Assistere a veglie e funerali non è solo un’opera di misericordia, ma anche un atto di compassione e di rispetto per i cari che non ci sono piùSempre meno persone vanno oggi a veglie e funerali, in base alle ricerche della National Funeral Directors Association. Il numero di chi ha assistito a un funerale negli ultimi cinque anni è crollato dal 10,3% del 2013 al 3,7% del 2019.
Per i cattolici è una tendenza preoccupante. Seppellire i morti è un atto di misericordia corporale, qualcosa che dobbiamo trovare il tempo di fare anche quando è difficile.
Per millenni dell’esistenza umana, i tassi di mortalità sono stati molto più elevati, e la morte era praticamente onnipresente. Il lusso di poter evitare i promemoria della morte è appannaggio della modernità.
Ma il privilegio di poter ignorare la morte è un lusso o una maledizione? La consapevolezza della brevità della vita ci aiuta ad apprezzarla e a goderla di più. Tagliarci fuori da questa realtà inevitabile porta a un’esperienza meno profonda, e perdiamo le opportunità di crescere in empatia e compassione.
L’ultimo punto è stato eloquentemente sottolineato questo mese in un ottimo articolo di una rubrica del Chicago Tribune. L’autrice, Mary Wisniewski, ha descritto come sia cresciuta partecipando ai funerali:
“Vengo da una famiglia molto numerosa, il che vuol dire che dovevo andare a un buon numero di veglie e funerali… Mi sono abituata alle camere mortuarie – i mobili vecchi e formali, la luce fioca, le opere d’arte terribili, il caffè scadente e i biscotti stantii”.
Al giorno d’oggi sta diventando sempre più raro che i genitori portino i figli con sé ai servizi funebri. Forse pensano che un bambino possa non essere pronto all’esposizione alla morte, ma questa è naturale e inevitabile, e i bambini spesso riescono a gestire queste cose meglio di quanto pensiamo:
“I miei familiari non si preoccupavano del fatto che noi bambini potessimo essere esposti troppo presto alla morte – la morte fa parte della vita, e dovevamo andare davanti alla bara, inginocchiarci e recitare una preghiera”.
I genitori potrebbero anche preoccuparsi del fatto che i bambini non amino una cosa del genere, ma la Wisniewski sottolinea che non conta davvero il fatto che le persone vogliano stare lì o meno:
“I miei genitori non si curavano del fatto che io e i miei fratelli ci stessimo ‘divertendo’ o meno, perché l’obiettivo non era certo quello. Non riguardava noi, ma la consolazione di chi aveva perso
qualcuno di speciale”.
Trovare del tempo per andare a una veglia o a un funerale, anche quando non si vorrebbe o quando è scomodo, non solo onora la vita della persona defunta, ma è anche uno dei modi più significativi per sostenere chi resta.
La Wisniewski continua spiegando che sua madre è morta di recente. Affrontare la morte in prima persona le ha fatto capire quanto sia importante che amici e familiari partecipino ai servizi funebri. Per spiegarlo ha usato l’analogia della trapunta:
“Quando qualcuno vicino a te muore, anche se era una cosa attesa, è come lo scoppio di una bomba, e tu e i tuoi familiari vagate tra le macerie, ondeggiando al vento… In quel momento, le visite e le telefonate degli amici sono come i riquadri di una trapunta, che si uniscono a formare una coperta e a darti calore, aiutandoti in quel momento di shock e dolore”.
Non è importante, dice, se chi fa una visita ha molto da dire o resta a lungo, perché il semplice fatto di essere lì basta. Quando si soffre, aiuta molto il fatto che altri fermino un attimo la loro vita impegnata per venire a sedersi accanto a te per un po’.
“Quello che darete a una famiglia in lutto” andando al servizio funebre “non ha prezzo”, scrive la Wisniewski.
È un buon consiglio, forse un po’ inusuale al giorno d’oggi ma sempre vero. Se potete, andare sempre a una veglia o a un funerale. Non ve ne pentirete mai.