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Chiese chiuse per il Coronavirus? Ecco come “prendere le Ceneri”

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 26/02/20
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Alcuni parroci nel Nord Italia si sono messi per strada per distribuire le ceneri ai passanti che le avessero volute. All’aperto e senza confluenza di molte persone, ciò sembra ragionevolmente sicuro. Ma cosa fare se non si ha neppure questa possibilità? La stessa storia del rito delle Ceneri, in realtà, può suggerirci degli efficaci (e sostanziali!) surrogati.

«E come faccio a vivere il mio mercoledì delle ceneri se, causa Coronavirus, non posso recarmi in chiesa e ricevere “l’austero segno” dal sacerdote insieme con la mia comunità?»

La domanda mi è giunta stamane quando ero da poco uscito dalla mia chiesetta parrocchiale, dove il parroco aveva serenamente ufficiato il rito (e dove io avevo appena ricevuto l’imposizione delle Ceneri): non vivendo in una regione sottoposta a giri di vite sulle occasioni sociali per ragioni di salute pubblica, non posso esimermi dal prendere in seria considerazione il quesito. Abbiamo scritto mille volte dell’importanza dei segni per lo sviluppo della personalità in tutte le sue componenti (inclusa quella spirituale), non possiamo certo dimenticarcene oggi.


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Certamente possiamo e dobbiamo anticipare fin d’ora che non tutti i segni si equivalgono: i sacerdoti imprigionati non dispongono di vesti, paramenti, chiese, altari consacrati (e queste sono tutte cose non solo utili, ma teoricamente indispensabili!)… e si fanno bastare, se ne trovano, una briciola di pane in una mano e una goccia di vino nel palmo dell’altra. Sono tanto lodevoli costoro quanto biasimevoli quelli che per pigrizia o sciatteria non si mettono la stola sul camice: «Tanto sotto la casula non si vede…».


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Il rito è suggestivo e capisco bene (anche per avervi appena partecipato) come già la sua semplice reiterazione scaldi il cuore, ma se la sua unicità nell’anno liturgico ci porta a chiederci come ricevere le ceneri più di quanto ci chiediamo come fare la comunione… allora forse bisogna richiamare qualche nozione storica: cominciamo col ricordare che prima del 1970 (ossia della riforma liturgica) il rito dell’imposizione delle ceneri neppure faceva parte della liturgia eucaristica che apriva la Quaresima! A quanto ne sappiamo, il rito si sarebbe formalizzato in Europa tra il X e l’XI secolo (quando si dice “la liturgia di sempre”!), e difatti non ne troviamo traccia nelle Chiese sorte prima di questo periodo, specialmente se geopoliticamente collocate nei quadranti meridionali/orientali del Mediterraneo.



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Neppure il prolificissimo Origene (almeno per quanto di lui ci è pervenuto) ha commentato i versetti di Num 19,9.17ss sul valore rituale delle ceneri – che nell’Antica Alleanza erano ricavate da un olocausto animale, mentre nella liturgia romana riformata il riferimento all’olocausto pasquale è mediato dall’impiego a questo fine delle palme della Settimana Santa. C’è da dire che il fondamento purificativo veterotestamentario era stato dichiarato superato da quello neotestamentario (Heb 9,13), e dunque è comprensibile che i cristiani non avessero dato vita a un rito analogo all’antico.


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Fatto sta che il cristianesimo si diffuse ben oltre l’area che l’aveva visto nascere, e quando si radicò in Europa dovette per forza di cose inculturarsi (eh…): mano a mano che si progrediva verso nord diventavano più flebili i riferimenti alla cultura religiosa semitica, come pure le astrazioni tipiche della speculazione filosofica ellenistica… e i buoni barbari delle Gallie, delle Germanie e delle Britannie erano brava gente abituata a guardarli in faccia, i suoi dèi, nonché ad avere quanto più spesso possibile segni sensibili della “potestas sanctificandi”.



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Nacquero così le aspersioni, e le acquasantiere, e le benedizioni (con il segno della croce o senza)… e presto tornò in auge anche la cenere. Attenzione: la cenere non tornò mai con una valenza purificativa, bensì sempre e solo in accezione penitenziale (i cui riferimenti scritturistici sono Gdt 9,1, Gio 3,6, Mt 11,21 e Lc 10,13), vale a dire che con la cenere non si voleva mai significare la purificazione dai peccati ma la disposizione alla penitenza. Benedire le ceneri significava auspicare un felice esito al proposito penitenziale del fedele.


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I liturgisti suppongono che l’uso liturgico delle ceneri nacque dopo una prima lunga fase di uso paraliturgico: coloro che facevano penitenza si cospargevano il capo di cenere, dapprima (da soli), biblicamente; poi cominciarono a ricevere dal vescovo un panno coperto di ceneri, a significare che la penitenza non la facevano solipsisticamente ma bensì in un contesto ecclesiale. Il nesso tra i sacramenti dell’iniziazione, il mistero pasquale e il cammino quaresimale (che si affermò prima di quello d’Avvento) portò tutti i fedeli a sentirsi “un po’ penitenti” in quel periodo – ma “penitenti” in senso forte: del tipo che si mettevano nel quadriportico a supplicare chi entrava in chiesa (ossia i loro vicini di casa!) di pregare per i loro peccati, spesso pubblici da quanto erano grossi – e a ritrovarsi, a metà della settimana precedente l’inizio della Quaresima, per questo rito penitenziale collettivo.



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Ripercorrere la vicenda che ha originato un uso è sempre utile e a rimetterne a fuoco il senso: ci facciamo imporre le ceneri non per il gusto di sentirci dire una frase severa (e poi si dice quella della polvere o quella del vangelo? E in italiano o in latino?) ma per ricentrarci sull’obiettivo principale della nostra vita – che è la santità di Dio da goderci nella nostra.

Per questo digiuniamo: per imporre con una certa nettezza alle mollescenti abitudini l’esigenza dell’irruzione dell’Assoluto. «Credo proprio che non sia / già tutto qui», cantava Ligabue, e nella Quaresima invochiamo il perdono di Dio e il suo aiuto per crescere, per essere belli e meravigliosi come Cristo ci ha permesso di diventare:

Tu ami tutte le tue creature, Signore,
e nulla disprezzi di ciò che hai creato;
tu dimentichi i peccati di quanti si convertono
e li perdoni, perché tu sei
il Signore nostro Dio.

(Cfr. Sap 11,23-26)

Questa è l’antifona d’introito della messa delle Ceneri, quel che il Messale Romano propone come “canto d’ingresso”: o la Quaresima comincia con la confessione del Dio vivo e vero – che «non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva», da quanto comunque ancora e sempre lo ama – oppure sarà difficile togliere ai (sacrosanti) esercizî di penitenza di queste settimane l’allure del masochismo (non a caso e non del tutto a torto rinfacciatoci da un certo laicismo). Si ricordi il mirabile delirio mistico-religioso di Mariano Giusti (Corrado Guzzanti) in Boris:

Preghiamo! Però… preghiamo con gioia! Perché molti immaginano la Chiesa… catenate, botte, cazzotti, tacchi a spillo sulle cose… No! …Sì… questo c’è… perché c’è, c’è… però c’è anche la gioia, e quindi ti prego: preghiamo con gioia!

Digiuniamo allora per riprendere il controllo di noi, nel corpo e nello spirito; e facciamoci belli (lo dice Gesù – Mt 6,16-18) perché la nostra gloria sta nell’Evangelo di un Dio che ci ama irrevocabilmente.

Ora però la persona che ci ha rivolto quest’interlocuzione potrà pensare che la sua domanda non abbia ricevuto risposta: e potremmo certamente dire che – considerando come il rito non abbia valore purificativo ma penitenziale – potreste incenerire qualcosa (magari avete in casa qualche ramoscello d’ulivo dalle scorse Palme!) e cospargervene il capo. Se uno lo facesse non incorrerebbe in alcuna censura canonica, chiaramente. Forse però limitarsi a questo riporterebbe tutta la questione in termini di mera riproduzione di forme rituali… tralasciando il contenuto: il penitente è umile, sta a testa bassa, batte i pugni semmai sul petto, certo non sul banco della chiesa (o della sagrestia… o della curia diocesana).

Annotò bene il padre di Indiana Jones sul suo taccuino: «Solo il penitente potrà passare», perché «stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita» (Mt 7,14), da quanto ci risulta ostico fidarci dell’amore del Padre e di quello dei fratelli. E allora come vivere queste Ceneri, se non abbiamo modo di farcele imporre in capo (ma pure se già le abbiamo ricevute)? Liturgia delle Ore, lectio divina e partecipazione radio/televisiva a una funzione, senza dubbio. E poi come fecero i nostri padri penitenti nel quadriportico: inginocchiamoci davanti ai fratelli migliori di noi (che poi sono tutti, stando all’Apostolo – Fil 2,3) e supplichiamoli di pregare per noi. Per la nostra conversione.


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