Abbiamo scoperto l’amore che sta dietro al Terzo Comandamento?Se voleste rendere qualcuno nevrotico, come fareste? Io direi questo:
“Ti voglio così tanto bene da doverti dire una cosa: Devi rilassarti! Devi riposare! Devi riposare talmente tanto che qualsiasi cosa al di là del respirare potrebbe essere qualificata come non riposare! E se non riposi a sufficienza, se non riposi in base a criteri che non potrai mai conoscere totalmente, andrai all’Inferno! PER SEMPRE. Visto che ti voglio tanto bene, ti ordino un riposo assoluto di 24 ore una volta a settimana. Ora inizia a riposare in 3, 2, 1… e ricorda… ti controllerò…”
Ovviamente quella che ho presentato è una caricatura del comandamento divino di “santificare le feste”. Quelle che in passato erano culture cattoliche hanno perso quasi completamente il senso dello shabbat, ma vorrei concentrarmi anche su chi esagera nel senso opposto e affronta la perdita del senso delle feste imponendo un’ansia nevrotica che è l’antitesi stessa del riposo dello shabbat.
Ho ascoltato o letto dei cattolici decisamente benintenzionati che chiedono (giustamente) un recupero del giusto senso dello shabbat, ma poi cercano di intraprendere il compito (impossibile) di offrire una regola per ogni circostanza concepibile, per determinare se un’attività sia incoerente a livello di rispetto dello shabbat. È una pessima idea per mille ragioni: (1) riduce la moralità a una checklist, senza alcun riferimento alla conversione del cuore; (2) è facilmente preda dell’assurdità, ad esempio “Mamma! Non posso pulire il latte che ho versato sul pavimento della cucina perché sarebbe un lavoro! È festa!”; (3) portato agli estremi, può allontanare la nostra immagine di Dio da quella di un Padre amorevole che ci offre la santità e sostituire l’Abbà di Gesù con il “Generale Pignolo”.
È impossibile avere un ruolo preconfezionato per qualsiasi circostanza. È per questo che abbiamo bisogno della virtù della prudenza, che ci aiuta ad applicare principi universali (ad esempio rispettare la festa) a circostanze particolari (ad esempio, “La festa richiede davvero che aspetti la mezzanotte di lunedì per cambiare il pannolino al bambino?”)
Iniziamo allora a porci questa domanda: “Perché Dio vuole che ci riposiamo nello shabbat?”
Dio ci ama. Amare vuol dire volere il meglio. Dio sa che ciò che è meglio per noi, suoi amati, è Lui stesso. Siamo infelici e incompleti al punto che offriamo la nostra devozione a qualsiasi cosa e chiunque anziché a Lui. Dio ci ha creati con un corpo, che dev’essere mantenuto. Ci ha resi sociali, il che vuol dire che viviamo in comunità che vanno curate. Mantenere e curare richiede lavoro. Se non lo svolgiamo non riusciamo ad essere umani. Siamo più di quello che produciamo, consumiamo, usiamo o acquistiamo. Visto che siamo caduti, ci deve essere ricordato che questo mondo non è la nostra vera casa, che questa vita non è l’unica che abbiamo, e che siamo stati creati per molto di più. Questo promemoria indispensabile di quello che siamo e di chi siamo ci viene nel comandamento di rispettare lo shabbat.
Inteso in questo modo, il comandamento può ispirare gratitudine più che nevrosi. Abbiamo sicuramente bisogno di pianificare meglio il resto della nostra settimana di modo che la domenica non diventi solo “un altro sabato ma con la Messa”. Se potessimo trascorrere anche solo un giorno a settimana riposando nel cuore dell’Amore Infinito, il resto della settimana non sarebbe meno disperato?
C.S. Lewis ci ha messi in guardia contro la tentazione di parlare del “mio” tempo, come se 24 ore al giorno ci fossero dovute. Ogni momento è un dono immeritato. Se abbandoniamo l’illusione del “mio” tempo saremo arricchiti, come ci ha insegnato Sant’Ambrogio: “Ha preso ciò che è mio per potermi impartire ciò che è Suo. Lo ha preso non per ribaltarlo, ma per riempirlo”.
Credo che se comprendessimo il comandamento di santificare lo shabbat a mo’ di “Impara a riposare per poter imparare ad amare e ad essere amato di più” riorganizzeremmo volentieri la nostra settimana per difendere la nostra domenica, adorando volentieri puttosto che per un mero senso del dovere.