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I Vangeli, Gesù, l’anarchia: la spiritualità di Fabrizio De Andrè raccontata dal suo amico prete

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 19/02/20
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Don Carlo Scaciga ricorda: era il 1969, insieme ad un amico andammo a Genova a portare una lettera a casa di “Faber”. Da lì nacque la nostra bella amicizia

“Donai a Faber i Vangeli apocrifi. E lui ne fece poesia e musica”. Il sacerdote don Carlo Scaciga racconta l’amicizia con Fabrizio De Andrè. Dalle loro conversazioni il cantautore prese ispirazione per l’album La buona novella (La Stampa, 14 febbraio).

Don Carlo, 76 anni, collaboratore delle Parrocchie unite del centro a Novara ha conosciuto il cantautore genovese nel 1969, quando De Andrè accettò l’invito di due giovani sacerdoti a parlare a un gruppo di studenti di Verbania.

I due parroci

Per sapere, però, qual è il legame di don Carlo con La buona novella bisogna tornare a quel primo incontro del ’69, come riporta Famiglia Cristiana. «Ero un giovane prete di 26 anni ed ero stato destinato a Intra, una frazione di Verbania, sul Lago Maggiore», spiega don Carlo.

«Collaboravo con un altro giovane sacerdote, don Donato Paracchini, direttore di un pensionato studentesco della diocesi, di cui presto sarei diventato coadiutore, la Famiglia giovani. De André era già noto. Con i ragazzi ascoltavamo le sue canzoni e ne discutevamo volentieri. Era il clima del post-concilio e anche noi due sacerdoti ci sentivamo interpellati, a volte “interpretati” da lui. Io, prima di entrare in seminario avevo vissuto anni molto belli nel movimento studenti dell’Azione cattolica, avevo respirato una fede libera e aperta alle domande».

https://www.youtube.com/watch?v=NepkypRafe4

L’elenco telefonico

A un certo punto – ricorda Don Carlo – insieme agli studenti del pensionato decidemmo di invitarlo, per confrontarci con lui a partire dai testi del suo disco Tutti morimmo a stento. Non avevamo alcun contatto e non c’era internet, per cui partimmo dalla ricerca più banale: l’elenco telefonico di Genova. Fummo fortunati, c’era il suo indirizzo: De André Fabrizio, Corso Italia… Il numero non lo ricordo. Scrivemmo una lettera, poi con don Donato decidemmo di portarla di persona».

“Allora siete dei preti!”

«Dopo averla letta, Fabrizio ci disse: “Allora siete dei preti”», continua a raccontare don Carlo. «Fece una serie di telefonate, convocò a casa alcuni suoi collaboratori e restammo a discutere fino al pomeriggio. Alla fine concordammo che la cosa si poteva fare. Sarebbe venuto a Intra la Domenica delle palme. “Sia chiaro, però, che non canto”, ci avvisò».

Fabrizio De André

© Public Domain

800 giovani

Le cose non andarono esattamente così. La voce si era sparsa, e quella domenica di marzo del ’69, ad aspettare De André al cinema Impero di Intra c’erano circa 800 giovani. «Era  terrorizzato, voleva andarsene», racconta don Carlo. «In quel momento mi sono reso conto di quanto fosse emotivo e ipersensibile. Alla fine lo convincemmo a salire sul palco, ma era terreo in volto, gli tremavano le gambe».


FABRIZIO DE ANDRÉ AND SAINT FRANCESCO
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Cantò “Si chiamava Gesù”

«Prima dell’evento avevo avvisato tutti che non avrebbe cantato», continua don Carlo, «sennonché alla prima domanda dal pubblico si alzò un ragazzino che, spudorato, gli chiese:  “Ci canta una canzone?”. Ricordo di averlo fulminato con gli occhi. Fabrizio provò a glissare, poi prese la chitarra malmessa che il ragazzino gli porgeva e cantò Si chiamava Gesù, in un silenzio irreale. La sua voce sembrava salirci dentro a partire dai piedi. Ci fu un’ovazione da far venire giù il teatro. Alla fine, lui che non voleva iniziare non si sarebbe mai staccato dai ragazzi, che continuavano a fargli domande. Dovemmo cacciare tutti fuori dopo tre ore e mezza» (Famiglia Cristiana, 7 marzo 2019).

“Visione anarchica e scapigliata”

Da lì nacque un amicizia durata trent’anni. «Posso dire, però, che Fabrizio aveva una sensibilità spirituale acuta e profonda. Aveva parole puntute contro la religione ingessata e interessata al potere e il perbenismo di chi giudica gli altri. Ma in lui non c’era acredine, c’era questa visione anarchica e scapigliata, però sostanzialmente rispettosa. E per certi versi profetica. Aveva una spiritualità – conclude Don Carlo – semplice, da un lato, e molto complessa dall’altro».



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