E’ morto a Brescia il 17 gennaio, dove era nato nel 1929, quello che fino ad ora era il più grande filosofo vivente. Laureatosi a Pavia, insegnò alla Cattolica di Milano dalla quale fu allontanato per insanabile opposizione tra il suo pensiero e il Cristianesimo. Fu tra i fondatori della Facoltà di Lettere e Filosofia presso L’Università Ca’ Foscari a Venezia.
“Attendono gli uomini, quando sian morti, cose che essi non sperano né suppongono” (Eraclito, fr. 27).
Ma sono così attesi, perché già da vivi, e da sempre, sono ciò che non sperano e non suppongono di essere.
L’immenso da cui sono attesi è la “Gloria” – e anche il patimento che è necessità che appaia perché appaia la Gloria, secondo il senso che ad essa compete al di fuori della storia dell’Occidente e del mortale.(Emanuele Severino, La Gloria)
Non so nulla, non quasi nulla ma nulla davvero del pensiero di Emanuele Severino, ma la citazione appena riportata fa l’eccellente lavoro di ricordare all’uomo che lui è stato e a noi che ancora siamo in questa vita che il presentimento, il sospetto che ci attenda l’Eterno, comunque lo si intenda, è condivisa. Anche da chi dalla rivelazione cristiana si è allontanato a grandi falcate con il passo vigoroso di un pensiero ancor più tale.
Quello, il vigore, si sente ancora nella voce che possiamo ascoltare in una delle sue ultime interviste rilasciata a Monica Mondo per Soul TV2000. La giornalista compie l’ardua impresa di sottoporre al filosofo delle domande, essendo da lui a sua volta sottoposta ad altre ancor più estreme. Si difende più che bene, si merita le lodi del filosofo per un’etimologia perfetta (una delle cose che mi compiaceva di più ai tempi del liceo) e tradisce più di una volta un approccio esistenziale che il filosofo invece respinge. Ma lei torna all’attacco. Le sono grata!
Non conosco quindi evito considerazioni che sarebbero gioco forza baggianate. Eppure fa impressione il distacco esibito dall’anziano pensatore rispetto all’essere individuale – che è errore, che è limite, che soffre, ha paura – e la fissità del destino (che è quasi una ripetizione. Il destino significa proprio stabilità, lo stare stabilmente, essere radicalmente). Ecco questa postura si perde del tutto nel momento in cui Severino ricorda l’ultimo incontro con un amico morente; il loro abbraccio, inatteso per lo stato di lunga prostrazione in cui si trovava già il collega amatissimo, e le braccia che ricadono.
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Il bene che li legava in vita; questo emerge e dà ragione all’espressione di regalità dell’essere umano più dei trattati così difficili da comprendere stesi dall’autore e tradotti in tutto il mondo.
“Noi siamo destinati all’eternità” ripete con le parole di Fichte. Non che siamo eterni da sempre. La vita eterna è ciò che ci si apre dopo la morte. E questo ci riempie di speranza – dice giustamente la Mondo; ma lui “no no no, è certezza”. Ha ragione, ma per i cristiani la speranza è esattamente una certezza ed è in essa che siamo stati salvati!
(Emanuele Severino ospite di Monica Mondo, 26 maggio 2019)
Parla di noi individui come mendicanti, come errori. Mentre la regalità spetterebbe al nostro essere eterno, al nostro essere l’apparire del destino eterno, della verità assoluta.
Usava termini, immagini cristiane in modo non cristiano, non più cristiano.
Ora che il volo dal suo personale trapezio si è completato e ha afferrato davvero l’eternità così come essa è, forse si sarà commosso. Avrà potuto arrendersi al fatto che il nostro essere individui tutto limite, errore, felicità fasulla, era decisivo, era già paradossale indizio della nostra vera, definitiva regalità. Quella del Re stante (oh, come sa di Destino!) sul trono più scandaloso della storia; quella di Dio che è morto per la fame di salvarci, per la sete delle nostre anime. E ora vive da Risorto, con i segni della morte destinati al cielo per sempre.
C’è che di fronte alla morte di chiunque, mente eccelsa od opacissima, campione di pensiero teoretico o schiacciato dalla propria stessa istintualità, provo sempre sincera commozione e curiosità miste ad invidia: ora vede, ora sa che è guardato. Ora, da chi i conti li sa fare poiché è l’unico pagatore solvente, riceverà ciò che è giusto e vero. Probabilmente immeritato ma più perfetto dei sistemi perfettissimi che un acrobata del pensiero come Severino stesso ha disegnato.