Dal 2012 al 2017 i lasciti benefici sono aumentati di circa il 30%. Spesso negli scambi quotidiani prevale la logica della lamentela, ma quando si tratta di fare un bilancio della propria vita prevale la misura del dono, anche per chi ha pochi mezzi. Buona parte dei nostri discorsi quotidiani batte sul ritornello della lamentela; nei contesti di scambi anche occasionali (dal fornaio, in posta o al bar) la gente si sfoga su quanto sia dura ogni giornata e ancora più dura arrivare a fine mese. L’orizzonte pare dominato da un cupo pessimismo. Le difficoltà ci sono, ma forse eccediamo nel rovesciarle addosso agli altri: la lamentela è il bisogno istintivo di lasciar uscire in un flusso libero tutte le obiezioni e fatiche che covano dentro, e ci sta. Ma alla prova dei fatti, siamo gente che non la dà vinta all’arrendevolezza rassegnata e se certe tinte della vita sono scure, comunque siamo capaci di voltare lo sguardo verso gli spiragli di luce.
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Leggendo il numero di febbraio di BenEssere, ho appreso che è in crescita il numero di testamenti solidali:
È in sensibile aumento il numero di chi decide di destinare parte della propria eredità a organizzazioni no profit, ma anche a privati in difficoltà economica. Un gesto d’amore, un modo per prendersi cura di chi è povero, solo, malato. Lo strumento per attivare questi lasciti che sono somme di denaro, titoli d’investimento, beni immobiliari o in alcuni casi il Tfr (Trattamento di fine rapporto lavorativo) è il testamento.
Non è da sottovalutare la portata di questo gesto: in fondo, si potrebbe vivere il pensiero di congedarsi dal mondo come distacco dalle urgenze della vita. Invece è l’opposto. Evidentemente proprio chi si mette a riflettere sul fine vita non pensa solo a se stesso, ma a lasciare un messaggio concreto e incentivante su quel che di buono si può costruire e sostenere. L’Italia è un po’ il fananalino di coda in Europa (ad esempio in Inghilterra già il 49% della popolazione ha sottoscritto un lascito solidale), però le cose stanno cambiando rapidamente e dal 2012 al 2017 queste donazioni benefiche sono aumente di circa il 30% nella nostra penisola. Sul sito Vita.it si legge: «per 5 milioni di italiani pensare al non profit nelle proprie ultime volontà è un modo per fare “qualcosa di grande».
In concreto di cosa si tratta?
Non è per ricchi e non è una vendetta
Abbiamo tutti i mente quei film in cui un burbero e nobile anziano per fare dispetto ai parenti lascia tutto a un signor nessuno o a un’associazione caritativa. La buona pratica del testamento solidale è proprio agli antipodi di questo stereotipo. Innanzitutto non è una scelta che può fare solo chi dispone di molti beni: ciascuno può scegliere di lasciare a un ente benefico anche solo un gioiello o una piccola somma di denaro, o qualunque forma di lascito ritenga opportuno. Inoltre, la scelta della solidarietà non esclude l’attenzione ai propri parenti e da questo punto di vista è molto chiara anche la legge. Lo spiegano bene Mariangela Masino e Monica Ramazzotti nel pezzo a loro firma per BenEssere:
[…] non tutto ciò che una persona possiede può essere lasciato in beneficienza dopo la morte, dal momento che le norme italiane tutelano i parenti stretti: mogli, mariti, figli, genitori. A loro spetta una quota legittima che varia a seconda della composizione familiare, per esempio, in presenza di un coniuge o di un solo figlio a entrambi è destinato un terzo del patrimonio totale, in assenza di figli al coniuge deve andare almeno la metà dei beni. Il resto è la quota disponibile (mai inferiore a un quarto del patrimonio) che può essere lasciata in parte o completa a enti o persone che non sono gli eredi legittimi.
Le organizzazioni che beneficiano di un lascito solidale, non devono pagare la cosiddetta tassa di successione; questa esenzione vale esclusivamente per le Organizzazioni non profit italiane.
Da Giuseppe Verdi a nonno Carmine
Ciascuno nel proprio cammino di vita incontra la malattia, il dolore e mille possibili crisi. Ne facciamo esperienza sulla nostra pelle e su quella dei nostri cari, ed è innegabile cheurga in noi il desiderio che la negatività non abbia l’ultima parola sull’uomo, nostro simile. C’è un sito dedicato ai testamenti solidali in cui, oltre a tutte le informazioni tecniche necessarie per redigere correttamente questo tipo di documenti, sono raccolte alcune testimonianze di chi ha fatto questa scelta; il denominatore comune di queste storie è una ferita personale che diventa occasione di generosità. Ci sono nomi celebri come quello di Giuseppe Verdi che, oltre ad aver costruito l’Opera Pia Casa di riposo dei musicisti di Milano, lasciò parte della propria eredità ad asili, a stabilimenti di cura dei rachitici, dei sordo muti, dei ciechi di Genova.
Ci sono soprattutto storie di gente comune come nonno Carmine, la cui nipotina è affetta da una malattia genetica rara chiamata sclerosi tuberosa, e che ha deciso di donare buona parte dei suoi averi alla ricerca per potersi prendere cura di lei e dei bambini come lei quando non ci sarà più. C’è Stefano che è morto a soli 52 di leucemia e ha lasciato parte dei suoi risparmi all’AIL (Associazione italiana contro le leucemie), per dire grazie a chi si è preso cura di lui durante la malattia.
Alcuni possono ritenere lugubre trattare questo genere di argomenti, ritengo invece che notare il bagliore di speranza che emerge in molti proprio sulla soglia della morte sia una fotografia autentica della nostra identità più vera: lo sguardo verso l’altro è scritto dentro la nostra coscienza, si fa sentire più forte della voce della lamentela concentrata solo sull’io. La misura del dono che può esprimersi in un testamento, in fondo, è memoria della voce primordiale che ci ha chiamato alla vita. L’impronta iniziale di Dio sul mondo fu un gesto gratuito di sovrabbondanza che ripetuto nelle nostre piccole esperienze, anche povere di mezzi, ci fa stare bene; perché è tutt’uno col dare un nome al nostro destino, a un centuplo poco venale di bene che non ci verrà tolto.
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