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Cos’è l’effetto dogville? Perchè il Papa lo “cita”?

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 22/02/20
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La «città del cane» non può non ricordare certi spazi online umanizzati, nei quali le sfumature lasciano il posto al bianco o al nero, a un’idea o al suo esatto contrario. Il “legame” con i migranti

Una comunicazione più umana e meno violenta, più accogliente e meno discriminatoria. Ne parla Massimiliano Padula in Comunica il prossimo tuo. Cultura digitale e prassi pastorale“, edito da Paoline.

Il volume è diviso in due parti: la prima tratta dei media digitali intesi non tanto in chiave strumentale, ma come “proiezioni” della nostra umanità, come spazi di azione e di relazione che riflettono il nostro essere e la nostra qualità etica.

La seconda parte è più sbilanciata sulla cosiddetta “prassi pastorale” ovvero sull’agire della chiesa (e delle sue tante espressioni) in materia di comunicazione. Ed è che qui che Padula richiama il cosiddetto “effetto Dogville“, che prende il nome dall’omonimo film.

La trama del film

L’opera di Lars von Trier, Dogville uscita nelle sale nel 2003, racconta la storia di Grace (interpretata da Nicole Kidman) che, inseguita da una banda di gangster, trova rifugio nella piccola cittadina che dà il nome al film. Siamo agli inizi degli anni Trenta. La giovane donna (che ripaga l’ospitalità ricevuta lavorando) in un primo momento sembra trovare negli abitanti del luogo de- gli amici fidati ma presto la situazione iniziale si ribalta: da « grazia » venuta dal cielo diventerà una sorta di capro espiatorio, vittima di ricatti e violenze.

Grace, all’inizio, non reagisce perdonando i soprusi subiti; la sua indulgenza cesserà, però, quando a Dogville giungerà suo padre che si scoprirà essere il capo dei gangster e da cui la stessa donna era fuggita per evitare di essere coinvolta nelle sue malefatte. Il film continua con la presa di coscienza da parte di Grace del fatto che il proprio perdonare è inutile e dannoso. Il racconto finisce con la vendetta di Grace che ordina ai gangster di radere al suolo la città e di uccidere tutti i suoi abitanti.

Metafora di una società grossolana

Dogville può essere considerata, secondo l’autore del libro, una delle allegorie del tempo presente, rappresentazione di una società sempre più trasparente ma nello stesso tempo grossolana. A partire dalla sua ricostruzione scenica: uno spazio monodimensionale, vuoto, dove non ci sono muri né pareti ma solo delle linee bianche che indicano fittiziamente i confini tra le case e gli altri luoghi cittadini.

Dogville è un posto privo di identità, abitato da donne e uomini che ripetono ossessivamente segni e rituali svuotati di significato.



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Il migrante

La «città del cane» non può non ricordare certi spazi online plus (o minus) umanizzati, nei quali le sfumature lasciano il posto al bianco o al nero, a un’idea o al suo esatto contrario. E nella quale, ad esempio, un migrante (è il caso di Grace ma anche di tante vicende reali) può diventare o una minaccia da eliminare oppure il vessillo autoreferenziale in nome di una accoglienza senza criteri.

Da questo film trae origine quello che può essere definito «effetto Dogville» che affligge certe comunità online nelle quali l’accoglienza, la solidarietà, il rispetto della dignità della persona sono scalzati inesorabilmente da odio, indignazione, chiusura, divisione, condanne, offese, autoreferenzialità.

Il monito del Papa

Papa Francesco, evidenzia Padula, lo spiega rivolgendosi ai teologi (ma anche a tutti gli uomini e donne, presbiteri, laici, religiosi) evidenziando come ci sia bisogno di persone «che, in un radicamento storico ed ecclesiale e, al tempo stesso, aperti alle inesauribili novità dello Spirito, sappiano sfuggire alle logiche autoreferenziali, competitive e, di fatto, accecanti che spesso esistono» anche nelle comunità ecclesiali.

La “prossimità”

Francesco crede nella forma comunitaria dell’esistenza, l’abbraccia totalmente e la declina in tutti i territori dell’agire umano, sociale ed ecclesiale. Compresa la comunicazione.

L’idea di comunicazione del Pontefice argentino è, per certi versi, rivoluzionaria. Scevra da ogni discorso tecnicistico, Francesco posiziona la sua riflessione sugli aspetti umani insistendo su vizi e virtù dell’uso delle tecnologie digitali ma anche proponendoci una lettura originale che trova nella prossimità (projimidad) una chiave di lettura personale e originale dell’universo mediale.



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