In questi giorni sentiamo parlare di decreti e contro-decreti, a loro volta ispirati a direttive di vario ordine e grado. Stamane poi dal Vaticano sono partiti due segnali forti che hanno consigliato una correzione di tiro quanto all’apertura delle chiese. Proviamo a spiegarne i meccanismi.
L’incertezza sul da farsi per arginare la presente emergenza sanitaria risalta evidente a tutti i livelli della nostra vita: dalla spesa sotto casa (le mascherine non servivano solo ai sintomatici? E allora perché le portiamo tutti?) al governo nazionale (lockdown stringente? Sì ma si aggira con autocertificazione. E perché le Tabaccherie? …) al piano internazionale (Macron parla di gravissima emergenza sanitaria, Johnson fa spallucce). La dimensione ecclesiale, che per i cristiani esprime quella spirituale nella sua socialità mistica, non è da meno: se la misura della sospensione delle messe – quantunque forte – è stata accolta con buonsenso, proprio in nome del buonsenso alcuni hanno ritenuto sproporzionata la misura che portava a chiudere tutte le chiese d’Italia.
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Il caso del “pasticcetto romano”
Poco più di un’ora fa il Cardinal Vicario Angelo De Donatis ha emanato un nuovo decreto, che «precisa e nella misura del necessario modifica» quello di ieri, sempre suo, con cui si traducevano in disposizioni applicative le direttive pomeridiane della CEI: se il decreto di ieri sera chiudeva le chiese senza se e senza ma, quello di stamane le riapre invitando però tra le righe i cittadini a una condotta responsabile.
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Qualcuno potrà giudicare di bizantinismo un messaggio del tipo “noi le riapriamo ma voi non veniteci”: si deve però tener presente che in questo particolare nodo politico sono venuti a intersecarsi (in modo non del tutto ordinato) due piani distinti ma inscindibili della vita ecclesiale, e cioè quello teologico-pastorale e quello civile-politico (acutizzato ora da un importante fattore sanitario). Arginare un’epidemia è un dovere morale e civico, e i cattolici devono farlo proprio come tutti gli esseri umani responsabili: la Chiesa però non ha autorevolezza sulla materia, non è competente in fatto di medicina e – per di più – neanche i medici, nella fattispecie, conoscono bene la minaccia che in quest’ora della storia sta insidiando l’umanità (dunque deve ascoltare esperti e cercare di agevolarli, o almeno non ostacolarli); d’altro canto la dimensione spirituale della vita è ineliminabile e anzi proprio in momenti di pericolo conosce manifestazioni più forti, e sul piano teologico-politico la questione delle reciproche autonomie può porsi più volte, in tali frangenti, e con crescente insistenza.
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Quel che probabilmente è accaduto stamane, al netto di retroscena politici difficilmente perspicui, è che l’impressione dubbiosa del Papa sul provvedimento della CEI abbia avuto un suo peso; parimenti anche la notizia del cardinal Krajewski che apriva pubblicamente la chiesa romana di Santa Maria Immacolata (notizia diffusa dagli organi ufficiali della comunicazione della Santa Sede!) avrà confermato l’esegesi dell’omelia di Santa Marta che a molti era parsa evidente. Un cardinale titolare ha piena facoltà di fare questo e altro, nel proprio titolo, nonostante qualsiasi cosa in contrario: ciò può aver stimolato il Cardinal Vicario a ritoccare il proprio decreto, e c’è da aspettarsi che i colpi di scena non siano finiti (forse nel pomeriggio una nuova direttiva, nella medesima direzione, verrà diramata da Viale Aurelia).
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«Ma come faccio a sapere se la mia chiesa è aperta?»
Ai semplici fedeli non avvezzi ai contrappesi diplomatici e alle questioni canonistiche, però, qualcosa starà più a cuore di tutto ciò che abbiamo esposto: come sapere se, volendo, potranno recarsi nella propria chiesa o no?
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La domanda ci impone di precisare in dettaglio una cosa a cui già in questi giorni abbiamo più volte fatto cenno: la CEI (come ogni conferenza episcopale) non ha potere di imporre direttamente e di per sé alcunché ai suoi membri, i quali restano sovrani nell’esercizio delle loro funzioni di Ordinarii (cioè, nella quasi totalità dei casi, di Vescovi diocesani). Anche quando la CEI promulga e adotta i libri liturgici valevoli nel proprio contesto, ogni singola cancelleria diocesana ha facoltà (ma diremmo “diritto/dovere”) di recepire quelle norme e di perfezionarle mediante atti di governo particolare, che normalmente si concretano in decreti. Ecco perché tanto parlare di direttive (della CEI) e di decreti dei Vescovi: questa mattina avevo sentito diversi vescovi, e se per la maggior parte si erano già adeguati alla direttiva di ieri pomeriggio, qualcuno mi diceva di aver tenuto invece le chiese aperte. Senza con ciò violare alcunché.
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Insomma, a chi vuole sapere se troverà la chiesa aperta o chiusa senza scomodare il parroco al telefono (ma fatevi sentire dai vostri parroci, in questi giorni in cui, per tutelarli, la loro famiglia non deve frequentarli) bisogna raccomandare di cercare sul sito della Diocesi (praticamente tutte le diocesi italiane ne hanno uno), dove le disposizioni degli Ordinari vengono aggiornate con una certa frequenza in questi giorni.