E’ qui, nelle nostre giornate normali e diversamente piacevoli il nostro eremo. Il Signore ci chiama proprio qui.Ieri mattina, al mio turno di adorazione delle sette – al quale sia detto per amor di verità arrivo con un ritardo variabile da molto a moltissimo, in particolare ieri, quando non avevo proprio sentito la sveglia (lo preciso perché non vorrei dare l’idea ingannevole di essere una persona minimamente seria o affidabile, tanto meno una mistica che nel cuore della notte è presa dal trasporto amoroso per Dio: io ogni volta che suona la sveglia medito se convertirmi al buddismo o a qualche altra fede che abbia tra i suoi comandamenti quello di dormire fino a tardi la mattina) – insomma ieri, arrivata tardi e molto addormentata, cercavo di raccogliermi in preghiera meglio che potessi. Meglio che posso è l’unica postura a cui aspiro, davanti a Dio.
Insieme a me era entrata una signora che già mi stava antipatica perché stava entrando con me mentre io sarei dovuta arrivare trentacinque minuti prima – no, dico, se io sono in ritardo tutto il mondo per solidarietà dovrebbe rallentare, giusto? In più questa signora era rumorosissima. Tirava su col naso, se lo soffiava, tossiva, cercava cose metalliche nella borsa, smanettava buste di carta, sospirava e di nuovo tirava su col naso (una cosa che non sopporto). No, veramente, non resisteva più di quattro secondi senza emettere un rumore molesto (il fatto che la cronometrassi la dice lunga sul mio trasporto mistico).
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Io guardavo l’ostia con la migliore faccia da santa Veronica Giuliani che potessi assumere e sognavo di essere sola davanti a lui. E siccome quando parte il film ovviamente parte in pompa magna, eccomi in un eremo tra i monti della Laga, alle prime luci dell’alba (non stare a guardare il capello, che sono quasi le otto e sono nel mezzo del traffico di san Giovanni a Roma), con una postura da padre della Chiesa, un saio e dei sandali al posto delle Glycerin Brooks e dei miei pantaloni leopardati estivi del mercatino di Perugia, quelli che metto quando vorrei stare in pigiama (ne ho anche una versione di seta, ma prima di mezzogiorno non ce la faccio a vestirmi dignitosamente).
Il punto è che non è questo che il Signore vuole da noi, da me almeno. Vuole che lo amiamo non nonostante la signora che tira su col naso, ma attraverso di lei, mentre siamo seduti vicino a lei. Nella metro vicino a quella che puzza di fritto, in fila alle poste con la signora molesta o al supermercato col pensionato che chiede di passarti avanti, che cavolo avrà mai da fare?, quando abbiamo a che fare col collega prepotente. E’ qui, in mezzo a questa umanità così evidentemente peccatrice e imperfetta che noi, evidentemente peccatori e imperfetti esattamente come loro (magari facciamo solo finta meglio), siamo chiamati a stare, a essere segno di un amore che abbiamo ricevuto e che proviamo a restituire. Ma proprio qui, in questa circostanza imperfetta, con la cartuccia della stampante che non entra, e tu che avevi altri sedicimila cose da fare, e invece sei ferma lì, oppure a cercare quel documento perso chissà dove, forse qualcuno ci avrà fatto dietro un problema di geometria e uscirà fuori al prossimo trasloco, in fondo a un cassetto. Proprio qui in questo pomeriggio che va tutto storto è il tuo eremo, lo adori qui, il Signore, davanti a questa figlia adolescente che un minuto la abbracceresti quello dopo le urleresti cose terribili, lo adori dal meccanico che ha triplicato il prezzo della riparazione, e in sovrappiù vuole anche spiegarti perché, lo adori dal signore delle pratiche auto che guarda la tua fototessera per il rinnovo della patente, scuote la testa e ti dice “recente, signora, mi serve una foto recente” come se avessi settanta anni e gliene stessi portando una da ventenne (guardi che non è tanto vecchia, è solo che quel giorno avevo dormito), lo adori davanti alla maleducazione e alla sciatteria, lo adori nelle cose che non funzionano, lo adori mentre sbrighi le pratiche dell’Inps e rivaluti la possibilità dell’eremo sui monti della Laga. Eppure il tuo eremo è qui.
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Non sono contrattempi, sono il luogo dell’incontro. E’ per essere lievito che siamo qui, per avere un cuore in tensione verso lui, e per ricondurre tutto a lui.
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