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Vittorio Bachelet a 40 anni dal suo brutale “martirio”

Vittorio Bachelet

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 12/02/20
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Uomo di fede e di carità umana e intellettuale, servitore dello Stato e del bene comune. In una parola un esempio di laico cristiano.Scrivere “martirio” su un sito di ispirazione cristiana è una presa di posizione abbastanza forte, attenuata solo dalle virgolette che non vogliono dare patenti che spettano solo all’autorità ecclesiastica, qui ci limitiamo a dire che Vittorio Bachelet fu uomo cristiano, che visse la sua professione e la sua vita cristianamente, cioè con una tensione continua verso Cristo e che per via di questo stile fu ucciso. Questa doppia veste di cristiano e uomo politico (e di uomo politico in quanto cristiano) viene ricostruito anche da Giovanni Conso in un articolo memoriale sul mensile 30 Giorni nel ventennale del tragico omicidio avvenuto nella Città Universitaria di Roma:

Ma è […] certamente vero che sia la storia socio-politica che quella giuridico-processuale dovrebbero avere ormai chiarito che le Brigate rosse ne avevano decretato l’eliminazione a qualunque costo, più ancora che per il fatto che egli impersonava in quel periodo di così cruciale emergenza il Consiglio superiore della magistratura e, quindi, simbolicamente, l’intera magistratura, per il come stava impersonando, con nobiltà pari all’efficacia, sia l’uno che l’altra.
Non per nulla l’impronta data da Vittorio Bachelet alla conduzione del Consiglio superiore in poco più di tre anni (ma quali anni!) era stata, anzi è stata, tale da far coniare con immediatezza, già all’indomani del suo sacrificio, due espressioni significative, quali, in ottica soggettiva, “stile Bachelet” e, in ottica oggettiva, “modello Bachelet”: uno “stile” improntato all’assoluto rispetto delle opinioni altrui, rispetto che ne postulava la sottoposizione a pacato e paziente confronto, ed un “modello” imperniato sull’idea di servizio, un servizio che la sua umiltà spingeva al punto di intenderlo riferito non solo, anche se in primis, alle istituzioni e alla società civile, ma pure ai colleghi, tanto da farlo non di rado rivolgere loro dicendosi «il vostro servitore», benché essi fossero subordinati alla sua guida.
Questo atteggiamento, anzi questo animus, di estrema disponibilità alla comprensione nei confronti di tutti i componenti del Consiglio, e da tutti i componenti subito apertamente ricambiato per la sua forza trainante, è stato la fonte prima di quell’atmosfera collaborativa prontamente instauratasi all’interno del “suo” Consiglio superiore. Bastò a destarlo in un istante il caloroso abbraccio scattato fra noi, amici da lungo tempo, non solo perché colleghi universitari, ma anche perché legati dal comune sentire cattolico e vincenziano.

L’attività culturale e politica di Vittorio Bachelet non è dunque separabile dalla sua vita nella Chiesa, come membro della FUCI prima e poi dell’Azione Cattolica che guiderà per ben due mandati (dal 1964 al 1973) come presidente, a riprova che una forte vita spirituale, una riflessione che si estrinseca nei numerosi interventi sulle riviste delle due associazioni, (articoli raccolti poi dopo la sua morte negli “Scritti Ecclesiali“) come provano queste pagine sull’eucarestia:

“Chiaro è…l’insegnamento della Chiesa: il sacrificio Eucaristico, la comunione del Corpo di Cristo, la sua presenza fra noi sono il culmine della vita della Chiesa e la fonte e la forza dell’azione missionaria della Chiesa e in essa e con essa dell’apostolato dei laici” (p.309)

Chiamato da Giovanni XXIII e da Paolo VI ad applicare il Concilio nella vita della maggiore associazione ecclesiale di laici dell’epoca, lo sforzo di Bachelet è stato quello di formare una generazione di uomini e donne impegnate cristianamente nella società, essere apostoli del Vangelo nel mondo, una responsabilità che ancora oggi il laicato cattolico stenta a prendersi. Egli si adoperò perché l’associazione si conformasse allo spirito e al dettato del Concilio Vaticano II, promuovendo una maggiore democratizzazione della vita interna dell’Azione Cattolica e un progressivo distacco dall’impegno politico diretto. Egli ricopri inoltre anche la carica di vicepresidente del Pontificio consiglio per la famiglia, del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, e del Comitato italiano per la famiglia (Wikipedia).

Alimentandosi del cibo del corpo di Cristo, i fedeli laici diventano cristiani responsabili, nella comunità ecclesiale e nella comunità civile, della comunione fraterna: questo dovere eucaristico conduce alla libertà dei Figli di Dio e alla liberazione dai condizionamenti umani che frenano “la barca di Pietro” e “la barca di Cesare”. La storia d’intimità tra Cristo e l’apostolato cristiano:

“E’ una storia – sottolinea Bachelet – da scrivere ancora e che forse gli storici…non scriveranno mai. Ma questa storia del rapporto intimo tra  vita Eucaristica e apostolato cristiano è una storia che può leggersi nella vita dei grandi e dei piccoli impegnati nell’Azione Cattolica. E’ una storia di cui abbiamo la ventura di leggere qualche pagina viva in quei tre  discorsi di Toniolo ai Congressi eucaristici di Milano, di Orvieto e di Venezia, tra il 1895 e il 1897, di cui alcuni passi sono stati raccolti opportunamente in un opuscolo dell’Azione Cattolica Pisana” (p.310).

Il cristiano come martire

Nella riflessione di Bachelet sull’eucarestia non manca lo spazio della carità che anzi è il punto di partenza e di arrivo del sacramento. Non può esserci sacramento senza amore per il prossimo e non c’è amore per il prossimo e per Dio che non scaturisca dall’Eucarestia: “[…] l’Eucaristia…comunica e alimenta la carità verso Dio e verso il prossimo” (p.313).

I tratti umani, cristiani e politici di Bachelet emergono anche dai ricordi che il figlio, Giovanni, oggi professore ordinario di Fisica all’Università La Sapienza, ha condiviso con Vatican News a proposito della consapevolezza che aveva il padre circa il tema del martirio e di come fosse indelebilmente collegato a quello dell’essere cristiano in maniera autentica:

quando [mio padre] mi preparava alla Prima Comunione, me l’aveva detto; parlavamo della fedeltà fino al martirio e io ero un po’ preoccupato quando lui mi diceva “di non adorare l’imperatore” . Allora gli chiedevo: “Ma se io poi ho paura?” Pensavo ai primi martiri cristiani…  Allora lui mi diceva: “Ma quello non è un problema, è come togliersi un dente: ci vuole un attimo, è un attimo di difficoltà, però poi il Signore ti dà anche un aiuto speciale. Invece è molto più essere fedeli al Vangelo nella vita quotidiana”. Ecco, questo vale anche per il perdono, nel senso che, vedendo la mia vita e anche parlandone con i figli, mi accorgo che l’essere in atteggiamento di misericordia, di tolleranza, di pazienza verso gli altri e un po’ anche verso forse sé stessi, è più difficile nelle cose di tutti i giorni che non, magari, in un evento tragico ma unico per il quale forse – per chi crede – il Signore dà anche un’assistenza speciale.

Rammentando quegli anni difficili a cavallo tra la morte di Aldo Moro e quella altrettanto tragica di Vittorio, Giovanni Bachelet ricorda come arrivarono, ai funerali, a dire quelle parole potenti e liberatorie sul perdono ai carnefici del loro papà:

«Con mamma, mia sorella, gli zii  decidemmo di provare a dire quello che avrebbe detto mio padre di fronte a persone non troppo abituate ad ascoltare il messaggio del Vangelo, per lui così importante. Purtroppo di funerali di Stato ce n’erano tanti in quel periodo e una volta, con il suo tono un po’ burlone, riferendosi a un paio di politici notoriamente non cattolici mi disse: “Certo sono situazioni tragiche, ma chissà che tutte ’ste messe non gli facciano bene…”. Noi tentammo di fargli fare una buona figura, riaffermando i valori della democrazia e della Costituzione a cui papà aveva dedicato la vita».

Non era facile in quegli anni di assalto alle istituzioni, morti e feriti in strada, leggi d’emergenza: «Ma era anche una questione di coerenza. Quando fu trovato il cadavere di Aldo Moro andammo con qualche amico davanti alla sede della Dc, dove alcuni provocatori invocavano a gran voce la pena di morte. Gli intimammo di smetterla o di allontanarsi perché la storia di Moro, padre costituente e professore di Diritto penale, non era compatibile con le loro grida. Proprio sotto l’attacco del terrorismo era necessario spegnere le strumentalizzazioni antidemocratiche, sebbene ci fosse la sensazione di trovarsi sul ciglio del burrone» (Corriere della Sera).

L’impegno come intellettuale pubblico

Democrazia e Vangelo nella vita di Bachelet sono probabilmente indistinguibili, non c’è pienezza di vita sotto la dittatura come non ce n’è fuori dalla Parola, il servizio alle istituzioni, egli fu anche eletto nel 1976 Vicepresidente del CSM come membro ‘laico’ (cioè eletto dal Parlamento) in virtù della sua riconosciuta competenza giuridica come docente di numerose cattedre di diritto nella sua lunga carriera iniziata appena laureato nel dopoguerra. Sempre al servizio dello Stato, sempre al servizio della comunità, non può che riverberarsi nella sua vita la frase di Paolo VI sulla politica come “La più alta forma di carità”. Bachelet fu iscritto alla Democrazia Cristiana e amico di Aldo Moro e per la DC fu anche – a Roma – Consigliere Comunale. I suoi molti interventi sui temi di interesse pubblico sono raccolti in un volume gemello al già citato “Scritti Ecclesiali”, dal titolo “Scritti Civili“.

Uomo del coraggio e della gioia, invitava tutti al dialogo e alla costruzione di una posizione comune volta al bene comune. Il figlio Giovanni al SIR ha ricordato queste parole: “Questo nostro tempo non è meno ricco di generosità, di bontà, di senso religioso, di santità, perfino, di quanto lo fossero i tempi passati”, aggiungendo, “In ogni tempo c’è una riserva di bontà e ci sono problemi da risolvere, basta affrontarli con coraggio, con serenità, con fiducia negli uomini che Dio ama, come il mio papà, da cristiano, ha sempre creduto”.

L’ex parlamentare Rosy Bindi – che fu assistente di Bachelet – lo ha ricordato così a 40 anni dalla morte:

Importante non dimenticare un personaggio di questa levatura.

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