Padre Pietro: “Se tu sei un impiegato, devi mostrare il certificato della tua azienda quando entri o esci dal villaggio; se tu non sei un impiegato, sei costretto a stare in casa”. Parrocchia paralizzata da settimane
Da quasi un mese, a causa dell’epidemia di coronavirus, i cinesi vivono isolati nelle loro case: non possono uscire, né visitare i vicini o gli amici, né parlare con qualcuno in strada. Ogni due giorni, una persona per famiglia può uscire per andare a comprare beni di prima necessità.
L’entrata e l’uscita dal villaggio è sotto controllo. Sono alcuni degli aspetti della vita di un villaggio nella Cina centrale, raccontati ad AsiaNews (14 febbraio) da padre Pietro, il parroco.
Leggi anche:
Coronavirus: norme igienico-sanitarie da rispettare, sintomi, chi contattare
“Hanno misurato la temperatura a tutti”
«Ci chiedono di stare in casa e di non uscire e andare in giro – spiega il prete – Ci chiedono di indossare maschere, lavare le mani con frequenza, non partecipare a nessuna attività di gruppo. Ma sono già passati 20 giorni. La realtà è un po’ diversa da quanto si dice in tivu, perché siamo sempre più isolati, quasi completamente isolati. In particolare, negli ultimi giorni, ci hanno chiesto di uscire dal villaggio [anche per la ripresa del lavoro – ndr]. Hanno misurato la temperatura a tutti e a tutti hanno chiesto la registrazione con la nostra carta d’identità».
Limitazioni per uscire dal villaggio
La prassi è rigida. non ti è permesso di andare in giro, non puoi conversare in strada, non puoi visitare amici e vicini. Ogni due giorni, una persona per famiglia può uscire dal villaggio per comprare ciò che è necessario».
Per fortuna, sottolinea padre Pietro, «i cinesi hanno l’abitudine di immagazzinare molto cibo e verdure in prossimità del Capodanno. Così, quando è arrivato il coronavirus, è stato sufficiente quanto avevamo già immagazzinato. Ma con l’andar del tempo, abbiamo sempre meno cibo e verdure. Credo che nel prossimo futuro ci sarà un sacco di gente che andrà fuori per comprare cose».
Leggi anche:
I bambini e il nuovo Coronavirus: cosa c’è da sapere
Come è cambiata la vita in parrocchia
Naturalmente, tutte le attività della sua parrocchia sono state fermate. «Abbiamo cancellato la messa quotidiana e le altre attività parrocchiali. Ogni domenica domandiamo ai fedeli di trovarsi in famiglia a leggere la Bibbia, a pregare per il personale medico, specie quelli di Wuhan, a pregare per la conversione delle persone. Non abbiamo strumenti professionali per dare la possibilità alla gente di seguire in diretta la messa in tivu, come fanno a Hong Kong e a Macao. Però – afferma il sacerdote – ho saputo che alcuni sacerdoti usano il loro cellulare per trasmettere la messa che essi celebrano. Ma trovo che sia una cosa alquanto buffa per i fedeli assistere alla messa coi loro cellulari in mano, mentre siedono sul divano».
“La fine del mondo non è così vicina”
Intanto, «da parte mia, trovo più appropriato incoraggiare i fedeli a leggere la Bibbia e a pregare insieme».
Dopo tutto, chiosa, «il coronavirus passerà e la fine del mondo non è così vicina! Se la fine del mondo arriva, è meglio leggere la Bibbia che assistere alla messa dal cellulare. Dal giorno in cui abbiamo cancellato le messe, fino ad oggi, il dipartimento delle religioni ha diffuso documenti in cui si avvisa che non possiamo riprendere a celebrare messa fino a nuovo ordine».
Leggi anche:
«Era mio padre, non un numero» parla la figlia di Adriano Trevisan, morto per coronavirus