di Fernando Merino
Ciao a tutti, come state? Sicuramente attenti allo sviluppo della vicenda del coronavirus. Dobbiamo lavarci le mani per bene col sapone, starnutire nel gomito, metterci la mascherina se non stiamo bene per non contagiare gli altri e seguire tutte le raccomandazioni delle autorità locali.
Non permettete che lo sconforto contagi la vostra speranza. Camminiamo mano nella mano con il Dio della vita. Oggi non parleremo del coronavirus, ma di un virus forse ancor più pericoloso, che sta uccidendo sogni, comunità, amicizie, progetti apostolici, movimenti giovanili, fraternità e soprattutto il comandamento nuovo che ci ha lasciato Gesù.
Mi riferisco al virus della divisione, quello che può attaccare una comunità parrocchiale in un paesino dell’America Latina come anche un gruppo di vescovi nella Curia Romana. Nessuno è esente, ma tutti possiamo salvarci da questa situazione.
Vorrei condividere con voi cinque suggerimenti che possono aiutarci a prevenire l’arrivo del virus mortale della divisione nei nostri spazi ecclesiali.
1. Fratelli al di sopra di tutto
Difficile, vero? Lo so. A volte ci piacerebbe che un membro della comunità scomparisse perché non lo sopportiamo più e non ne tolleriamo atteggiamenti e comportamenti.
Non possiamo dimenticare che siamo seguaci di Gesù, ovvero seguaci di una comprensione dell’amore radicale, strana e perfino quasi pazza. Crediamo in un amore che trasforma i nemici in fratelli. Non li vuole lontani, ma vicini per servirli. Non li odia, li ama.
Il nostro comandamento nuovo, la nostra bussola per vivere, non si basa sulla divisione, sul tirare pietre per punire o far scomparire la gente. Al contrario, quando abbiamo voglia di farlo, ricordiamo che prima di essere giudici siamo un ospedale di campagna chiamato Chiesa cattolica, che ci invita a vedere quella persona “detestabile” come qualcuno che ha bisogno di aiuto, che è ferito, che sta vivendo una situazione difficile. Che forse è confuso, o non così consapevole delle sue azioni, che forse non ha bisogno di pietre ma di un po’ di compassione, soprattutto dai suoi fratelli più vicini, da te e da me.
Prima di essere coordinatore della catechesi, parroco, consulente del gruppo, economo della comunità religiosa, ministro dell’Eucaristia o incaricata della formazione è tuo fratello, è tua sorella.
E i fratelli non si uccidono né con le pietre né con sguardi, gesti, mormorazioni alle spalle, derisioni o indifferenza. I fratelli si amano, fino all’estremo, non ci sono parti scritte in piccolo nel contratto, non c’è altra via. Gesù cammina lì. Che dite, lo seguite?
2. Praticate il perdono, è gratis
Un grande amico e maestro, Alberto Linero, ci ha donato una definizione del perdono che suona come un tweet di quelli che diventano virali: “Il perdono è dire all’altro che l’amicizia che vi lega vale molto più di qualsiasi errore abbia potuto commettere”.
Wow! Pensate a quella persona della vostra comunità con cui avete problemi, che magari ha parlato male di voi, che non vi ha considerati o vi ha accusati di qualcosa che non avete fatto. Non vi affida responsabilità, vi dà incarichi che non rispondono ai vostri talenti o vi siete feriti in qualche discussione perché non avete curato il vostro modo di parlare. Regna la divisione!
Ed ecco la domanda: quanto è accaduto vale davvero molto più del vostro rapporto di fratellanza? Ma attenzione, il perdono non è un cancellino magico che fa dimenticare le cose e rende tutto simile a una favola Disney, no. Il perdono è scommettere di vivere in base all’amore con quella persona quella situazione concreta.
È un processo che si realizza giorno dopo giorno, e che include il fatto di guardare con compassione e di parlare onestamente delle differenze. Bisogna confidare nelle parole dell’altro con speranza, e ricostruire un rapporto con grande responsabilità senza che nessuna delle parti faccia la vittima, ma lottando per trasformare l’inimicizia in fratellanza, non una volta sola, né due, ma settanta volte sette.
3. Siamo diversi, benvenuti nella Chiesa
Pensiamo in modo diverso, e che c’è di male? È troppo triste trasformare le reti sociali in scenari di guerra per litigare come cattolici. Che immagine stiamo dando? Siamo passati dal “Guardate come si amano” a “Guardate come litigate”.
Quando ci etichettiamo ci danneggiamo profondamente. È un sintomo chiarissimo del fatto che il virus è entrato in noi e ci sta uccidendo. Progressisti, rossi, conservatori, pro Francesco, pro Benedetto, fanatici, light, spirituali, accademici, attivisti…
Avete mai pronunciato una di queste parole? Attenzione! Il virus della divisione entra dentro, e i sintomi si riflettono nei meme che disegniamo, nei commenti di Facebook che diffondiamo, negli articoli che scriviamo, nei mezzi di comunicazione più noti della Chiesa, nelle catene che condividiamo su WhatsApp.
E a poco a poco miniamo l’unità della nostra Chiesa. Parliamo! Prendiamoci un caffè, suscitiamo conversazioni, dialoghi, dibattiti. Ovviamente non dobbiamo essere d’accordo su tutto, e non bisogna avere paura del conflitto, né di criticarci o metterci in discussione.
Quando lo facciamo, però, facciamo attenzione alla carità! Non dimentichiamo il punto uno, che al di sopra di tutto siamo fratelli, figli dello stesso Padre e dello stesso comandamento nuovo. Conosciamo di più quello che pensa l’altro, cosa c’è dietro, cosa sta aprendo la strada alla divisione.
Non è sicuramente pazzo, né il nuovo anticristo. Forse è il pezzo del puzzle di cui abbiamo bisogno, e noi siamo quello di cui ha bisogno lui. Scommettiamo sulla comunione. Non tiriamoci più le pietre. Togliamoci il manto, prendiamo l’asciugamani, mettiamo acqua in un recipiente e iniziamo a lavarci i piedi, per commemorare Lui.
4. Pregare per quella persona e con quella persona
Mentre scrivo questo articolo, penso a due persone con cui in questo momento ho un conflitto nella Chiesa, e mi prende il panico all’idea di dire loro di pregare un giorno insieme. Mi fa paura, mi dà vergogna, credo che sarebbe molto scomodo, perché amare chi in questo momento è tuo nemico non è affatto facile.
È come se ci frustassero l’ego, come se crocifiggessero il nostro orgoglio. Ma ho una certezza così grande che se parlo con loro per andare insieme a metterci davanti al Santissimo, o di fronte alla sua Parola, o all’Eucaristia, o alla natura per contemplare l’armonia della sua creazione ci sentiremo messi in discussione, affrontati e chiamati a trasformare la nostra indifferenza in una grande prova del fatto che il messaggio che annunciamo non è una menzogna.
Per prevenire il virus della divisione servono molte preghiere per quelle persone con cui la fratellanza non è tanto facile. Ma pregare con quelle persone dev’essere una fonte di miracoli. Vorrei vivere questa situazione. E voi? Avreste il coraggio di scrivere a quella persona e di invitarla a pregare insieme questa settimana?
Se lo fate sarete beati, perché il Regno di Dio non è vicino, è già arrivato. Coraggio! Vivere come fratelli nonostante le nostre differenze è la prova più credibile del fatto che il Dio che chiamiamo Padre Nostro è più vivo che mai!