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Il sacerdote cattolico che ha aiutato a seppellire migliaia di ebrei

PATRICK DESBOIS
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John Burger - pubblicato il 21/02/20
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Padre Patrick Desbois spera che lavorare per documentare l’Olocausto nell’Europa dell’est eviti genocidi futuriVisto che padre Patrick Desbois lavora da molto tempo per identificare le fosse comuni degli ebrei uccisi durante l’Olocausto e aiutare a dare una risposta ai parenti, non stupisce che un membro del pubblico durante l’incontro di un’organizzazione ebraica a New York si sia alzato in piedi gridando “Lei è un angelo!”

Il sacerdote francese ha risposto: “Non sono un angelo; sono solo un uomo molto determinato”.

Padre Desbois ha fondato un’organizzazione, con sede a Parigi, per trovare le fosse comuni in cui i nazisti hanno lasciato circa 2,2 milioni di ebrei nell’Europa dell’est e nei Paesi dell’ex Unione Sovietica dopo un tentativo di genocidio agli inizi degli anni Quaranta del secolo scorso. L’organizzazione, Yahad-In Unum, prende il nome dal termine ebraico per dire “insieme” e dalla definizione latina per dire “in uno”.

L’organizzazione di Desbois ha scoperto l’ubicazione di più di 2.700 luoghi di massacro in cui gli ebrei vennero uccisi non nelle camere a gas, ma dai plotoni di esecuzione. Yahad-In Unum ha raccolto oltre 6.700 testimonianze sui crimini di guerra. Purtroppo molti testimoni – residenti nelle città e nei villaggi in una fascia che va dal Baltico al Mar Nero – hanno anche collaborato con gli Einsatzgruppen, le squadre della morte naziste, spinti dalla paura di rappresaglie, dall’odio nei confronti degli ebrei o dall’avidità, o da una combinazione delle tre motivazioni.

L’operazione è diventata nota come “Olocausto a Proiettili”, ha ma ricevuto un’attenzione decisamente inferiore a quella dei campi di concentramento e delle camere a gas in Germania e Polonia, nonostante episodi come il massacro di 33.771 ebrei uccisi in due giorni a Babi Yar a Kiev e il massacro di Rumbula, con circa 25.000 vittime in due giorni di sparatorie vicino Riga.

L’esame di questo periodo di storia da parte di Desbois vuole sottolineare come anche nell’Europa orientale ci siano state moltissime vittime.

“Tutti conoscono Auschwitz – lì ci sono cose che si possono vedere: il campo, la ferrovia, il filo spinato, le camere a gas… Nell’est, però, non c’è niente da vedere, solo campi. Molte sinagoghe sono state perfino trasformate dai sovietici in negozi o cinema”, ha affermato nel maggio scorso in una conferenza presso lo YiVO Institute for Jewish Research a New York City, che studia la storia e la cultura degli ebrei dell’Europa orientale.

Desbois ha affermato che il motivo per cui il suo team continua a documentare l’Olocausto a Proiettili è quello di “finire di seppellire i morti”.

“So che gli ebrei sono uno dei popoli più collegati alla morte, per dovere e per religione”, ha riconosciuto. “Cerchiamo di aiutare le persone a trovare le tombe dei propri cari. Abbiamo alcune persone nello staff che lavorano a tempo pieno per rispondere alle richieste delle famiglie e aiutarle a tornare lì a recitare il Kaddish [preghiera ebraica, n.d.t.] per la prima volta dal 1942”. Si può anche offrire un “piccolo memoriale di famiglia senza rumore” “per proteggere e santificare il luogo” in cui le persone sono morte.

Si potrebbe aggiungere che secondo l’insegnamento cattolico seppellire i morti è una delle opere di misericordia corporale.

Al di là del fatto di onorare le vittime, Desbois vuole anche aiutare il mondo a comprendere le radici della violenza, perché possa essere evitata in futuro. La storia di Caino e Abele, ama sottolineare, appare molto presto nella Bibbia, ma si ripete in ogni genocidio.

“Dio ha chiesto: ‘Dov’è tuo fratello?’ Non ha chiesto ‘Sei colpevole?’ Ovviamente sa che è morto. Sta cercando il cadavere. E per me il mio team, è sicuramente la domanda che sentiamo nella nostra preghiera: ‘Dov’è il tuo fratello ebreo di tutti quei Paesi sovietici?’”, ha affermato Desbois, che dal 1999 al 2016 è stato direttore del Comitato Episcopale per i Rapporti Ebraico-Cristiani, sotto gli auspici della Conferenza Episcopale Francese.

“Caino chiede: ‘Sono forse il guardiano di mio fratello?’ Significa ‘Ho molto da fare. È triste, ma è morto, e io ora devo vivere la mia vita. Non devo preoccuparmi del cadavere di mio fratello’”.

Desbois insiste però sul fatto che è necessario che il mondo se ne preoccupi: “Non possiamo costruire un’Europa moderna se chiediamo a 2,2 milioni di ebrei di dormire sotto i cespugli come i cani”.

Desbois ha anche ampliato l’obiettivo del suo lavoro per includere genocidi più recenti, nella fattispecie quello tentato dallo Stato Islamico contro gli yazidi in Siria e in Iraq nel 2014. In questo caso, molti dei perseguitati sono ancora vivi, e la sua organizzazione sta cercando di aiutarli a rimettersi in carreggiata.

Quando si è saputo che l’ISIS aveva invaso il territorio yazidi in Iraq, Desbois ha ripensato al genocidio del Ruanda del 1994, quando, ammette, guardava le notizie ma non provava emozioni.

“Questa volta non resterà indietro. Non scriverò ‘genocidio’ su Facebook” senza fare altro, ha dichiarato. “Andrò. Ci sono voluti tre giorni di preghiera, ma alla fine ero convinto”.

La ricerca di Yahad-In Unum in Iraq ha rivelato un genocidio perpetrato alla luce del sole che usava metodi simili a quelli degli Einsatzgruppen. Il suo progetto Action Yazidis raccoglie la testimonianza dei sopravvissuti e offre prove di ogni passo del genocidio.

Desbois, Braman Endowed Professor presso il Center for Jewish Civilization della Georgetown University, ha affermato in un’intervista del 2018 ad Angelus che sta iniziando ad approfondire anche ciò che è accaduto ai cristiani in Iraq, ma il suo budget è limitato. Nel caso disponesse di finanziamenti, vorrebbe che Yahad-In Unum avviasse dei progetti per indagare sugli omicidi dei cristiani in luoghi come Pakistan ed Egitto.

In quell’intervista, ha dichiarato che il cardinale Jean-Marie Lustiger, defunto arcivescovo di Parigi proveniente da una famiglia ebraica e la cui madre è stata uccisa ad Auschwitz, lo ha incoraggiato nel suo lavoro, e che la Chiesa lo ha sempre esortato ad andare avanti nonostante le difficoltà. Yahad-In Unum ha aperto il primo Museo dell’Olocausto in America Centrale – in Guatemala – con l’approvazione dell’arcivescovo di Città del Guatemala, vicino alla cattedrale.

“Cerchiamo di insegnare a questa generazione cos’è accaduto in Europa, per aiutare a non entrare nelle gang e a lottare contro violenza, droga, stupri e così via”, ha detto. “Abbiamo il compito di trasmissione alle nuove generazioni. Conoscere l’Olocausto è un modo per combattere la violenza nella vita quotidiana. Purtroppo questi ragazzi conoscono la violenza con le gang”.

Ancora una volta, torna al primo fratricidio: “Caino era dietro la maschera dei nazisti, ora è dietro quella di un altro gruppo”, ha detto riferendosi all’ISIS. “Ma il male è lo stesso. Per me è davvero una lotta contro il male. È per questo che dico sempre al mio team ‘Dovete pregare molto, chiedere la presenza di Dio perché non potete essere soli di fronte al male: è molto pericoloso’”.

Le interviste di Yahad-In Unum con le testimonianze di Olocausto a Proiettili sono postate sul suo sito web.

 

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