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Coronavirus, il missionario a Bergamo: “Metto il telefono sulle salme e prego insieme ai parenti”

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 19/03/20
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Da brividi il racconto di Fra Aquilino Apassiti, prete dell’ospedale Giovanni XXIII, dove ogni giorno sono decine i morti per la pandemia e i familiari, in quarantena, non possono muoversi da casa

«I famigliari dei defunti mi chiamano, io metto il cellulare sulle salme dei loro cari e preghiamo insieme». Così Fra Aquilino Apassiti, in un’intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei, ha spiegato come riesce a dare conforto ai parenti delle vittime in questo momento di emergenza sanitaria causato al coronavirus.

Fra Aquilino è un missionario di 84 anni rientrato cinque anni fa a Dalmine (Bergamo) dal Brasile, dà conforto a personale sanitario, pazienti e familiari, ovviamente nel rispetto delle misure di sicurezza. Sta nella cappella dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, e si affaccia dove permesso sulla porta dei reparti.

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Screenshot from www.missioni.org

Il dramma di Bergamo

In questi giorni la situazione nella città e nella provincia di Bergamo, a causa del coronavirus, è drammatica. E’ la zona della Lombardia più colpita dalla pandemia con 4000 contagi ufficiali e diverse migliaia non ancora individuati.

Ogni giorno sono decine i morti accertati da Covid-19 e numerosi quelli non censiti, poiché deceduti in casa e senza la prova del tampone post-mortem, che accerti la presenza del virus.


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L’ultimo saluto al marito

Il missionario racconta ai microfoni di InBlu Radio del momento più terribile, la benedizione delle salme senza i parenti, spesso in quarantena.

«L’altro giorno una signora – ha proseguito Fra Aquilino – non potendo più salutare il marito defunto mi ha chiesto di fare questo gesto. Ho benedetto la salma del marito, fatto una preghiera e poi ci siamo messi entrambi a piangere per telefono. Si vive il dolore nel dolore. E’ un momento di grande prova».

“Pensano che io sia un contagiato”

«In queste ultime settimane – ha aggiunto Fra Aquilino – ovviamente non posso più vedere di persona i malati, soprattutto coloro che sono in dialisi ma rimango sulla porta della stanza. Lo faccio perché se i pazienti non mi vedono pensano che io sia stato contagiato. La maggior parte del tempo la passo nella cappella dell’ospedale a pregare. La sera spesso viene una dottoressa del reparto di cardiologia e prega per 45 minuti».



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