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È giusto essere assolti dal sacerdote senza elencare i propri peccati?

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 25/01/20
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Il liturgista Finotti spiega le fasi della confessione ed evidenzia: se i peccati sono mortali vanno sempre spiegati«Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi», affermava qualche anno fa Papa Francesco in piazza San Pietro. «Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti – spiegava il Pontefice – Questo è il punto di partenza. Ma se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta – vero? – quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona» (Tempi.it).

Assoluzione on-line?

© Pascal DELOCHE / GODONG

Purificazione dei peccati

Attraverso il sacramento della Confessione il penitente elenca solitamente i peccati al sacerdote per poi essere liberato da essi. Ma se questo non accade, cioè se un sacerdote non si fa elencare i peccati ma dà comunque l’assoluzione, compie un sacramento valido? E sopratutto è corretto non farsi elencare i peccati dal penitente?



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Le 4 fasi della penitenza

Don Enrico Finotti, parroco liturgista, ha spiegato ad Aleteia che il sacramento della Penitenza (o Riconciliazione, o Confessione) «ha dogmaticamente quattro parti essenziali: il pentimento, l’accusa dei peccati, la penitenza e l’assoluzione da parte del sacerdote. Come si evince l’accusa dei peccati mortali è necessaria per ottenere una valida assoluzione sacramentale».

Adeguata penitenza

Il sacerdote, infatti, è giudice e a nome della Chiesa «deve poter conoscere il genere di peccati accusati dal penitente per poi stabilire se sciogliere o legare, secondo l’espressione del Signore, ed anche imporre l’adeguata penitenza per l’emendamento del penitente».

Diversa è la necessità dell’accusa di peccati veniali, «per i quali non vi è assoluta necessità, ma la saggia raccomandazione della Chiesa in un cammino di perfezione e di graduale crescita nella santità del proprio stato di vita». Se il penitente, dunque, è cosciente di avere un peccato mortale è tenuto ad accusarlo nella successiva confessione, essendo stato impossibilitato ad accusarlo nella confessione precedente.


CONFESSION
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