Raccogliersi e chiedere a Gesù di venire nel proprio cuore è qualcosa di profondamente bello. Ho provato una gioia e uno stupore brevi ma davvero intensi: ero proprio felice.Beauty in the pain #2 – Giuseppe Signorin
La domenica mi portano la comunione a casa. È bellissimo, non potendo andare in chiesa. Gesù qui in salotto da noi… se ce ne rendessimo veramente conto, non dormiremmo la notte. Ma visti i miei recenti problemi di insonnia (quando uno ha una malattia, nel mio caso neuropatica, sembra che tutti gli altri malanni siano attratti come da una calamita), probabilmente Nostro Signore mi risparmia di rendermi fino in fondo conto di cosa significhi averlo qui in salotto da noi. Io che gli ultimi anni mi sentivo un cattolico cintura nera, in questo periodo riesco ad avere fede sì e no tre minuti al giorno, però in quei minuti Gesù Eucaristia lo desidero, e non solo la domenica.
Ieri Anita, da vera radicale (vedi Canzone per mollare un radical chic), è andata nella chiesetta qui vicino, a qualche centinaio di metri da casa nostra, per la Messa feriale. Una volta la settimana anima la liturgia con la voce angelica che per anni ho costretto a cantare nei Mienmiuaif (e spero di costringerla ancora a lungo…) e io ho approfittato della sua assenza per raccogliermi un attimo e fare due chiacchiere con Dio attraverso i Vespri e le letture del giorno (a parole mie rischio di essere un po’ troppo lamentoso ultimamente… meglio quelle della Chiesa ;)), quando mi è venuta voglia di aprire il mio libriccino vintage di preghiere che “fatalità” avevo lasciato sulla sedia accanto al divano (io e il divano siamo diventati amicissimi, come mai prima. Ma già prima, in quanto maschio, il rapporto non era male). Ho aperto il libriccino così, “a caso”, pensando di concludere l’orazione con le parole che mi sarebbero capitate davanti. Non avevo voglia di scegliere una preghiera, ma sentivo che mancava qualcosa. Era esattamente il momento in cui di solito il sacerdote, nella chiesetta in cui si trovava Anita, distribuisce l’Ostia consacrata: le 19.30. Minuto più minuto meno, durante la celebrazione feriale attorno alle 19.30 si fa la Comunione. Ho aperto il libriccino vintage e sotto gli occhi è finito questo testo:
Comunione spirituale
O Gesù, io credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. (Qui consigliano una breve pausa) Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te; non permettere che mi abbia mai a separare da te.
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Ho provato una gioia e uno stupore brevi ma davvero intensi, come forse nemmeno al Battesimo (ok, non ricordo nulla del Battesimo, però dev’essere stato sicuramente una bomba). Ho parlato con Gesù nel cuore, ringraziandolo. E ringraziare quando uno non se la passa bene è la cosa più difficile. Ma in quegli attimi mi è venuto spontaneo, ero davvero felice. Anche per il sincronismo con la Comunione di Anita. Sto vivendo giorno per giorno, col terrore di ricadute, o che la cura non funzioni, e mille altre idee geniali che mi vengono, perfette per uno che deve cercare di uscire da un problema complesso, ma questa gioia me la sono goduta tutta, e ho capito perché tanti santi – Josemaría Escrivá, padre Pio, don Bosco, solo per citarne alcuni – incoraggiassero questa pratica, consigliando di chiedere spesso e volentieri a Gesù di entrare spiritualmente nel proprio cuore.
Raccogliersi e chiedere a Gesù di venire nel proprio cuore è qualcosa di profondamente bello. Anche da un punto di vista estetico. Ci vorrebbe un artista – uno scultore, o un pittore – per immortalare questo momento. Che non toglie nulla alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, ma dona una possibilità meravigliosa a chi, non potendo riceverlo sacramentalmente, sente la necessità e il bisogno di stare in un’intimità maggiore con lui. “Rimanete in me e io rimarrò in voi” (Gv 15,4).
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DAL BLOG DEI MIENMIUAIF – MIA MOGLIE ED IO