti! Unici e preziosi.

In questo breve video pubblicato da Cooming Soon un breve assaggio della simpatia di Gabriele Corsi e del suo amore per la musica e per il cinema:


HUG GRANDFATHER
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“Era mio padre”: la poesia

Ecco il del testo post:

Era mio padre.
Quello della foto un po’ sfocata nei necrologi di ieri.
Era mio padre.
Lo ricordo con una barba nera nera che mi insegnava a dare calci a un pallone nel parco sotto casa.
Era mia madre.
Quella signora elegante morta da sola in ospedale perché non si poteva entrare.
Il dolore più grande. Lei. Da sola.
Era mia madre.
Che mi faceva posto nel letto grande quando avevo la febbre e mi sembrava, sempre, l’unica cura possibile.
Era mio zio.
Quel signore con gli occhiali che se n’è andato tra i tanti ieri.
Era mio zio.
Lo stesso che mi portava a giocare con i modellini di aerei e mi faceva volare restando con i piedi a terra.
Era mia zia.
La signora senza foto. Solo data di nascita e di morte.
Era mia zia.
Perché non possiamo neanche andare a casa sua a cercare una polaroid che la ritragga. Lei che a Natale mi ha regalato la prima macchina fotografica.
Erano mio padre.
Erano mia madre.
Erano i miei zii, i miei vicini, i genitori, i parenti dei miei amici.
Quelli che, adesso, non possiamo piangere.
Quelli che, adesso, non possiamo abbracciarci per lenire il dolore. Quelli che tu non sai chi sono.
Ma io sì.
Quelli che, per qualcuno, sono “muoiono solo i vecchi”, “sì, ma erano già malati”, “ne muoiono molti di più per altre cause”.
E, se sei tra quelli, vuol dire che questo, tutto questo, non ti ha davvero insegnato niente.

San Giuseppe, che festeggiamo oggi, consoli tutti questi orfani che non hanno potuto accompagnare i propri cari in questo tempo di pandemia e doni loro la certezza che chi amavano non è morto davvero solo perché la Sua sposa, la nostra Madre Celeste, prega sempre per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte.


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