“Il Pranzo di Babette”Nel 1987 il film Il pranzo di Babette, sceneggiato e diretto da Gabriel Axel e tratto dall’omonimo racconto di Karen Blixen, vince l’Oscar per il miglior film straniero. Lo vede anche Jorge Mario Bergoglio subito rapito dalla pellicola, al punto che nel 2010, intervistato da Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, lo definisce «uno dei miei film preferiti». Non c’è da meravigliarsi, visto che quest’opera d’arte può essere definita un “inno alla misericordia”.
La trama
La trama è apparentemente semplice: sulla costa dello Jutland in Danimarca vivono due pie sorelle, figlie di un pastore protestante, Martina e Filippa (i nomi in onore di Martin Lutero e di Filippo Melantone), che conducono una vita tranquilla di servizio tra i rimanenti fedeli del padre defunto, una manciata di vecchi di un piccolo villaggio sulla costa, che è allo stesso tempo quasi una comunità religiosa. Nella loro gioventù, sia Martina che Filippa erano state corteggiate, ma con la prospettiva di doversi allontanare dal loro padre e dalla sua missione avevano rifiutato queste occasioni. In particolare Martina è bella, ma così inaccessibile che un galante ufficiale di cavalleria che si innamora di lei realizza subito, senza che lei dica una parola, che non la potrà mai conquistare così come Filippa, dotata di una bellissima voce, non cederà al corteggiamento del suo maestro di canto. Queste due sorelle-suore vivono consacrate alla verginità e alla vita religiosa, ma più passa il tempo più lo sguardo si fa retrospettivo, la nostalgia e il rimpianto incalzano, la vita diventa la conservazione, quasi museale, del ricordo e della tradizione. Il risultato è che, soprattutto dopo la morte del pastore, il tentativo di recuperare o conservare la purezza originaria sembra essere messa in crisi dalle sottili divisioni che emergono all’interno di una comunità che, non avendo né liturgia né sacramenti, è stata incentrata sulla predicazione, e pertanto sul pastore. Senza di lui, la religione della piccola comunità è diventata astratta e remota, una serie di fragili regole, piuttosto che una fede vissuta.
In questa situazione arriva una figura inaspettata: Babette, rifugiata dalla violenza rivoluzionaria della Comune di Parigi del 1871. Babette reca una lettera di presentazione di Monsieur Papin, il maestro di canto di Filippa, che fa appello al buon cuore delle sorelle, chiedendo per lei solo una camera e la possibilità di servirle. Martina e Filippa non credono, naturalmente, che loro o la loro comunità potrebbero avere bisogno di Babette. Dopo tutto, lei è francese, presumibilmente cattolica (“papista”, come il padre delle sorelle aveva chiamato Papin), per loro praticamente una pagana. Cosa mai potrà venire di buono da lei? Le pie sorelle vivono per servire, ma ignorano tutto dell’essere serviti. Ciò nonostante, la francese si insedia e viene apprezzata da tutti. Dopo quattordici anni da Parigi arriva a Babette una grossa vincita alla lotteria. Le due sorelle pensano che Babette userà i soldi per tornare in Francia, ma lei chiede di poter dedicare un pranzo alla memoria del pastore loro padre, nel centenario della sua nascita. Martina e Filippa, anche se lusingate, vedono il banchetto come una minaccia alla loro vita tranquilla, e ottengono dagli abitanti del villaggio la promessa di non proferire parola sul cibo. Ancora una volta le due pie sorelle hanno paura di troppa gioia.
I dodici invitati arrivano e con loro il generale Lorens Lowenhielm, il galante ufficiale di cavalleria che in gioventù aveva corteggiato Martina. Aiutati dalla bontà del cibo, dall’atmosfera e dall’amore con cui i piatti sono stati cucinati da Babette, tutti diventano gioviali e felici. Mentre i ricordi passati riaffiorano, arrivano le splendide quaglie en sarcophage. Il generale racconta del Café Anglais di Parigi, dove cucinava uno chef donna che avrebbe fatto poi perdere le proprie tracce, una persona che riusciva con la sua cucina sublime a trasformare un banchetto «in una avventura amorosa». I commensali, seguaci di una vita priva di piaceri, saranno letteralmente sedotti e inebriati dal pranzo che Babette — è proprio lei la cuoca del Café Anglais, ma loro non lo sanno — ha voluto organizzare per poter nuovamente esprimere il suo talento di artista. Pur evitando ogni commento sulle vivande e eludendo i commenti entusiasti del generale, trovano la forza per superare le discordie che li dividevano, arrivando alla fine a danzare tutti insieme tenendosi per mano sotto il cielo stellato, prima di riguadagnare le proprie abitazioni. Al momento del brindisi finale prende la parola il generale e, citando il salmo 84 (vv.11-12: «Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo»), afferma che «nella nostra umana debolezza e miopia, crediamo di dover scegliere la nostra strada, in vita. E tremiamo per il rischio che quindi corriamo. Abbiamo paura. Ma no, la nostra scelta non è importante. Viene il giorno in cui apriamo i nostri occhi e vediamo e capiamo che la grazia di Dio è infinita, dobbiamo solo attenderla con fiducia e accoglierla con riconoscenza. Dio non pone condizioni, non preferisce uno di noi piuttosto di un altro e ciò che abbiamo scelto ci viene dato e, allo stesso tempo, ciò che abbiamo rifiutato ci viene accordato. Perché misericordia e verità si sono incontrate, rettitudine e felicità si sono baciate».
La grande festa del pranzo realizzato da Babette è quindi l’esplosione della Grazia, l’irruzione dello Spirito Vivificante in un tessuto umano che era ormai del tutto atrofizzato ma per chi lo ha permesso, la stessa Babette, ha il sapore intenso del sacrificio e dell’oblazione totale perché per procurarsi gli ingredienti, le bevande, i cristalli e le stoviglie, senza dirlo a nessuno ha speso tutto il suo denaro e, nuovamente povera, resterà in Danimarca; del resto, come lei sottolinea alle due sorelle quando tutti gli invitati sono andati via ignari della sua identità, «un artista non è mai povero». Come ha osservato il critico Beppe Musicco, «potremmo dire che Il pranzo di Babette è la pacata celebrazione di una Grazia che viene incontro a ogni momento e riscatta gli errori, i sacrifici e le sconfitte. E qualunque cosa sia stata abbandonata o persa, viene restituita in sovrabbondanza».
L’amore e la paura
Non c’è dunque da meravigliarsi che questa storia del magnifico pranzo di Babette sia tanto amata da un sacerdote che ha scelto come motto episcopale la frase miserando atque eligendo e che una volta eletto Papa ha fatto della misericordia il punto centrale della sua predicazione, quello stesso Jorge Bergoglio che negli anni Ottanta durante un viaggio in Germania ha scoperto l’immagine della Madonna cosiddetta Knotenloeserin, la «Vergine che scioglie i nodi», di cui riportò in Argentina varie riproduzioni e che è ormai l’oggetto di una forte venerazione popolare a Buenos Aires. Per una vita piena c’è bisogno di aprire il cuore sclerotizzato, di scioglierlo e così ricevere la cascata d’amore che Dio riversa su ogni uomo ogni giorno.
Nell’intervista del 2010 l’allora cardinale sottolineava come «i protagonisti del film appartengono a un mondo calvinista e puritano talmente austero che anche la redenzione di Cristo viene vista come una negazione delle cose di questo mondo. All’arrivo di un alito di libertà, costituito dalla sontuosità della cena, tutti ne rimangono trasformati. Era una comunità che non sapeva cosa fosse la felicità. Viveva schiacciata dal dolore. Stava attaccata a una parvenza di vita. Aveva paura dell’amore».
Il vero nemico dell’amore è proprio la paura, è questo un tema caro a Jorge Mario Bergoglio. Tre anni dopo, il 17 giugno 2013, inaugurando come vescovo di Roma il convegno ecclesiale della sua diocesi, il Papa è stato ancora più deciso ed è partito dalla Lettera ai Romani di Paolo per sottolinearne questo versetto: «Voi non siete più sotto la Legge, ma sotto la Grazia», che potrebbe essere il sottotitolo del film di Gabriel Axel e ha detto che questa è la vita dei cristiani: «camminare sotto la grazia, perché il Signore ci ha voluto bene, ci ha salvati, ci ha perdonati (…) questo ci apre verso un orizzonte grande, e questo è per noi gioia (…) È la nostra gioia, è la nostra libertà. Noi siamo liberi. Perché? Perché viviamo sotto la Grazia. Noi non siamo più schiavi della Legge: siamo liberi perché Gesù Cristo ci ha liberati, ci ha dato la libertà, quella piena libertà di figli di Dio, che viviamo sotto la Grazia. Questo è un tesoro. (…) La Grazia di Gesù Cristo ci salva dal peccato: ci salva! Tutti, se noi accogliamo la Grazia di Gesù Cristo, Lui cambia il nostro cuore e da peccatori ci fa santi. Per diventare santi non è necessario girare gli occhi e guardare là, o avere un po’ una faccia da immaginetta!». Non serve insomma, essere delle personcine pie e per bene (un po’ come sono Martina e Filippa all’inizio del film) perché, continua il Papa: «Una sola cosa è necessaria per diventare santi: accogliere la Grazia che il Padre ci dà in Gesù Cristo. Ecco, questa Grazia cambia il nostro cuore. Noi continuiamo a essere peccatori, perché tutti siamo deboli, ma anche con questa Grazia che ci fa sentire che il Signore è buono, che il Signore è misericordioso, che il Signore ci aspetta, che il Signore ci perdona, questa Grazia grande, che cambia il nostro cuore». E la Grazia è proprio come il gesto di Babette, gratuito, di pura oblazione. Su questo Papa Francesco è dolcemente severo: «Ascoltate bene questo: la Grazia non si compra e non si vende; è un regalo di Dio in Gesù Cristo. Gesù Cristo ci dà la Grazia. È l’unico che ci dà la Grazia. È un regalo: ce lo offre, a noi. Prendiamola. È bello questo. L’amore di Gesù è così: ci dà la Grazia gratuitamente, gratuitamente. E noi dobbiamo darla ai fratelli, alle sorelle, gratuitamente. È un po’ triste quando uno incontra alcuni che vendono la Grazia: nella storia della Chiesa alcune volte è accaduto questo, e ha fatto tanto male, tanto male. Ma la Grazia non si può vendere: la ricevi gratuitamente e la dai gratuitamente. E questa è la Grazia di Gesù Cristo (…) Noi abbiamo ricevuto questa gratuità, questa grazia, gratuitamente; dobbiamo darla, gratuitamente. E questo è quello che, alla fine, voglio dirvi. Non avere paura, non avere paura. Non avere paura dell’amore, dell’amore di Dio, nostro Padre. Non avere paura. Non avere paura di ricevere la Grazia di Gesù Cristo, non avere paura della nostra libertà che viene data dalla grazia di Gesù Cristo».