Durante la fashion week a Milano lo stilista ha pronunciato parole di fuoco contro la moda che usa il corpo femminile per provocare a tutti i costi, imponendo modelli che sviliscono le donne.Anche la Fashion Week di Milano è stata colpita in pieno dall’emergenza coronavirus: le grandi firme sfilano a porte chiuse, in adempienza alle norme della regione Lombardia. Il mondo glamour s’inchina a una doverosa continenza e sobrietà. E lui, Re Giorgio, che è sempre così poco incline a mostrarsi, ha rilasciato dichiarazioni infuocate proprio in questi giorni, usando parole forti come «stupro» per puntare il dito contro la violenza che da tempo la moda esercita sulla donna. Non si toglie dal gruppo di quelli che condanna, è chiaro il suo mea culpa.
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Violenza di genere
Ci sono casi in cui parlare a voce alta non è malueducato, ma doveroso. Anche questa è una lezione di stile, che viene dal re dell’eleganza made in Italy: Giorgio Armani ha 85 anni portati benissimo e la tempra di chi rimane al timone della sua azienda da 45 anni, senza cedere alle lusinghe di quelli che vorrebbero accaparrarsi il suo brand. Qualche giorno fa, prima che l’emergenza coronavirus calamitasse l’attenzione generale e le preoccupazioni di tutti, dopo la sfilata di Emporio Armani, lo stilista ha lasciato tutti basiti con queste parole:
“Si parla di donne stuprate in un angolo. Le donne oggi sono regolarmente stuprate dagli stilisti, e mi ci metto anch’io. È indegno quello che succede”. Parole forti, per esprimere un’idea che evidentemente gli sta a cuore. “Penso a certi manifesti pubblicitari” spiega lo stilista, “in cui si vedono donne provocanti, seminude: succede che in molte si sentano obbligate a pensare anche loro di mostrarsi così. Questo per me è uno stupro. Scusate lo sfogo e le parole forti, ma sentivo di doverlo dire”. (da D)
La sua esternazione accorata è stata subito rilanciata su tutti i maggiori siti d’informazione e la scintilla che ha generato questo sfogo è il fastidio che Armani ha provato nel sentirsi chiedere, forse per la milionesima volta in vita sua, quale fosse la tendenza del momento. Tendenza è proprio la parola che lui vuole distruggere senza complimenti. È tempo di piantarla di essere succubi dei diktat della moda, lo dice senza giri di parole e, con un candore che nella sua nuda evidenza pare piovuto dal regno – dimenticato – del buon senso e del buon gusto, ci ricorda:
La cosa più importante è vestire le donne al meglio oggi evitando il ridicolo. (ibid)
Un ritratto inconsueto, quello dello stilista a servizio della donna: siamo abituati a vedere queste figure come sovrani di un regno esclusivo che ci degnano dei loro oracoli durante sfilate riservate a personaggi che hanno la griffe anche per la puzza sotto il naso. Perciò suona quasi rivoluzionario ribadire che la moda dovrebbe valorizzare la multiforme bellezza femminile; quasi ovunque è vero il contrario: siamo noi donne a rincorrere, spesso in modo maldestro, le gocce di luccicante novità che piovono dalle passerelle. E ridicole rischiamo di esserlo davvero, per colpa delle tendenze che sì … fanno violenza, soprattutto se le scambiamo per il surrogato della stima che ci manca.
Quello che si vede sfogliando le riviste di moda non è neanche lontanamente vicino a qualcosa che possa essere definito come un’ispirazione per vestirsi bene; sembrano più che altro cronache da mondi alieni in cui tristi figure dalla sessualità poco chiara sfoggiano outfit super ricchi di colori e accessori, eppure capaci di trasudare solo male di vivere, noia, indifferenza. Spalle curve e sguardi vuoti, quasi nauseati di indossare abiti da migliaia di euro. Labbra rosse e incarnati cadaverici, quasi a dirci che si può nascondere il disgusto per la vita sotto un make up curato.
Le parole per nulla edulcorate di Giorgio Armani sono una sana doccia fredda, per rimettere la palla al centro di un campo che abbia ancora qualcosa di umano. Certo, la moda è un regno etereo che può, giustamente, debordare nel sogno e in un racconto fantastico della bellezza. Una volta si sognava, appunto, guardando le foto patinate delle riviste. Oggi tutto sembra un incubo, ci si sente oppressi anche girando in metropolitana sotto gli occhi di questi modelli cupi, slavati, disumani. Corpi esposti nella loro magrezza e nudità, oggetti vestiti. Se è evidente la violenza nei confronti del corpo delle donne (nudità esposte, ammiccamenti sessuali di ogni tipo), non meno forte è un’altra violenza esercitata su tutti, senza distinzione di genere: mi riferisco all’idea che l’apparire debba mostrarsi sfacciatamente lontano dall’essere. Vestirsi sembra diventato un sinonimo di recitare, indossare una parte.
Violenza ideologica
Non da ultimo, poi, c’è una sempre più capillare violenza ideologica che certi stilisti ci infliggono.
Ieri era Gucci che ricamava uteri sulle sue stoffe per parlare del diritto all’aborto delle donne, oggi è Versace che, per dire qualcosa sulla parità uomo-donna, fa sfilare un modello maschio indistinguibile dalla modella femmina. Non è forse violento insinuare che la parità di diritti significhi esatta sovrapponibilità?
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La provocazione è sensata quando contiene uno spunto positivo di rilancio, invece qui si coglie solo un inchino al pensiero liquido e asessuato che è imperante soprattutto nelle narrazioni mediatiche (cinema, TV, moda). Sempre più scollati e alieni dalla realtà, questi modelli di presunto stile non aggiungono niente (e tolgono molto) al bisogno urgente che c’è di sostenere la presenza delle donne nella società. Andare in giro mimetizzate nei panni di nostro marito non risponderà a nessuno dei nostri bisogni di tutela nel mondo del lavoro. Diffondere un’immagine di coppia-gemella in cui non c’è distinzione di genere non renderà più stabili e meno fugaci le relazioni.
La moda per fare bene il suo mestiere, dovrebbe stare al suo posto, e cioè ricordarsi che sotto l’abito (inerte) c’è sempre un monaco (vivo). Giorgio Armani ha azzardato un richiamo potente in questo senso: rimettere al centro la persona che indossa il vestito.
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