Le mani del chirurgo hanno rimosso il 90% della massa tumorale mentre le mani della paziente suonavano Gershwin: scienza e arte sanno interrogarci su quel mistero di fragilità e bellezza a cui ha messo mano Dio stesso, cioè l’uomo. Quando ho incrociato la notizia su un sito inglese, mi sono ricordata di aver visto una scena simile in una puntata di Grey’s Anatomy: un paziente che suona uno strumento durante un’operazione chirurgica al cervello. La craniotomia in stato di coscienza non è infatti una fantasia e le fiction a tema medico si mostrano ben aggiornate su quelle che sono le conquiste della medicina.
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Le mani del chirurgo
Nel video diffuso a fine febbraio da molte emittenti televisive, che documenta un’operazione svoltasi a fine gennaio, si vede una sala operatoria affollata di dottori concentrati e all’opera. Circondata da camici, tubi e mascherine c’è lei, una signora inglese di 53 di nome Dagmar Turner, che suona il violino mentre i chirurghi le rimuovono un tumore dal cervello.
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Lascia attoniti e stupefatti, ma non è una scena così insolita. Infatti, quando la neurochirurgia riguarda aree del cervello che governano la vista, i movimenti e il discorso è di aiuto ai dottori che il paziente sia sveglio e dia segni precisi sulla sua capacità di esprimersi e muoversi. La cosa incredibile da dire subito, l’ho scoperta ponendomi questa domanda: se il cervello funziona non è anestetizzato, il paziente non sente dolore? E documentandomi ho scoperto che il cervello non sente il dolore, ma diciamolo con le parole di chi è competente:
Si può temere che una craniotomia in stato di coscienza sia dolorosa, ma il cervello in sé non prova dolore e un anastetico locale viene usato per addormentare i tessuti limitrofi. Durante l’intervento il chirurgo chiede al paziente di parlare o di muovere certe parti del corpo, questo aiuta a identificare ed evitare di toccare certi punti. (da Smithsonian Magazine)
Nel caso della signora Dagmar suonare il violino ha aiutato il suo chirurgo, il Professor Keyoumars Ashkan dell’ospedale Kings’ College di Londra, a evitare di ledere zone cerebrali legate alla mobilità fine del braccio e della mano sinistra. Prima dell’intervento vero e proprio, ci sono volute due ore al Professor Ashkan per mappare le zone cerebrali attive mentre la musicista suonava. Un caso simile era già avvenuto nel 2016 quando un insegnante di musica era stato operato al cervello mentre suonava il sassofono e in un altro caso era stato chiesto a un paziente di risolvere problemi matematici durante la craniotomia, sempre per poter preservare capacità specifiche di quel misterioso e affascinante mondo che è la nostra materia grigia.
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Non è così fuori luogo concludere che l’operazione subita dalla signora Turner sia stato un vero concerto, in cui gli strumenti medici e le mani dei chirurghi hanno dovuto lavorare in modo che la musica potesse continuare a essere suonata.
Le mani della violinista
Era il 2013 quando Dagmar Turner scoprì di avere un tumore nella parte frontale destra del cervello: ebbe una crisi mentre suonava con l’orchestra di cui è parte, la Isle of Wight Symphony Orchestra. Residente nel Sud dell’Inghilterra, Dagmar suona il violino dall’età di 10 anni, è la sua passione e l’ha trasmessa anche al figlio, che oggi ha 13 anni. Quando a fine 2019 le è stata prospettata l’ipotesi di un’operazione chirurgica come unica via per intervenire sul tumore è stata lei stessa a proporre ai medici di rimanere cosciente e suonare durante l’intervento.
L’ipotesi di perdere la sensibilità alla mano sinistra, quella con cui suona e proprio quella che rischiava di essere maggiormente compromessa, avrebbe significato perdere tutto e cadere nella disperazione. Tutto è andato per il meglio, l’equipe medica è riuscita a rimuovere il 90% della massa tumorale, e Dagmar è stata dimessa dall’ospedale tre giorni dopo l’evento straordinario avvenuto in sala operatoria. Raccontando ai giornalisti la propria esperienza, la signora Turner ha ironizzato dicendo che la parte più complessa è stata scegliere i brani da suonare. La scelta è andata sulle scale classiche e poi Malher, Gershwim e persino un tocco di leggerezza con Julio Iglesias.
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Senz’altro vedere una sala operatoria al lavoro sulle note di Summer Time, eseguite dal vivo da una paziente, colpisce e tocca qualcosa di più delle nostre semplici corde emotive. In queste settimane sto rileggendo, per l’ennesima volta in vita mia, Frankestein; ogni volta noto cose in più ma il punto che brucia è il medesimo: fare i conti con la presunzione umana di possedere il segreto della vita. Fa sempre male leggere il punto in cui il dottor Victor Frankenstein rifiuta la sua creatura proprio nel momento in cui le dà la vita. Aveva inseguito un miraggio scientifico che lo inebriava, quello di essere così bravo da sconfiggere la morte, e poi quando la sua creatura “nasce”, ecco che lui – lo scienziato impazzito – la chiama “mostro schifoso”.
Insieme alle mani di Dio
La forza e il pregio della scienza sono l’opposto del delirio del dottor Frankestein. Immagino, cioè intuisco da lontano, come possa essersi sentito il chirurgo chiamato a intervenire su un encefalo in piena attività: ne vedeva la materia corruttibile (e persino malata) e ne sentiva la voce spirituale che la musica esprime. L’uomo è chiamato con le proprie mani a collaborare alla Creazione: più quest’opera degenera nel delirio di onnipotenza meno è utile e buona per l’umanità. Quando si tocca il corpo umano si entra in una sinfonia scritta non solo sul pentagramma dei muscoli, del sangue e delle cellule. Il grande privilegio degli uomini di scienza forse è proprio essere spettatori in prima linea di una meraviglia incredibile.
Ho pensato che quelli come il Professor Ashkan cancellano l’incubo del Dottor Frankenstein: vedono la nostra materia così corruttibile e aggredita da malattie – che pure è capace di esprimere tutto quell’anelito di bello, eterno, armonico che chiamiamo musica – e mentre curano possono accrescere la coscienza entusiasta di chi è protagonista ma non è il direttore d’orchestra del mondo.
Ci sono una gioia incredibile e una pienezza di creatività e operosità che scaturiscono in chi si sente collaboratore, ne è ignaro chi siede tronfio sul trono di una presunta onnipotenza.
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