In tanti, soprattutto donne, siamo insorti alla lettura della difesa (non la prima, per giunta) da parte dell’ex direttore de Il Foglio per l’amico scrittore e dichiarato pedofilo conte di origine russa. Non è solo questione di costumi che cambiano, ma di verità: compiere atti sessuali con un minore è una violenza, persino quando non sia riconosciuta come reato.
Ma il rifiuto di malagrazia per un momento lo aveva annientato, e questo è comprensibile.
Così concludeva uno degli articoli spesi a difesa dell’amico letterato, Matzneff, Giuliano Ferrara dalle colonne de Il Foglio. In questo caso siamo ancora nel 2017.
Quanta delicata attenzione per le durezze che il mondo può riservare a menti eccelse e cuori forti rafforzati, non si sa bene come, da un plus di “umanità e sorriso che superano addirittura il lucore della scrittura e del culto dello stile”. Lo scrive lui:
un cuore forte, superiore perfino in umanità e sorriso al lucore della sua rara e preziosa scrittura e al suo culto dello stile. (Ibidem)
Sì, detta così si capisce poco ma anche letta per intero, nel pezzo incriminato, non guadagna moltissimo in chiarezza e soprattutto verità. Ovvero: ci può anche dispiacere per un anziano signore che ormai ottantenne riceva uno sgradevole rifiuto alla pubblicazione dei suoi diari. Ma non c’è paragone con lo sdegno che mi aspettavo provasse anche lei, caro Ferrara, per le violenze di cui è accusato e che hanno per vittima una quattordicenne, e altri minorenni all’epoca dei fatti.
La storia è quella emersa dalla pubblicazione di inizio 2020 di un libro autobiografico di cui ha parlato diffusamente e bene il nostro Giovanni Marcotullio.
È mai possibile indignarsi con tanto ardore per la comprensibile eppure piuttosto normale mortificazione che possa colpire uno scrittore, anche il più eccelso, per un onore negato, e non sentire pietà per la bambina che quest’uomo, allora cinquantenne, violò con tanta abilità da renderla complice?
Ero, anzi, mi trovo ancora in questi giorni, ricoverata in ospedale a fianco del nostro quartogenito. E così, per sfruttare meglio gli scampoli di tempo libero che la vita ospedaliera lascia, ho comprato Il Foglio, l’edizione del week end. E mi sono imbattuta in un muro di sei colonne – interrotte solo dalla foto del bianco, russo, ortodosso, fascinosissimo scrittore parigino e dal mio personale sconcerto – che dalla prima pagina esondano a pagina tre. Per fortuna poco dopo mi sono trovata anche sulle pagine del blog di Costanza Miriano, che ha espresso un giudizio come al solito netto, mettendo al centro il vero soggetto debole.
L’arringa – così titola l’editoriale dell’elefantino che si auto nomina avvocato difensore, vuole dimostrare che l’accusato è innocente e i fatti, che pure sussistono e sono finiti in queste pagine sublimi, magnifiche e via osannando, non costituiscono reato. Siamo semplicemente di fronte all’ennesimo salto in corsa sul carro mezzo rotto del #MeToo ora spostatosi al padiglione “cultura”? La donna che dopo decenni si decide a denunciare è solo una furbastra che ha colto l’occasione ghiotta?
La signora Vanessa Springora, 47 anni, direttrice delle edizioni Julliard, racconta nel suo Le Consentement (Il Consenso), uscito in Francia il 2 gennaio scorso, la relazione avuta con il conte di origine russa, Gabriel Matzneff. Lei 14 anni lui 50. Ma c’era, appunto, il consenso.
Tana libera tutti? No, o solo per Giuliano Ferrara che pur accusandoci un po’ tutti di sudditanza alla dittatura del politically correct è l’unico che ne fa uso: è questione culturale, ogni cultura va rispettata. Voi non capite davvero in che mondo viva questo magnifico scrittore di origine russa, ortodosso, fascinoso, sublime. E per giunta, la ragazzina, era d’accordo. E non esiste quella che voi (sta parlando di tutti noi) chiamate morte psichica … e ci spiega perché. Pensiamo sia vero da sempre ma è grazie ad una sentenza del 1980 su un crimine di stupro a danno di due ragazze a Marsiglia che oggi riteniamo l’atto come grave lesione della persona, della sua intimità.
Gli amori con dei minorenni finiti in “magnifici” (poco più che mediocri, per alcuni) diari letterari non sono da condannare. Saremmo noi, tutti, massa ideologizzata quelli che non capiscono: ci siamo fissati con la pedofilia. Questo magnifico, fascinosissimo, conte parigino di origine russa, ortodosso praticante vive in un mondo che è estinto e così il suo peccato e anche il suo reato. Siamo noi che non ci sforziamo di comprendere e partiamo con l’indignazione automatica per tutto ciò che è catalogabile come “violenza contro le donne” o i bambini come il politically correct impone. Non potrebbe trattarsi invece, in questo caso, di qualcosa che è semplicemente correct, o meglio giusto perché vero, caro ex direttore de Il Foglio?
Come mai questa signora, ora affermata figura del panorama editoriale parigino, moglie e madre, (e all’epoca dei fatti quattordicenne) si è decisa a parlare della sua storia, e a metterla per iscritto proprio ora? E’ solo arrabbiata, dopo dieci lustri, con l’amante di un tempo e si sta vendicando. Lui non rinnega quell’amore struggente, finito per volontà di lei.
Eccola la chiave. La volontà. Se penso alle mie, di figlie, circa quattordicenni, e alla loro volontà tremo. Perché so quanto è ancora incerta, quanto è manipolabile. So che sono attraversate da turbamenti, cambiamenti, nuove malizie. Ho paura che possano cedere anche al male per il fascino del male in sé e perché non credono sia poi così tragica, la faccenda. So che il tema sesso incuriosisce e attrae. Sudo freddo al pensiero che possano barattare il senso di giustizia e di pudore che hanno naturalmente e che cerchiamo di rafforzare per un piatto di lenticchie social o live: like, apprezzamenti. Fino a che punto?
L’argine dovrebbe trovarsi anche al di fuori di loro, in una società che non consideri l’attrazione per i minori – addirittura prepuberi – accettabile, degna del curioso rispetto che si riserva ad abitudini culturali insolite ma ugualmente degne.
Ecco, cosa mi inquieta. Questa sorta di giustificazione del male secondo una lettura etnografica, antropologica, documentaristica.
Come operatori di macchina tra i cespugli ci si avvicina quatti quatti: “Ecco, siamo riusciti ad individuare un piccolo branco, li osserviamo in silenzio per non disturbarli. E’ tipico di questa specie che il maschio anziano del gruppo cerchi di accoppiarsi con l’esemplare di femmina più giovane e vulnerabile. La mamma l’ha lasciata sola per andare a caccia (di emancipazione femminile) e il vecchio leone bianco -russo, parigino, ortodosso e fascinosissimo- secondo la propria natura, si avvicina, le offre qualcosa e infine lei lo segue”.
Proprio questo mi pare assai rischioso invece: il rispetto dittatoriale per ogni tipo di costume, cultura, religione, la solita tolleranza insofferente al vero. In quel mondo, secondo quella cultura, quel comportamento ha senso quindi era giusto. Come i sacrifici umani degli Incas, per esempio?
E allora sotto quale cielo è andata a splendere la bellezza del vero che lo stesso Ferrara cita mostrando di ricordare che la definizione è mutuata da un grande pagano, Platone?
Compiere atti sessuali con una bambina o ragazzina dopo averla intrappolata con i lacci della sua stessa volontà (che ancora in quell’epoca e con quella storia alle spalle di sicuro poco si domina! Si vuole piacere, e in nome di questo si possono accettare tante cose. E se di mezzo c’è anche il piacere sessuale, il primo sperimentato fino ad allora, quale libertà vera potrà mai esserci stata?) davvero può essere considerato alla stregua di altri usi e costumi che in un’epoca hanno senso e in un’altra no, ma sono entrambi degni della nostra indifferente tolleranza?
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E tutto questo discorrere di costumi, abitudini, simboli di riferimento, cultura pre rivoluzionaria, liturgia ortodossa, non fa fuori troppo in fretta la questione centrale, cioè che si tratta di una persona specifica, con un valore irreplicabile e inviolabile e che ha vissuto faccende che l’hanno segnata profondamente?
La persona, che è tale persino prima di avere terminato il proprio sviluppo (non è per questo che si difendono i concepiti dall’aborto, caro Ferrara forse immemore di tanta razionale audacia? ), è il valore da difendere e sottrarre ad ogni generalizzazione e semplificazione e relativizzazione; è lei la vittima da togliere in fretta dall’altare dei costumi e gusti sessuali degli adulti in grado di ferirla o ucciderla a cuore lasciato battente.
Vanessa e gli altri amanti minorenni del signor Matzneff non dovevano finire sui suoi sofà, tra le lenzuola di un hotel dopo la scuola (media!), con il suo membro in bocca o in altri pertugi che sanno tanto di violazione irreparabile, all’ora della merenda. Nemmeno se allora, perversamente, lasciandosene corrompere, la cosa poteva trovarli d’accordo. Parzialmente, confusamente. Ma colpevolmente?
Ferrara ammette per negare che
anche rispettando e dando per buona l’odierna ribellione verso il suo lontano passato, si può notare in Vanessa Springora, che in Matzneff amava lo scrittore e la regina dei suoi sogni adolescenziali e poi maturi, che ha fatto brillante carriera nell’editoria parigina che è sposata con figli, si può notare per le sue stesse dichiarazioni (…) un’inclinazione: ferire a morte un uomo che si è intensamente amato e che forse obliquamente si ama ancora… (Il Foglio, edizione week end, 15 e 16 febbraio).
Per dire sì o no bisogna poter disporre di sé e averne la forza. E chi è adolescente non sempre ce l’ha. Chi, adulto e mosso da tali appetiti, invece, sa fiutare la vittima ideale e fare della sua incerta volontà un robusto guinzaglio. La sceglie non solo perché è attraente. La trova attraente perché cedevole. Cosa c’entra una cosa del genere con l’amore?
Pedofilo e maestro di pedofilia
In una delle sue prime opere Les Moins de seize ans, Paris, éditions Julliard (la casa editrice per la quale è direttrice in carica proprio la Springifora), data alle stampe nel 1974, non tanto la difesa ma il vanto e la promozione della pedofilia è talmente manifesta che il libercolo può essere letto come un piccolo manuale di consigli, indicazioni, e buone pratiche per aspiranti pedofili.
Uno di essi, emblematico e ora tragicamente banale, recita: “Per quanto possibile, scelgo i miei fidanzati da famiglie disunite e caotiche e mi ritrovo sempre contento” (p. 87)
E’ così che ha agito proprio con la allora quattordicenne Vanessa Springifora e poiché è in grado di generalizzare si può presumere che fosse un metodo già piuttosto consolidato. La futura vittima consenziente del conte, rimasta sola con la madre dopo che il padre violento e maniacale le aveva abbandonate, non vedeva l’ora di essere riconosciuta desiderabile. Ma anche solo di essere guardata e considerata da uno sguardo virile anche solo pseudo paterno. Per Matzneff, invece, tutto ciò che è famiglia, legami parentali, amore fraterno, autorevolezza paterna e amore per la madre soprattutto, è disgustoso, repellente.
Così si sdegna ne Les Passions schismatiques, a pagina 96: “L’universo in cui si muovono i bambini (intendo dire che gli adulti li impongono) è di solito tanta meschinità, tanta volgarità, tanta decadenza intellettuale e morale, che sto facendo un lavoro santo per insegnare loro a disprezzarlo e per aiutarli a fuggire da esso: con me, è ad un’altra altezza che respirano, sono altri orizzonti che scoprono”. Un benefattore dell’umanità bambina, sente forse di meritarne elogio. Di sicuro approvazione e protezione; cose che ha a lungo ottenute al punto da sentirsele dovute e così anche i suoi ultimi almeno ufficiali difensori, come il nostro Ferrara.
Narcisisimo e odio per la famiglia
Prova un odio squisito per tutto ciò che significa famiglia: “L’amore dei genitori è il mio particolare nemico, l’amore filiale mi esaspera e gli unici adolescenti che posso amare con l’amore sono gli adolescenti che si ribellano contro la loro famiglia, e su. Un ragazzo di tredici o quattordici anni che ama i suoi genitori, che ama la sua famiglia, che preferisce la compagnia dei suoi fratelli a quella dei suoi amici, è – l’ho verificato cento volte – del seme del mediocre. Non ho tempo da perdere con lui. “(P. 197, ibidem)
L’acme del suo disgusto rabbioso lo raggiunge per l’amore materno, la peste che devasta ciò che il nostro chiama impunemente amore:” Non ho né stima né rispetto per l’amore materno, questo demone. ‘Ti amo, quindi mi appartieni!’, Tale è il vero volto dell’amore materno. Non dirmi che è bellissimo. È mostruoso ”(Les Moins de seize ans, p. 86).
Non è difficile ravvisare in queste dichiarazioni una sintomatologia narcisista che ha dell’amore, quello materno in particolare, un concetto terribile.
Ora vado ad informarmi ma il dettaglio impugnato crudelmente da Ferrara (sposata e con figli, come a dire: sta bene, di che si lamenta?) mi fa sorgere un sospetto: che il movente della pubblicazione del suo Il Consenso non stia solo nella rabbia per il conferimento del premio Ranaudot al suo ex amante, ma abbia trovato all’avvicinarsi dell’età adolescenziale dei suoi bambini l’innesco di un legittimo rancore per quello che ha subito lei.
Colpo bassissimo, caro Ferrara, che in tante altre situazioni ho ammirato sinceramente. Questa donna sta benissimo, lo ama ancora ma non lo ammette, era amante e non vittima, vuole solo vendicarsi per competitività letteraria e perché racconta della loro storia come di una tra le tante. Il solito narcisismo, insomma – sintetizzando. A me pare invece che in questa storia ad essere ridotti a meno di persona siano le donne e i bambini.
L’arringa si sta per concludere, stringendo a tenaglia la vittima non più vittima tra i costumi incompresi del vecchio fascinosissimo e un reato che è invenzione emotiva e isterica della nostra epoca.
Invece siamo nell’ordine del diritto naturale e non storico. Fare del male a un bambino è male agli occhi della retta ragione e, soprattutto agli occhi di Dio, anche se ce ne dovessimo dimenticare per secoli. Persino se quel bambino fosse stato educato a pensare che la cosa sia giusta e buona. Ne soffrirà ugualmente, pur essendo lui stesso d’accordo.
Solo una concessione, che non è tale, vorrei fare. La pedofilia è un male enorme, angosciante per la sua gravità. Dio stesso, nel Suo figlio, ha detto parole di condanna tremende proprio contro chi scandalizzi uno solo di questi piccoli.
E’ un male, ma non il male assoluto e anche se l’abuso assomiglia alla morte la resurrezione è possibile. Ma non perché ci si sposa (non tutte riescono!), si fanno figli (e come li si guarderà? con quale angoscia?) e l’air du temps cambia. Solo perché il vento della Grazia è il più gagliardo e può aprire porte sigillate, guarire cuori corrotti o schiantati dal dolore.
La bellezza che affama tutti, compreso il conte di cui sopra, non è quella che si rapina a degli adolescenti inermi o quasi per poi cantarne in versi sublimi sotto la voce “amori decomposti”, ma è quella ineffabile e sfigurata di Cristo crocifisso. Ma risorto.
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