Il Curato d’Ars, Giovanni-Maria Vianney, patrono dei parroci e modello dei sacerdoti, non ha niente a che vedere con il personaggio manzoniano, don Abbondio che era parroco di un paesino affacciato sul lago di Como. Tutta la sua personalità, il suo carattere e i suoi atteggiamenti sono dominati dal sentimento della paura che, unita all’attaccamento alla vita, lo rende egoista.
L’invito di papa Francesco, a noi sacerdoti, è stato chiaro: “In tempo di pandemia non si deve fare il don Abbondio”. La reazione, a tale chiara e paterna sollecitudine è quella di dire: non sono come don Abbondio, ma che sta a dì il Papa?!
Il rischio c’è, anche per me. Non dobbiamo cadere nella trappola dentro il pozzo senza acqua, che può essere il web o la noia e la rassegnazione del tutto andrà così. Non andrà sempre così.
Non possiamo perdere la speranza o dimenticando l’entusiasmo dell’annuncio del vangelo. Sempre prossimi con il popolo: tra fragilità, precarietà, delusioni, malattie e abbandoni. Diciamo pure, senza tentennamenti, noi, preti, saremo con questo popolo, come il sole che sorge sia per i buoni e i cattivi. Per tutti.
Uomini coraggio, misericordiosi e pieni di empatia (che infondono animo a chi lo ha perso o lo sta perdendo), intrepidi, saggi e responsabili. Senza paura, anche se, la paura può prendere il sopravvento. Rispettosi delle regole, perché le regole salvano la vita, la sovversione evangelica di fare la volontà di Dio, pensare come Dio, agire come Dio.
Non preti da salotto, ma di strada, sempre in uscita e, oggi più di ieri, prossimi e in uscita via web, con i social per riempire con una presenza autentica, senza falsità, le periferie digitali, per non permettere che naufraghiamo in un mondo di non senso attanagliati dalla paura.
Non è cosa automatica e semplice stare in web, utilizzare il virtuale, che è sempre reale, con la gente. Bisogna saperci stare nel web. Ci vuole creatività intelligente, moderata competenza, equilibrata presenza con la propria identità, senza inganni e tranelli
Perché anche il web ci scomoda dal nostro rischio di hikikomori religiosa, oltre che esistenziale; ci scomoda dalla sindrome dell’isolamento: isolati ma in comunione. Non siamo barricati in casa o in canonica ma restiamo a casa, restiamo in parrocchia sempre disponibili alla vita e per la vita. Chiamati per la benedizione ad una defunta; si va al cimitero o in casa e si parte, e con le dovute cautele; l’estrema unzione e il viatico ai malati; in videochiamata un conforto e una consolazione; bussano alla porta, disperati e soli e siamo lì ad ascoltare e a provvedere, come in uno studio televisivi, i messaggi vocali e video rivolte ai malati (inoltrati dai ministri della comunione), ai bambini, adolescenti e giovani (i catechisti impegnati a diffonderli), ai volontari (affinché non perdano la speranza e la gioia del servizio).
Un’opera con la e per la fede in Gesù Cristo, una Chiesa che c’è, tra la gente, il popolo; e soprattutto la Messa quotidiana senza popolo, ma con il popolo, in comunione spirituale; l’Ufficio delle ore, il Santo Rosario, la Via Crucis e il Ritiro spirituale quaresimale organizzato via web. E’ grande la responsabilità dell’annuncio del Vangelo e della carità operosa tra la gente. E’ grande sempre quest’opera di Dio nella Chiesa anche senza emergenza.
È l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19).
Capisco di più il perché Papa Francesco ha voluto ringraziare “la creatività dei sacerdoti, tante notizie mi arrivano dalla Lombardia che è stata molto colpita, che pensano mille modi di essere vicini al popolo, perché non si senta abbandonato. Sacerdoti con lo zelo apostolico”.
Don Abbondio non è un sacerdote vero.